Il giornale più letto in Calabria si fa e si stampa in Sicilia. E già questa sarebbe una notizia se non fosse vecchia di settant’anni, tanti quanti ne ha La Gazzetta del Sud, “il più importante e diffuso quotidiano siciliano” con sede a Messina e che  vende però prevalentemente a Reggio e nella Locride, fra Gioia Tauro e Catanzaro. C’è di mezzo un mare di illusioni ottiche e di sirene, lo Stretto apparentemente divide ma giornalisticamente unisce. La Gazzetta non ha rapporti di scambio o di sottomissione con il potere perché la Gazzetta stessa è potere che ha preso forma di carta, è informazione che raggiunge i villaggi più sperduti sulla schiena dell’Aspromonte, è tradizione, dose quotidiana di comunicazione rassicurante e geneticamente istituzionale.

«Se un fatto non è riportato sulla Gazzetta significa semplicemente che non è mai avvenuto», ci spiegava qualche anno fa un collega che era uno di quei giornalisti che sembravano “corrispondenti di guerra” da casa loro. Vivevano guardinghi come latitanti alla macchia, inviavano cronache e video per piccole testate online da Taurianova, Cinquefrondi, Rosarno, da Africo e da Platì, trenta righe e la macchina bruciata, una parola in più e una pallottola dentro la cassetta della posta, teste di capretto, minacce a mogli e figli.

La dittatura della notizie

Sono loro che hanno rotto un monopolio informativo, abbattendo in Calabria la “dittatura della notizia” della Gazzetta. Detta così potrebbe sembrare che, nella regione dove la ‘Ndrangheta è padrona e dove la politica è compromessa più che altrove con i signori della droga e del delitto, ci sia stata una sorta di liberazione del giornalismo.

E che l’influenza di quella carta stampata - i suoi editori, i Morgante, nel frattempo hanno acquisito Il Giornale di Sicilia e nelle mani hanno un impero che da Palermo arriva sino a Cosenza - sia stata spazzata via dalla miracolosa proliferazione di audacissimi siti online e dalla sfrontatezza di fogli corsari. La realtà, come sempre, è più complicata e ambigua.

La Gazzetta è sempre lì, immutabile, ministeriale, nei secoli fedele, più ordinata nella sua veste grafica e meno primitiva nei contenuti grazie a qualche collega di valore. L’altro volto della Calabria che racconta è invece una stella cadente.

È stata una vampata, un’occasione perduta, una primavera giornalistica che si è spenta prima di esprimere sino in fondo la sua carica “rivoluzionaria”. Soffocata da uno sciame di editori troppo sensibili alle pressioni dei ras della regione o dagli inserzionisti più irritabili, del senatore o dell'assessore, a volte anche da quegli altri loschi personaggi che popolano le Calabrie, declinata al plurale perché non ce n'è una sola di Calabria ma almeno quattro se nella conta ci sta pure Reggio. Sono editori che si sono arricchiti nel mercato delle carni, con la sanità, con la cartellonistica stradale e le agenzie di pubblicità.

Tutto cambia con il governatore Scopelliti

Giuseppe Scopelliti (Foto LaPresse)

L’editoria come specchio, proboscide, organo per portare cibo alla bocca. Sarà naturalmente un caso, una coincidenza, ma la clamorosa retromarcia dell'informazione calabrese si accompagna temporalmente con la presa del potere di Giuseppe Scopelliti, un capo costruito nel laboratorio del centrodestra reggino, imbarazzanti frequentazioni, nipotino dei “Boia chi Molla”, la rivolta nera di Reggio del 1970, eletto con maggioranza bulgara sindaco e poi governatore.

Prima di conoscere il carcere per ammanchi nei bilanci del comune, Scopelliti e i suoi hanno esercitato un controllo asfissiante e aggressivo sulla stampa. Molti editori hanno capito. C’è un prima e un dopo nella più recente storia dei giornali e dei giornalisti calabresi. E si chiama Scopelliti.

Da lui in poi un ritorno al passato. Le notizie che fanno male faticano a finire in pagina, prudenze, distinguo, timori. I titoloni sono riservati solo a ciò che è ufficiale, che venga da un palazzo della politica o da un palazzo di giustizia non importa, importa che abbia il “bollo” di qualcun altro. Per il resto silenzio stampa.

Il cronista che sta un passo avanti agli altri è ancora l'appestato, non porta amicizie e soldi agli editori ma grane e risentimenti. Molti se ne sono andati, i fortunati o quelli di più robusta professionalità hanno trovato un posto nei quotidiani nazionali o ingaggiati part time nei talk show più popolari. Altri hanno preferito restare, non mancano le eccellenze. Ma si muovono in territorio nemico, prigionieri, schiacciati fra le giravolte dei loro editori e l'ostilità ambientale.

Gli editori questuanti

Tonino Perna conosce profondamente il giornalismo siciliano e calabrese, meridionalista, autore di pregevoli saggi sulla comunicazione e sulla visibilità sociale, è stato partorito a bordo di uno dei traghetti che fa avanti e indietro fra le due sponde.

Fedele al richiamo dell’origine ha diviso la sua vita di qua e di là, professore di Sociologia economica all’Università di Messina e presidente del parco dell’Aspromonte, assessore alla Cultura a Messina nella giunta di Renato Accorinti e vicesindaco a Reggio nella giunta di Giuseppe Falcomatà. Sull’informazione calabrese è disincantato: «È vero che il monopolio della Gazzetta non c’è più ma il giornalismo locale è rimasto fermo, non ha allargato il suo sguardo».

Colpa dei giornalisti? «La precarietà e stipendi poco dignitosi li rende insicuri e condizionatili, il vero problema è che gli editori calabresi si sono trasformati in questuanti per afferrare i pochi introiti pubblicitari che ci sono, ogni mattina devono inventarsi come sopravvivere e non possono permettersi colpi di testa».

I colpi di testa. Quelli che provocano reazioni a catena. L’uomo politico o il potente imprenditore che si lamenta, l'editore che barcolla e cede, i giornalisti che pagano il conto. Minacce di licenziamento, trasferimenti, demansionamenti, mobbing, isolamento. Ce ne sono tante di queste brutte storie nelle redazioni calabresi. Quella drammatica di Alessandro Bozzo, che si è tolto la vita, la ricostruiamo nell'articolo accanto.

Quella vittima che “piaceva a donne sposate”

Sembra che sia cambiato tutto ma è cambiato molto poco. Quanto tempo è passato e quanta distanza c’è fra la cronaca di un omicidio riportata sulla Gazzetta del 1998 e una cronaca sparita nel 2014 dalle pagine dell’Ora della Calabria?

Un salto indietro, Messina, sera del 15 gennaio 1998, i killer uccidono Matteo Bottari, medico, professore universitario, imparentato con la nomenclatura della città. È il primo (e unico) delitto eccellente di Messina, la ‘Ndrangheta lascia la sua firma con due colpi di lupara.

La mattina dopo La Gazzetta informa che «i due colpi hanno spappolato una parte del volto del professor Bottari (che piaceva anche a donne sposate)...». Un versetto satanico inserito da una manina misteriosa, il comitato di redazione si scusa ma la porcata è già fatta. Seconda scena, Cosenza, febbraio 2014, in una pagina dell’Ora della Calabria c’è la notizia che Andrea Gentile, figlio di Antonio, senatore e coordinatore regionale del Nuovo centrodestra del ministro dell’Interno Angelino Alfano, è sotto indagine per associazione a delinquere.

Il direttore del giornale è Luciano Regolo e riferisce di una telefonata ricevuta dall’editore Pietro Citrigno, che lo prega di non pubblicare la notizia su Andrea Gentile. Naturalmente Regolo si rifiuta e minaccia dimissioni. Poi, sempre secondo il direttore, interviene anche lo stampatore Umberto De Rose che insiste nelle pressioni. Ringhia al direttore: «Il cinghiale, quando viene ferito, ammazza tutti». In piena notte c’è un guasto alle rotative, il giornale non esce. Una settimana dopo il senatore Gentile diventa sottosegretario alle Infrastrutture nel governo Renzi.

I giornali che cambiano sempre nome

Nell’anarchia editoriale calabrese c’è da perdersi come in un labirinto. Dall’esclusiva presenza della Gazzetta, la Calabria è stata travolta e stravolta da una babilonia informativa che non sempre si è rivelata segno di libertà. Quotidiani che cambiano in continuazione nome e compagine societaria, i direttori che si avvicendano velocemente, Calabria Ora che diventa L’Ora della Calabria, l’editore sempre quel Pietro Citrigno a capo di un regno fatto di case di cura, laboratori di analisi, centro diagnostici e condannato sino in Cassazione per usura.

Prima lo dirige Paride Leporace e poi Paolo Pollichieni che, a un certo punto non sopporta più le ingerenze di Citrigno, particolarmente infastidito delle inchieste sul governatore Scopelliti, e se ne va. Fonda Il Corriere della Calabria portandosi dietro qualche redattore mentre nel suo vecchio giornale arriva Piero Sansonetti.

Dalla notte al giorno ribaltata la linea editoriale. Una stupefacente visione della Calabria e dei suoi mali: i magistrati e i pentiti, i poliziotti e i carabinieri e in più qualche giornalista accusato di collusione con le procure. C’è anche il Quotidiano della Calabria che prima si chiamava Quotidiano di Cosenza e Provincia e poi si chiamerà Quotidiano del Sud, editori i Dodaro, una fortuna che viene dai salumifici.

Da due anni a Cosenza c’è il sito La Nuova Calabria. Sempre a Cosenza, gradita novità, I Calabresi, quotidiano online nato da una fondazione. Il caporedattore Camillo Giuliani: «Cerchiamo di non essere schiavi delle notizia di ogni giorno, cerchiamo l'analisi, cerchiamo di distinguerci dagli altri». Faticosamente in controtendenza.

L’onore della professione

Non è tutto bianco e non tutto è nero ciò che accade in Calabria. Lo storico Enzo Ciconte dice che il giornalismo calabrese era vivo prima ed è vivo ancora oggi nonostante tutto: «Qui sono stati i giornalisti a parlare di 'Ndrangheta prima dei magistrati e io ancora vedo un'evoluzione positiva della professione». Da una postazione privilegiata che è quella di LaC News, l’emittente televisiva leader nella regione e che ha quartiere generale a Vibo Valentia, Pino Aprile, il direttore, quello che ha scritto Terroni e ha guidato settimanali come Oggi e Gente e seguito Sergio Zavoli nell’inchiesta a puntate Viaggio nel Sud del Tg1, se ne sta andando dalla Calabria con uno straordinario ricordo: «Ho trovato in questa redazione una concentrazione di colleghi bravi e coraggiosi che qualsiasi direttore vorrebbe avere, consapevoli di pagare anche un prezzo alto per ciò che fanno, colleghi che onorano la professione».

E gli editori? «Posso parlare del mio. Su alcuni siti circolano voci infami su Domenico Maduli, quando mi sono insediato ho ricevuto lettere che mi pregavano di non accettare quel posto, io so solo che la sua televisione è stata fin dal primo momento al fianco delle battaglie del procuratore Gratteri e qui in Calabria non è per niente irrilevante».

Il “cuore“ delle notizie da Reggio a Catanzaro

FotoLaPresse

Il procuratore Nicola Gratteri, al di là delle polemiche che lo investono dentro e fuori la magistratura, ha inciso notevolmente in questi ultimi cinque anni nel contesto informativo calabrese. Ha spostato il “cuore” delle notizie da Reggio a Catanzaro, da ‘Ndrangheta City sciolta per mafia nel 2012 all’inchiesta Rinascita Scott del 2019.

Il centro della Calabria mafiosa e antimafiosa si è trasferito un centinaio di chilometri più su, il maxi processo, le uscite di Gratteri, i fuochi che accende. Reggio non è certo diventata periferia, ma da quando i procuratori Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino l’hanno lasciata (e da quando Scopelliti e il suo codazzo non sono più su piazza) la punta estrema della Calabria è come entrata in un cono d’ombra.

Claudio Cordova, fondatore e direttore de Il Dispaccio, quotidiano online di buona fattura e reputazione, dice che non è un momento felice per il giornalismo reggino: «Non si vuole più parlare di ‘Ndrangheta, la politica soprattutto non ne vuole parlare». E neanche di scandali o di vergogne: «Noi abbiamo raccontato tutti i legami dell'ex magistrato Luca Palamara con i giudici calabresi, abbiamo fatto nomi, spiegato gli intrecci. Cosa è accaduto? Assolutamente nulla, nessun giornale di carta o sito online ha ritenuto interessante le trame di Palamara con la giustizia di Reggio».

Alla fine di quest’altro viaggio nel giornalismo di una regione in fondo all'Italia, ci siamo immaginati una redazione formata da tutti i giornalisti calabresi che abbiamo incontrato, quelli vicini e quelli lontani. Alessia e Pablo, Giuseppe, Pietro, un’altra Alessia, Claudio, Camillo, Pasquale, un secondo Giuseppe, Arcangelo, Lucio, Giovanni. Una redazione fantastica. A patto che non ci sia un Citrigno come editore.

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