Lui dettava e gli altri firmavano. Certificati di buona condotta, attestati di sicura fede antimafia e di indubitabile onestà. Seguivamo puntualmente e misteriosamente lettere anonime recapitate alle procure, al presidente di Confindustria, al ministro dell’Interno. E, subito dopo, qualcuno provvedeva ad accedere illegalmente alla banca dati del Viminale. Spiavano, frugavano.

I nomi “controllati” a volte erano quelli di magistrati o imprenditori, a volte giornalisti e personaggi della politica siciliana che avanzavano qualche dubbio sulla credibilità di Calogero Antonio Montante detto Antonello, sulla genuinità della sua “lotta legalitaria”, sulla sua dedizione alla causa della giustizia. Per mostrarsi pubblicamente senza macchia Montante aveva a disposizione una perfetta macchina di propaganda, ogni volta che intravedeva anche solo la possibilità di una vaga critica, radunava i compari e tutti obbedivano. Firmavano.

«È un’altra sorta di inquinamento delle prove posta in essere dal Montante con la manipolazione di comunicati di solidarietà che soggetti a lui strettamente legati, e sotto la sua egida, inviano alle più alte Istituzioni dello stato», scrivono i poliziotti della squadra mobile di Caltanissetta in un’informativa che, in più passi, viene richiamata dalla giudice Graziella Luparello nella sentenza di condanna contro Montante e la sua banda. È una trama nella trama. Con la stampa amica che lo coccola, con quegli anonimi che in alcuni casi danno impulso a indagini intossicate, una disinformazione per alimentare la grande impostura di una Sicilia che si lascia per sempre alle spalle il suo passato. Tecniche di spionaggio e stile mafioso, un po’ di questo e un po’ dell’altro.

La corte dei miracoli

Sono 44 le pagine su 1.506 di quella che viene chiamata in gergo “cnr”, comunicazione di notizia di reato, che raccontano cos’è “la corte dei miracoli” intorno a Calogero Montante. Tutti piegati. Sembra che facciano a gara per proteggerlo, per rappresentarlo come l’eroe che combatte il male, ma dietro c’è sempre lui. Non sappiamo se è accaduto anche il 9 febbraio 2015, giorno in cui diventa pubblica la notizia che è sotto inchiesta per concorso esterno.

Comunque la lista dei difensori dell’(appena) indagato per mafia è lunga e in parte sorprendente. La apre Ivan Lo Bello il “gemello” siciliano di Montante che è presidente di Unioncamere e suo socio. Poi c’è il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, ci sono il governatore Rosario Crocetta e il sindaco di Catania Enzo Bianco, il presidente delle Federazione italiana Antiracket Tano Grasso, i sindacalisti al gran completo, la Legacoop.

C’è pure il presidente della Camera di commercio di Palermo Roberto Helg che, tre settimane dopo, verrà filmato da una telecamera dei carabinieri mentre chiede 100mila euro di tangente a un pasticciere. Il copione si ripete, sempre. La voce di Calogero Montante viene registrata dalle microspie e il “re della monnezza” Giuseppe Catanzaro prende nota: «Il Catanzaro gli chiedeva perfino chi dovesse firmare queste lettere e il Montante stabiliva che dovevano farlo, oltre il Catanzaro, tutti i cortigiani e faceva i nomi».

Il rappresentante di Confindustria Trapani Gregory Bongiorno, gli imprenditori Giuseppe Todaro, Salvatore Navarra e Rosario Amarù, il presidente di Confindustria Palermo Alessandro Albanese che un mese fa è stato nominato a capo di Sicindustria «e tale Tano, in riferimento al quale Montante diceva espressamente che, se si fosse rifiutato, l’avrebbero tagliato fuori da Confindustria». Poi l’attestato viene spedito a palazzo Chigi, al ministro della Giustizia, alla Direzione nazionale antimafia.

Non solo giornalisti

Un giorno Montante convoca nella sua villa di Serradifalco il presidente dei giovani industriali siciliani Silvio Ontario e gli ordina: «Scrivilo, devi scrivere che è fuori di testa». Il riferimento è all’ex assessore regionale alle Attività produttive Marco Venturi che si è presentato ai procuratori di Caltanissetta per denunciare Antonello, il destinatario dell’ennesima lettera è Squinzi. Sempre più agitato Montante dice a Ontario: «Devi scrivergli che hai sentito il bisogno di scrivere questa lettera per la stima che nutri verso di me per tutto quello che ho fatto per la legalità in Sicilia e in Italia». Lo invita a utilizzare un verbo: inquinare. E ancora, «scrivilo: tutti quelli che chiedono le mie dimissioni servono solo a disorientare i magistrati e l’opinione pubblica». Ontario cala la testa e scrive.

Più le indagini scavano contro Calogero Montante e più si intensifica la sua campagna per vendere un prodotto: sé stesso. Sta ultimando un memoriale in collaborazione con il cronista del Sole 24 Ore Roberto Galullo, il giornalista Filippo Astone dà fiato alle trombe con un articolo (Titolo: “Il nuovo mostro da sbattere in prima pagina”) dove gli sfugge qualche parola di troppo contro colleghi un po’ meno proni di quanto lo sia lui verso Montante, e intanto il gioco si fa duro.

Su un foglio locale il prefetto di Caltanissetta Carmine Valente rilascia un’intervista, qualche giorno dopo l’imprenditore Pasquale Tornatore ribatte stupito per gli elogi sperticati a Montante e al presidente della Sicilia Crocetta. Passa neanche una settimana e al prefetto arriva una busta chiusa, dentro un biglietto con un’immagine floreale e una scritta dal sapore minatorio. Il prefetto fa denuncia e l’inchiesta, pilotata, s’indirizza su Tornatore.

L’imprenditore viene indagato e trascinato sino al laboratorio di polizia scientifica di Palermo, dove gli prendono le impronte per confrontarle con quelle individuate sulla busta. È un tranello sbirresco, le impronte non sono le sue.

Tornatore viene sommerso da altre accuse e da altre indagini farlocche. Sono i tirapiedi di Montante che entrano in azione, uno è Salvatore Pasqualetto. Prima di inviare il suo esposto chiede, naturalmente a Montante, «vedi se va bene». Dopo le denunce, il sovrintendente di polizia Salvatore Graceffa “interroga” illegalmente la banca dati del Viminale e rovista intorno al nome di Tornatore. Si scoprirà che, su pressione di Montante, anche il capo centro di Caltanissetta della Direzione investigativa antimafia, il colonnello della Finanza Gaetano Scillia, genera indagini in laboratorio contro l’imprenditore. Dal nulla.

Gli amici al ministero

Qualcosa è capitato anche a me. Il 30 ottobre del 2015 scrivo un articolo su Repubblica dove racconto le scorribande dell’“Anonima Montante”, cinque giorni dopo – il 5 novembre – un messaggio anonimo destinato alla sede di Confindustria Sicilia segnala «il pericolo di vita corso dal Montante, dal Lo Bello, dal Catanzaro, dal Turco e dall’Albanese (tutti rappresentati degli industriali dell’isola legati mani e piedi a Montante, ndr) per opera di Bolzoni...».

Sempre il 5 novembre, il sovrintendente di polizia Salvatore Graceffa entra un’altra volta nel sistema informatico del ministero dell’Interno “attenzionando” il mio nome. Nel gennaio del 2016 nella villa bunker di Calogero Montante i poliziotti trovano un altro esposto anonimo indirizzato «ai dirigenti di Confindustria Sicilia» con su scritto: «Bolzoni farebbe parte di un gruppo di persone che avrebbe come strategia e mandato preciso di portarvi all’isolamento e fermare l’opera di legalità che avete intrapreso, Bolzoni non va in giro come giornalista ma come affiliato della mafia».

Il massimo della perversione comunicativa viene raggiunto però nel febbraio del 2015. Il 9 diventa pubblica la notizia dell’indagine su Montante per concorso in associazione mafiosa, la settimana dopo un esposto è depositato alla procura di Caltanissetta. È firmato dalla Confartigianato, dalla Confcommercio, Confcooperative, Confindustria, Associazioni cooperative italiane, Casartigiani, da Confapi industria Sicilia, Confagricoltura e dall’Associazione costruttutori edili di Sicilia. Montante sotto indagine? Tutti denunciano «la mano di una regia occulta e criminale».

Indagato sotto pseudonimo

La procura di Caltanissetta, dove Montante in effetti è indagato, segue la regola e delega alla squadra mobile un accertamento su sé stessa: chiede se in procura ci sia davvero un’indagine sul vicepresidente di Confindustria. La risposta dei poliziotti arriva burocraticamente un paio di giorni dopo: sì, come ben sapete, l’indagine esiste. Annotano i magistrati: «In riferimento al citato esposto e in particolare all’azione infamante contro Montante si sgombra il campo da ogni dubbio circa “la mano di una regia occulta e criminale” in quanto è stato instaurato presso quest’ufficio il procedimento penale numero 1699/14 su elementi concreti e indizi gravi, precisi e concordanti a carico di...». E qui c’è la sorpresa.

Calogero Antonio Montante è iscritto nel registro degli indagati ma, viste le sue aderenze con gli apparati che i procuratori già conoscono, non svelano la sua vera identità e utilizzano uno pseudonimo: Mauro Cavaleri. Nome molto comune nelle province interne della Sicilia, decisamente poco fantasioso. Perfetto per il fascicolo numero 1699/14.

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