Lavoratori senza contratto, dormitori negli spazi della produzione, fabbricazioni realizzate anche nell’arco della notte. Su questo e altro Valentino Bags Lab srl, società che dal 2014 realizza articoli da viaggio e accessori a marchio Valentino, «ha chiuso un occhio».

Per la procura di Milano, la nota casa di moda ha di fatto «agevolato il caporalato degli opifici cinesi», gli stessi a cui ha affidato, tramite una società in house, la produzione delle sue borse. Motivo per cui ieri, giovedì 15 maggio, la sezione misure di prevenzione del tribunale meneghino ne ha disposto l’amministrazione giudiziaria.

Valentino Bags Lab srl, da committente, ha «omesso i controlli» sulle aziende appaltatrici che, a loro volta, affidavano i lavori che avrebbero dovuto svolgere a subfornitori.

«Mediante il ricorso a subappalti non autorizzati si abbattono i costi ricorrendo al sistematico impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento», è quanto si legge nelle trenta pagine del decreto del tribunale.

Ombre cinesi

A leggere i bilanci della famosa srl, il valore della sua produzione nel 2023 è stato pari a circa 23 milioni di euro: dietro a tutti questi profitti, però, una catena di ombre e illiceità. Negli stabilimenti cinesi a cui il brand si affidava, la produzione avveniva d’altronde non solo «in condizione di sfruttamento», ma anche «in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico».

Lo dimostrano anche le ispezioni degli inquirenti su molte unità operative. «Il capannone (dei lavoratori, ndr) è costituito da un laboratorio e da un ufficio (...) Al primo piano c’erano un bagno, uno sgabuzzino, un piccolo locale con materiali accatastati e due stanze destinate originariamente “a deposito” ma di fatto adibite a camere da letto, ognuna delle quali arredata con un letto matrimoniale (...) al primo piano, originariamente registrato come locale unico destinato a locale “mensa” erano state realizzate, in abusivismo edilizio mediante l’utilizzo di tramezzi in cartongesso numero 4 camere, due da letto e altre due stanze di cui una con all’interno uno stendibiancheria e un letto singolo solo rete e materasso». Questa, non a caso, l’immagine dello sfruttamento restituita dagli investigatori: condizioni allarmanti e lesive di diritti e dignità.

Le misure

Oltre all’amministrazione giudiziaria per la srl, sono stati denunciati, a vario titolo, per caporalato e altre ipotesi di reato i sette titolari di aziende di origine cinese e sono state comminate ammende pari a 286mila euro e sanzioni amministrative pari a 35mila.

«Dalle dichiarazioni acquisite dall’amministratore unico Hu Xiaoan si aveva conferma che dal 2018 l’unico committente è la Valentino Bags Lab srl che oggi commissiona circa 4mila borse al mese i cui costi di produzione oscillano da euro 35 a euro 75 a borsa a seconda delle complessità di confezionamento e quindi dal tempo di produzione», si legge ancora nelle carte.

Per chi indaga i fatti sono dunque «connotati da una certa gravità». Anche perché i precedenti provvedimenti del tribunale di Milano «concernenti Armani, Dior e Alviero Martini hanno avuto una certa risonanza mediatica: nonostante ciò – è scritto nel decreto emesso dal tribunale di Milano – Valentino Bags Lab srl ha continuato a operare con fornitori che sfruttano i lavoratori, probabilmente al fine di ottenere una sorta di vantaggio competitivo sui concorrenti in termini di riduzione del costo di lavoro. Tutto ciò denota una certa pervicacia nel non voler adottare modelli organizzativi idonei ad evitare di agevolare i soggetti indagati».

L’inchiesta del Nucleo Ispettorato del Lavoro del Comando carabinieri di Milano, coordinata dal pm di Milano Paolo Storari, fa pertanto luce su «due mondi»: quelli «delle case di moda di lusso e degli opifici cinesi, che pur apparentemente distanti “entrano in connessione” con l’obiettivo di abbattere i costi e massimizzare i profitti attraverso la elusione di norme penali giuslavoristiche».

Due mondi lontani e incredibilmente vicini: le borse di haute couture da un lato, i lavoratori stretti «nella morsa della clandestinità e nella ridotta possibilità di emancipazione» dall’altro.

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