«Se viene fuori che eravamo tutti d’accordo è la fine». Così Francesca Immacolata Chaouqui si rivolgeva, su WhatsApp, a Genoveffa Ciferri. La lobbista, condannata nel processo Vatileaks II, commentava con la sodale di monsignor Alberto Perlasca le trame che, stando alle chat svelate da Domani nei mesi scorsi e depositate all’Onu dal finanziere Raffaele Mincione, avrebbero portato alla condanna in primo grado del cardinale Angelo Becciu per peculato e truffa.

Nella pratica la “papessa” sarebbe stata fondamentale per inchiodare il porporato, imbeccando, tramite Ciferri e l’uso di informazioni che solo promotori di giustizia e gendarmeria vaticana potevano conoscere, il grande accusatore dell’ex braccio destro di papa Francesco.

È questo il motivo per cui la giustizia d’Oltretevere, come rivelato dal Tg1, ha aperto un fascicolo contro la donna: Chaouqui è accusata di traffico di influenze perché avrebbe ricevuto denaro da Ciferri, nella specie 15mila euro, ma anche per subornazione per la presunta induzione di Perlasca a dare false dichiarazioni nel processo del secolo e, ancora, per falsa testimonianza resa in dibattimento.

Il ruolo di Diddi

Una sola indagata, dunque, è finita sotto la lente del tribunale vaticano a causa di una vicenda che, in realtà, in base alle ricostruzioni di questo giornale, non avrebbe coinvolto esclusivamente la lobbista originaria della Calabria, ma pure i pubblici ministeri del pontefice, tra cui Alessandro Diddi che, a processo ancora aperto, ha ricevuto da Ciferri chat compromettenti di Chaouqui.

Invece di renderle pubbliche e depositarle, il pm del papa ha aperto un fascicolo ad hoc, omissando quasi integralmente tutti i messaggi. Scelta che, secondo gli avvocati delle difese, è stata fatta per non inficiare l’andamento del processo.

Non solo, non è chiaro se il Vaticano abbia fatto qualcosa nei confronti del capo della gendarmeria Stefano De Santis, di cui Domani ha pubblicato un audio del 2020.

Audio in cui il commissario istruiva Chaouqui in merito a quanto Perlasca avrebbe dovuto scrivere all’interno dell’ormai famoso memoriale dell’estate di cinque anni fa. Quello contenente, cioè, le prime e gravi accuse nei confronti del cardinale a cui Francesco, subito dopo, ha tolto ogni diritto connesso al cardinalato.

Perché solo lei?

«La decisione del promotore di giustizia di aprire un fascicolo sui reati commessi dalla signora Chaouqui per inquinare il processo contro il cardinale Becciu e gli altri imputati è tardiva e giunge a distanza di ben tre anni», commenta l’avvocato Cataldo Intrieri, che difende Fabrizio Tirabassi, tra i coinvolti nel processo contro Becciu.

Il legale continua: «Il promotore dimentica di procedere contro altri soggetti che all’interno degli uffici inquirenti hanno prestato ascolto a Chaouqui come risulta dalle registrazioni pubblicate da Domani. C’è un conflitto di interessi e riteniamo che della vicenda debba occuparsi la procura di Roma».

Perché il tribunale vaticano ha deciso di agire solo nei confronti della lobbista che, secondo Ciferri, chiese «30mila euro (ricevendone a quanto pare 15mila, ndr) come ricompensa del suo operato?» Perché le difese dei condannati in primo grado, da Becciu a Mincione, stanno affilando le armi per l’appello che inizierà a settembre, e che si baserà soprattutto sull’origine di un processo che, in qualsiasi altro paese civile, sarebbe stato, dopo la pubblicazione della chat, probabilmente inficiato.

«La verità ha cominciato a farsi largo, evidenziando uno sconcertante piano di inquinamento che ha condizionato l’indagine prima e il processo poi», dichiarano gli avvocati del cardinale, Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo.

Un «piccolo strumento»

La vicenda Chaoqui-Ciferri-De Santis ha messo definitivamente in dubbio la reale terzietà degli uffici degli inquirenti vaticani, oltre alla genuinità dell’atto di accusa di Perlasca, che sembrerebbe essere stato dettato da certi condizionamenti da parte dell’accusa per il tramite della “papessa”.

Non è tutto. Nelle loro conversazioni, Chaouqui, davanti a Ciferri, si mostrava sempre informatissima. A novembre del 2020 ad esempio era certa. «Perlasca verrà prosciolto. Su questo non ci sono dubbi. Se per tranquillizzarlo vuoi parlare con Diddi o con la gendarmeria non c’è problema», scriveva. Così è andata. Perlasca è stato prosciolto, mentre Becciu condannato.

Anche Ciferri era sorpresa: «Fantastico come tu faccia a sapere queste indiscrezioni!». Poi, ancora. «Con l’operazione tua hai salvato Perlasca e hai fatto dimettere quello (Becciu, ndr)», diceva Ciferri, in un vocale del 28 settembre 2020, ottenuto da questo giornale, a Chaouqui. Che ribatteva: «Io sono stata un piccolo strumento di questa vicenda». Strumento in mano a chi? Chissà se il tribunale d’Otretevere ha intenzione di scoprirlo.

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