Dopo i messaggi pubblicati da Domani sul processo, il cardinale annuncia azioni legali. Gli avvocati del finanziere Mincione e di Marogna: «Indagini gravemente falsate»
«Sconcerto e indignazione». Sono i sentimenti che Angelo Becciu, il cardinale “licenziato” da Francesco, dice di star provando. Condannato nel 2023 a cinque anni e sei mesi per truffa e peculato, il porporato ha sempre parlato di «macchinazioni» nei suoi confronti. E oggi, dopo le rivelazioni di Domani e le nuove carte che sembrano mettere in dubbio la reale terzietà della giustizia d’Oltretevere, torna a ribadirlo.
Un nuovo esposto
Si tratta di «un’indagine costruita a tavolino su falsità, che ha ingiustamente devastato la mia vita e mi ha esposto a una gogna di proporzioni mondiali. Ora, finalmente, spero che il tempo dell’inganno sia giunto al termine. Come si legge in uno dei messaggi riportati: “Se scoprono che eravamo tutti d’accordo è finita”. Una frase che, da sola, è più che eloquente», dichiara ancora Becciu, riportando uno dei messaggi pubblicati da questo giornale e intercorsi tra Francesca Immacolata Chaouqui, la lobbista condannata nel processo Vatileaks II, e Genoveffa “Genevieve” Ciferri, la sodale di monsignor Alberto Perlasca, grande accusatore del cardinale.
Due donne che, nelle conversazioni su WhatsApp, integralmente depositate all’Onu, paiono avere un obiettivo comune: vendicarsi di Becciu e salvare Perlasca da eventuali contestazioni. Entrambe, dunque, tirano in ballo il promotore di giustizia, accusa nel “processo del secolo”, Alessandro Diddi. «Se viene fuori che eravamo tutti d’accordo è la fine», scrive la “papessa” a Genevieve.
Un’affermazione che, come molte altre, suscita dubbi e domande: qual è stato il vero ruolo di Diddi, ma anche della gendarmeria e degli altri investigatori, nel procedimento vaticano?
Un interrogativo a cui le parti in causa stanno cercando di dare una risposta. A questo proposito Becciu ha fatto sapere di aver «conferito mandato agli avvocati, Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, di intraprendere ogni azione giudiziaria necessaria per fare piena luce su condotte così sconcertanti, che nulla hanno a che fare con la ricerca della verità».
Un esposto, insomma, verrà presto presentato.
Dove? Probabilmente sulle scrivanie dei pm capitolini, seppur in questo caso si potrebbero aprire problematiche sulla competenza per territorialità. L’ipotesi di reato che si valuta di avanzare è più in particolare quella di sottrazione di corpo di reato.
In maniera analoga a intervenire, dopo le notizie pubblicate dal quotidiano, sono anche i legali del finanziere Raffaele Mincione, che pure andò alla sbarra una volta aperto il processo contro Becciu, riguardante la famosa compravendita di un palazzo a Londra e la gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana: «Prendiamo atto di una serie di conversazioni tra il Promotore di Giustizia dello Stato Città del Vaticano, Alessandro Diddi, e Genevieve Ciferri, nonché tra quest’ultima e Francesca Immacolata Chaouqui. Contenuti che rivelano il coinvolgimento attivo dell’autorità giudiziaria vaticana e degli investigatori, nonché di soggetti estranei alle indagini e al processo, nella preparazione della testimonianza chiave di monsignor Alberto Perlasca».
L’appello a Diddi
Gli avvocati di Mincione sono chiari: «Le conversazioni emerse denunciano che il processo è stato, sin dalla sua origine, gravemente falsato. L’assenza di imparzialità e la manipolazione del principale testimone d’accusa non rappresentano semplici vizi formali, ma elementi che minano la validità e la credibilità dell’intero giudizio».
Un procedimento, a detta della difesa, fatalmente pregiudicato. Anche «dall’ammissione di un sistema: l’esigenza espressa dalla Chaoqui, di mantenere “due piani”, “Il piano della verità dove tutti sapevano, dal Papa in giù, cosa stavamo facendo”. E l’altro piano che è quello processuale, dove bisogna affermare che nessuno sapeva, perché se tutti sapevamo il processo è nullo ed è un complotto».
Un appello rivolto direttamente a Diddi è poi quello che proviene dall’avvocato Cataldo Intrieri, difensore di Fabrizio Tirabassi, coinvolto nello stesso processo. «Appena avremo conoscenza del materiale depositato prenderemo insieme al collega Massimo Bassi le opportune iniziative – dice l’avvocato – per intanto ci auguriamo che il promotore di giustizia Diddi voglia prendere atto del gigantesco conflitto di interessi di cui è protagonista e faccia un formale passo indietro».
Chiede chiarezza anche Riccardo Sindoca, procuratore speciale in atti e coordinatore del collegio difensivo di Cecilia Marogna, meglio conosciuta come “la dama del cardinale”, condannata due anni fa a 3 anni e nove mesi nel processo vaticano per i 575mila euro ottenuti dalla Segreteria di Stato tramite Becciu per presunte finalità umanitarie.
«A fronte di queste nuove chat – dichiara Sindoca – chiederemo la possibilità di acquisirle. Chiediamo anche che sulla questione si esprima al più presto il promotore di giustizia vaticana Alessandro Diddi. Ci appelliamo all’etica del professionista. Cecilia Marogna è estranea a qualsivoglia affare mobiliare o immobiliare ma è stata colpita da subito, poiché asset informativo importante e strategico, da delegittimare innanzi all’opinione pubblica, perché al vertice di un servizio e di una rete importante di intelligence e diplomazia parallela, voluta da Becciu nell’interesse esclusivo della Santa Sede».
Dal Vaticano, dove è in corso l’appello, nessun commento.
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