La procura chiude le indagini: a rischio processo Fares Bouzidi, già condannato per la fuga, e il militare che guidava l’auto dell’Arma. Al centro dell’inchiesta lo schianto in cui ha perso la vita il 19enne Ramy Elgaml
La Procura di Milano ha chiuso le indagini sull’incidente che il 24 novembre scorso è costato la vita a Ramy Elgaml, diciannove anni. Due le persone ora formalmente indagate per omicidio stradale: l’amico Fares Bouzidi, che guidava lo scooter T-Max su cui il ragazzo viaggiava come passeggero, e il carabiniere al volante della Giulietta dell’Arma che li inseguiva.
Secondo la procura, entrambi avrebbero concorso a determinare la dinamica mortale: Bouzidi per aver guidato in modo pericoloso, senza patente e sotto effetto di stupefacenti; il carabiniere per la condotta tenuta durante l’inseguimento, durato circa otto chilometri tra le vie cittadine.
La condanna di Bouzidi
La scorsa settimana, Bouzidi è stato già condannato in primo grado a due anni e otto mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale, in un processo con rito abbreviato celebrato davanti al gip Fabrizio Filice. In quel procedimento si è ricostruita la fuga: la mancata risposta all’alt dei carabinieri, l’inseguimento a velocità elevata e contromano, e la perdita di controllo del mezzo all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, dove il T-Max è andato a schiantarsi contro un semaforo. La morte di Ramy, però, non era oggetto di quel giudizio: è al centro di un procedimento separato, che ora arriva a conclusione della fase istruttoria.
Versioni opposte sulla dinamica dello schianto
Sulle cause dell’incidente mortale restano posizioni divergenti. Secondo i consulenti nominati dalla procura, non vi sarebbero elementi per attribuire responsabilità dirette ai carabinieri. Ma la famiglia di Ramy, assistita dall’avvocata Barbara Indovina, contesta questa ricostruzione. Il consulente di parte, l’ingegnere Matteo Villaraggia, sostiene che senza un contatto tra la Giulietta e lo scooter, il mezzo avrebbe potuto proseguire dritto, evitando l’urto contro il semaforo che ha causato la morte del ragazzo.
Questa perizia alimenta la tesi secondo cui lo schianto non sarebbe stato solo frutto della condotta di Bouzidi, ma anche delle manovre dell’auto dei carabinieri, che, secondo la difesa, avrebbe urtato o avvicinato pericolosamente lo scooter.
L’ombra del depistaggio
La chiusura delle indagini è l’ultimo passaggio prima della possibile richiesta di rinvio a giudizio per entrambi gli indagati. Se il pm chiederà il processo, sarà il giudice a valutare il rinvio a giudizio per omicidio stradale, che vedrebbe sul banco degli imputati sia il giovane alla guida del T-Max che il militare che lo inseguiva.
Restano inoltre aperte altre piste investigative: in particolare, un ulteriore filone riguarda presunte manomissioni o omissioni nei verbali redatti dai militari nelle ore successive all’incidente.
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