Castel Gandolfo, da quattro secoli residenza papale fuori porta, a Leone XIV piace. Non solo infatti vi passerà due settimane dal 6 al 20 luglio e poi i giorni a cavallo di Ferragosto, ma l’ha visitata già il 29 maggio e il 3 luglio. Francesco invece non ha mai amato Castello, la cittadina laziale – o meglio, le ville pontificie che l’hanno resa famosa – così chiamata in Vaticano.

Nel 2013 papa Bergoglio vi è andato tre volte per poche ore, all’inizio del pontificato: il 23 marzo per l’incontro con Benedetto XVI (che vi si era stabilito temporaneamente dopo la rinuncia), il 14 luglio per una breve visita e il 15 agosto per la messa dell’Assunta, celebrata in piazza. Poi non vi è più tornato. Ma diversi sono stati i pontefici allergici a Castello; tra loro, Innocenzo X (1644-1655) e Pio VI (1775-1799), che non vi misero mai piede.

Il Palazzo Apostolico di Castelgandolfo Foto Ansa

Urbano VIII

Più numerosi i papi frequentatori di questa residenza. Il primo fu il fondatore delle ville, Urbano VIII, che già da cardinale prediligeva la località, da lui ritenuta la più salubre dei Castelli romani. Poi dal 1626 papa Barberini prese a soggiornarvi – di solito a maggio e a ottobre – e iniziò a firmare documenti ex arce Gandulphi. Il coltissimo riformatore Benedetto XIV (1740-1758) diceva invece ai cortigiani, che lo assillavano in campagna, di non volere «rompimenti di testa» perché «ce li siropperemo quando saremo a Roma».

Ben dodici sono stati i papi assidui, anche per lunghi periodi. Tra loro, tutti e sei i predecessori di Bergoglio (senza contare Luciani, morto nel 1978 dopo poco più di un mese di pontificato): dal rifondatore di Castello, nonché costruttore dello stato vaticano, Pio XI (1922-1939), fino a Benedetto XVI. Pacelli – che durante la guerra fece ospitare migliaia di rifugiati nelle ville, bombardate due volte, e poi vi tornò tutti gli anni per lunghi mesi – e Montini vi sono anche morti.

Ecco perché ha fatto notizia l’indifferenza di papa Francesco, molto criticata dai castellani, cioè gli abitanti di Castel Gandolfo, ma non solo. Nello spirito del tempo Bergoglio ha voluto aprire al pubblico anche le ville pontificie, ma in modo naturalmente molto controllato e soprattutto a pagamento, data la situazione disastrosa dei bilanci vaticani.

Meno comprensibile e ancor più criticata è stata la decisione di includere nelle visite il palazzo papale, dov’è stato allestito un itinerario di modesto interesse artistico, al contrario degli splendidi giardini, fitti di antiche e impressionanti rovine romane. Di conseguenza Leone XIV è stato costretto ora a ripiegare nel palazzetto di villa Barberini, ampliato da Taddeo, nipote di Urbano VIII, e in anni recenti utilizzato dal segretario di stato.

Papa Benedetto XVI durante le vacanza a Castel Gandolfo Foto Ansa/L'Osservatore romano

L’opera di Bonomelli

Castello fa dunque parte delle vicende del papato moderno e contemporaneo. Ma molto più antica è la sua storia, che risale alla fine del I secolo ed è stata ricostruita nel 1953 nelle cinquecento pagine di un libro davvero magnifico, I papi in campagna, da Emilio Bonomelli, al quale Pio XI affidò la rinascita delle ville.

Bresciano ed esponente del Partito popolare, Bonomelli era amico di De Gasperi e di Montini, e l’anno prima di pubblicare il suo libro li aveva sostenuti nello sventare l’operazione Sturzo, tentativo di coalizzare le destre nelle elezioni comunali di Roma ispirato da Pio XII. Direttore delle ville per quarant’anni, Bonomelli poco più tardi fu anche osservatore permanente della Santa sede presso l’Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione delle Nazioni unite, unico laico ad avere ricoperto questo ruolo diplomatico.

Fondato su ricerche d’archivio e prefato da Silvio Negro, vaticanista principe, il libro di Bonomelli ha avuto un seguito. Saverio Petrillo, un suo successore, ha infatti pubblicato I papi a Castel Gandolfo (Edizioni Musei Vaticani), breve testo in buona parte fotografico e prezioso per le notizie di prima mano.

A poco più di venti chilometri a sud di Roma, dalle pendici occidentali del lago di Albano fin quasi al mare si estendeva la gigantesca villa dell’imperatore Domiziano, le cui rovine sono comprese nei 55 ettari delle ville pontificie, zona extraterritoriale più vasta dello stato vaticano, che di ettari ne conta 44. Oltre il tratto di una via lastricata come l’Appia e un piccolo teatro dove Marziale e Stazio recitarono i loro versi, spicca il lunghissimo portico coperto – ben 120 metri, per una larghezza di quasi 8 – utilizzato dal sovrano, il più grandioso conosciuto nel mondo antico.

La macchina di Pio XI

In questo scenario unico, utilizzato spesso nel medioevo come cava di marmi pregiati (anche per la cattedrale di Orvieto), nel corso del XVII secolo prendono forma le attuali ville pontificie. Che decadono tra il crollo dello stato pontificio nel 1870 e la firma degli accordi del Laterano nel 1929. A porre mano anche alle ville – e a farvi costruire pollai davvero unici perché decorati da colorate ceramiche che raffigurano galline, galli e oche – è Pio XI, che in un sopralluogo, compiuto in gran segreto per seguire i lavori a Castello, diventa l’unico papa la cui macchina fora e si blocca.

Era il tardo pomeriggio del 10 luglio 1933. «La brezza che stormiva leggera fra le chiome degli elci – ricorderà Bonomelli, che accompagnava papa Ratti – portava i profumi e il vasto respiro dell’estate dalla sconfinata campagna, fiammeggiante laggiù fra l’ondeggiare violaceo del terreno nelle ombre segnate dal sole radente, fino all’azzurro splendore del mare; che s’offriva per la prima volta, dopo anni di clausura, allo sguardo estatico del vecchio Pontefice». Intanto, più prosaicamente, i suoi uomini si affannavano a rappezzare in qualche modo la camera d’aria della gomma bucata.

Le cronache di Castel Gandolfo registrano anche il tradimento di Pio XII, ormai moribondo. Durante l’agonia lunga e penosa – seguita parossisticamente da agenzie di stampa e giornali, per un equivoco usciti in edizioni straordinarie che annunciarono la morte il giorno prima della morte del papa, avvenuta all’alba del 9 ottobre 1958 – il suo medico Riccardo Galeazzi Lisi, mediocre, dedito al gioco e affamato di denaro, arrivò a fotografare il pontefice, che respirava con l’aiuto di una bombola d’ossigeno, e a vendere le crude immagini.

La piscina di Giovanni Paolo II

Uno scoop furono invece il 18 luglio 1989 le foto di Giovanni Paolo II, di casa a Castello che chiamava «il Vaticano II», come il concilio. Dopo lunghi appostamenti, il pontefice venne infatti ripreso da un teleobiettivo mentre, in maglietta, pantaloni lunghi bianchi e scarpe da ginnastica scure, strizzava il suo costume sul bordo della piscina coperta realizzata nelle ville grazie ai cattolici canadesi di origine polacca.

Nella piscina Leone XIV tornerà a nuotare, come il suo predecessore. «Era stata una sua esplicita richiesta fin dall’inizio del pontificato», e Wojtyła la utilizzò fino al 2004, «due volte al giorno, prima del pranzo e prima di cena», ricorda Petrillo. Del resto un conclave sarebbe costato di più, replicava ammiccando con arguzia Giovanni Paolo II a chi gli riferiva le scandalizzate critiche, non solo curiali.

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