La Chiesa italiana alza la voce contro il declino irreversibile di una parte ampia del Paese messa nero su bianco dal documento del governo dal titolo: “Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne”, nel quale si descrive un quadro di progressivo collasso demografico, sociale ed economico di vaste aree occupate da piccoli centri, borghi, campagne, in prevalenza nel Mezzogiorno del Paese, ma non solo.

Con una lettera aperta, rivolta al governo e al parlamento, sottoscritta a conclusione dell’annuale convegno dei vescovi delle Aree interne tenutosi a Benevento il 25 e 26 agosto, e firmata da 139 tra cardinali, arcivescovi, vescovi e abati, la Chiesa italiana ha espresso il proprio forte dissenso rispetto a una prospettiva di declino definita nel documento promosso dalla Cei come «un invito ad arrivare al servizio di un “suicidio assistito” di questi territori».

Si parla, infatti, di struttura demografica ormai compromessa, «con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da rendere socialmente dignitoso per chi ancora vi abita».

In sintesi, si afferma nel documento ecclesiale, quello delineato nel piano del governo è «il sostegno per una morte felice». Sono parole che non lasciano spazio a dubbi sul pensiero dei vescovi, una doccia fredda per il governo guidato da Giorgia Meloni che pensava di aver messo a posto una volta per tutte le relazioni con la Chiesa. E tuttavia, da tempo la Cei aveva sollevato il tema delle aree interne del Paese, sottoposte a un degrado economico e sociale cui il governo non pare intenzionato a porre rimedio.

Non solo disuguaglianze

D’altro canto la lettera al governo si apre con un’analisi chiara della situazione: «Nella difficile fase in cui siamo immersi è indubbio che nel Paese si sta allargando la forbice delle disuguaglianze e dei divari, mentre le differenze non riescono a diventare risorse, tanto da lasciare le società locali – e in particolare i piccoli centri periferici – alle prese con nuove solitudini e dolorosi abbandoni. Sullo sfondo, assistiamo alla più grave eclissi partecipativa mai vissuta».

Per i vescovi, a questo punto, «s’impone, dunque, una diversa narrazione della realtà, capace nel contempo di manifestare una chiara volontà di collaborazione e di sostegno autentico ed equilibrato, al fine di favorire le resistenze virtuose in atto nelle cosiddette Aree interne, dove purtroppo anche il senso di comunità è messo a rischio dalle continue emergenze, dalla scarsa consapevolezza e dalla rassegnazione».

Non mancano le critiche a come sono stati gestiti gli aiuti economico-finanziari in questi anni: «Non possiamo del resto non considerare come, nel corso degli anni – si legge in proposito nel testo – documenti e decreti governativi e regionali siano finiti in un ingorgo di dispositivi legislativi per lo più inapplicati, non di rado utili soltanto a consolidare la distribuzione di finanziamenti secondo logiche politico-elettorali, mettendo spesso le piccole realtà in contrasto tra loro e finendo per considerare come progetti strutturali piccoli interventi stagionali».

Anche in ragione di ciò, «come vescovi e pastori di moltissime comunità fragili e abbandonate – viene detto nella lettera – non possiamo e non vogliamo rassegnarci alla prospettiva adombrata dal Piano strategico nazionale delle Aree interne».

Secondo la denuncia dei vescovi italiani guidati dal card. Zuppi, fra i primi firmatari del documento, «in questi luoghi in cui la vita rischia di finire, essa può invece assumere una qualità superiore: guardarli con lo stesso spirito con cui ci si pone al capezzale di un morente sarebbe – oltre che segno di grave miopia politica – una tartaruga fatta alla nazione intera, poiché un territorio non presidiato dall’uomo è sottoposto a una pressione maggiore delle forze della natura, con il rischio – per nulla ipotetico – di nuovi e sempre più vasti disastri ambientali, senza contare il rischio della perdita di parte di quell’immenso patrimonio artistico-architettonico che fa dell’Italia intera un museo a cielo aperto».

I vescovi chiedono dunque, che «s’incoraggi il controesodo con incentivi economici e riduzione delle imposte», si ricerchino soluzioni innovative in materia di smart working e coworking, innovazione agricola, turismo sostenibile, «valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, piani specifici di trasporto, recupero dei borghi abbandonati, co-housing, estensione della banda larga, servizi sanitari di comunità, telemedicina».

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