«Nessuna mancanza di rispetto, sono stato collegato dall’inizio alla fine. Avevo preso impegni già da tempo, ho incontrato cittadini e famiglie che stanno soffrendo, associazioni con cui avevo un impegno, se non fossi andato lì sarebbe stata mancanza di rispetto».

Giuseppe Conte minimizza la sua presenza da remoto – peraltro con uno sfortunato collegamento intermittente – al Forum Ambrosetti di Cernobbio, domenica mattina. Ma nella giustificazione gli sfugge una verità: l’intenzionalità della scelta di «distanziamento fisico» con l’incontro annuale del salotto buono dell’imprenditoria italiana. Voleva restare «con le famiglie che stanno soffrendo» anziché come gli altri leader andare a contendersi l’applausometro del parterre industriale di Villa D’Este.

Non è la prima volta che sceglie di tenere lontano, almeno a livello di immagine, un mondo che pure all’inizio della carriera da premier lo aveva vezzeggiato (ricambiato). Anche l’anno scorso, da ex premier, era stato invitato.

E invece si era collegato in videoconferenza. Gli anni precedenti, da premier, a Cernobbio era andato di persona. In quell’autunno stava affrontando la pandemia, le prime basi del Pnrr ma anche la crisi strisciante del suo governo. Di lì a pochi mesi si sarebbe dimesso, dopo le minacce di Matteo Renzi e l’evidenza di non essere in grado di trovare voti aggiuntivi alla maggioranza giallorossa.

Ma in quel momento, lui, a Cernobbio ancora credeva alla sua durata. Non gli era venuto un mezzo dubbio neanche ascoltando gli scarsi applausi raccolti. In realtà nella platea già serpeggiava il nome di Mario Draghi.

Lontano dai poteri

A fine agosto si è fatto notare per l’assenza dal Meeting di Rimini: altra diserzione dalla ribalta dei circoli di potere. Per la verità stavolta si è trattato di un’assenza suo malgrado. L’anno scorso era stato invitato, nonostante la collezione di attacchi di Beppe Grillo al movimento di Comunione e liberazione, primo motore del Meeting. Conte ci era andato volentieri: aveva anche chiesto di fare un punto con la stampa da lì.

Quest’anno la convocazione non è arrivata. La motivazione ufficiale degli organizzatori è che il presidente del M5s non poteva essere previsto nel format dell’incontro con i leader perché riservato solo alle forze aderenti all’intergruppo parlamentare per la sussidiarietà.

E nell’intergruppo i grillini sono tutti dell’area scissionista del ministro Di Maio. In realtà neanche Azione ha parlamentari nell’intergruppo, ma per Carlo Calenda a Rimini comunque è stato inventato uno spazio “talk”.

Demonizzati e felici

E allora Conte ha fiutato l’occasione per giocare la carta dell’uomo “contro”: «Io e il movimento non siamo potenti, evidentemente esiste questa conventio ad excludendum. Che la facciano pure, poi decideranno i cittadini». Così può rivendicare la ritrovata natura antipolitica e la nuova collocazione di “vera sinistra”.

Dal quartier generale di Conte infatti gongolano per l’obiettivo raggiunto e la risalita nei sondaggi. «Nei comizi Conte sottolinea sempre che c’è una esagerata demonizzazione delle misure dei Cinque stelle e di sé stesso, nonostante siano cose molto positive per i cittadini», viene spiegato. «Ma perché ci demonizzano così tanto?», viene chiesto con esibita ingenuità.

Ma è una domanda retorica, e infatti arriva subito la risposta: «Il reddito di cittadinanza aiuta i poveri. Il Superbonus aiuta le famiglie e va nella direzione della transizione ecologica. Il cashback dava soldi ai consumatori che usavano la carta. Abbiamo tagliato vitalizi, le pensioni d’oro e numero dei parlamentari. Cioè abbiamo fatto cose buone. Eppure siamo demonizzati da tutti in modo esagerato. L’unica spiegazione è che ci siamo occupati dei cittadini e non dei poteri forti».

L’atteggiamento comincia a irritare, o forse a preoccupare, gli ex alleati giallorossi. Ieri dalla Sicilia Enrico Letta ha definitivamente mandato l’ex «riferimento del centrosinistra» a quel paese: perché autore di un «voltafaccia» anche per le elezioni regionali, e a livello nazionale della scelta del draghicidio che, dice il segretario Pd, «sta avendo conseguenze negative per Mezzogiorno e per le famiglie sul tema bollette e caro energia».

Anche Nicola Fratoianni, leader rossoverde, comincia a essere stufo di un ex che ora chiede il voto della “sinistra genuina” e degli ecologisti puntando ad asfaltare l’elettorato altrui: «Quello di stabilire il grado di genuinità di sé stessi è un vecchio vizio che non ha mai portato troppa fortuna a sinistra», spiega.

«Per quello che mi riguarda, sono solo contento che la parola sinistra e le proposte di sinistra tornino così improvvisamente di moda. Non ho né vocazioni proprietarie né ansie da prestazione. Poi, dal 26 settembre, mi auguro che tutto questo slancio sopravviva alla campagna elettorale».

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