Con il ddl Zan, il disegno di legge volto a prevenire e contrastare l’omobitransfobia, la questione Lgbt è divenuta materia di un dibattito acceso non solo nell’emiciclo del Senato, ma anche nella chiesa cattolica. Alla luce delle obiezioni su alcuni contenuti del disegno di legge, presentate il 22 giugno scorso all’ambasciata italiana presso la Santa sede, il Vaticano è di fatto passato da ascoltatore a interprete della questione omosessuale nella società italiana: i contenuti del testo sollecitano, infatti, due tendenze nella chiesa cattolica, dottrinale e pastorale.

Si tratta di due facce del poliedro ecclesiale che il magistero di papa Francesco, per certi versi, sta misurando come mai prima. Se, prima dell’avvento del papa argentino, il terreno di dialogo sulle tematiche Lgbt era, infatti, confinato all’hortus conclusus della Congregazione per la dottrina della fede, l’approccio di un pontefice incline ai «processi aperti» ha allargato la questione all’ambito pastorale, con l’effetto di generare onde e risacche anche laddove la dottrina era percepita come il punto fermo di questioni divisive anche dal punto di vista pastorale.

Una crepa nascosta

Bergoglio ha, tuttavia, accelerato un processo già insito nella chiesa cattolica di matrice europea. Lo ricordava nel 1999 il maestro generale dei domenicani, padre Timothy Radcliffe che, rivolgendosi ai vescovi riuniti nel Sinodo speciale per l’Europa, aveva detto: «Spesso parliamo delle persone: le donne, i poveri, gli immigrati, i divorziati, coloro che hanno abortito, i detenuti, quanti hanno l’Aids, gli omosessuali, i tossicodipendenti. Le nostre parole per Cristo, tuttavia, non avranno vera autorità a meno che, in un certo senso, non riconosciamo autorità alla loro esperienza, non accettiamo quanto hanno da offrirci». 

Da allora sono passati 20 anni perché, per la prima volta nella storia della chiesa, in un documento preparatorio al Sinodo sui giovani nel 2015 facesse capolino l’acronimo Lgbt in sostituzione della semplicistica definizione «omosessuale». In campo sessuale, il magistero della chiesa cattolica segue da sempre quanto emesso dalla Congregazione per la dottrina della fede, l’organo vaticano che si fa interprete della Rivelazione e dei principi morali che riguardano i fedeli e tutta l’umanità. Quando la nota diplomatica datata 17 giugno menziona le «espressioni della Sacra scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina», fa riferimento proprio a tale linea. Da pochi anni, nella chiesa d’Oltralpe c’è chi chiede di far coincidere queste due facce altrimenti operando cesure. Lo ha ricordato l’arcivescovo di Vienna, il cardinale il cardinale Christoph Schönborn, intervistato da La Civiltà Cattolica: «La dottrina non è un’enunciazione astratta senza legame con “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. La pastorale non è una realizzazione degradata, perfino pragmatica, della dottrina».  

Dottrina o pastorale

 Al di qua delle Alpi, le cose non sono semplici. Le istanze avanzate in contesto italiano sul ddl Zan mostrano lo iato tra una pastorale inclusiva e una dottrina immobile, come si legge in controluce dall’intervista fatta su Repubblica l’8 luglio al presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, sulle benedizioni omosessuali: «La Congregazione ha ribadito che non è possibile benedire alcuna coppia che viva stabilmente al di fuori del matrimonio, anche se formata da persone di sesso diverso. Il Catechismo è chiaro: le persone omosessuali devono essere accolte “con rispetto, compassione, delicatezza” evitando “ogni marchio di ingiusta discriminazione”».

Fra i porporati italiani che incarnano l’approccio pastorale di Bergoglio figura il cardinale Matteo Zuppi. L’arcivescovo di Bologna ha curato la prefazione al libro del gesuita James Martin, Un ponte da costruire sulle persone Lgbt nella chiesa, ricordando come l’esortazione apostolica di papa Francesco, Amoris Laetitia, favorisca una prospettiva che «traduce in itinerari pastorali la dottrina di sempre». Ma come si sposa quest’ orientamento con «gli insegnamenti della chiesa circa la condizione delle persone omosessuali, chiari e sinteticamente espressi nel Catechismo della chiesa cattolica», com’egli stesso scrive? Se lo chiedono le associazioni cattoliche Lgbt e diversi teologi, che ravvisano in alcuni passi del Catechismo un cortocircuito laddove gli atti omosessuali sono definiti «intrinsecamente disordinati» perché precludono al dono della vita.

Il testo, d’altronde, segue la linea del magistero di papa Paolo VI che, nell’enciclica Humanae vitae, ricordava che «la dottrina è fondata sulla connessione inscindibile tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo . un atto di amore reciproco, che pregiudichi la disponibilità a trasmettere la vita che Dio creatore di tutte le cose secondo particolari leggi vi ha immesso, è in contraddizione sia con il disegno divino». 

Dialogo e assenso

 Anche Marcello Semeraro, elevato cardinale nell’ultimo conclave è, in mezzo alle berrette più renitenti sul tema, portavoce dell’accoglienza Lgbt. Nel 2018 ha ufficialmente preso parte al Forum italiano dei cristiani Lgbt ad Albano Laziale e, come il cardinale Zuppi, ha firmato la prefazione a L’amore possibile di Aristide Fumagalli, imprescindibile riferimento teologico sull’amore omosessuale.

Leggendo le sue parole, emerge l’esigenza di una sempre più crescente urgenza pastorale: «Il tema dell'omosessualità oggi deve senz'altro essere considerato, anche nella Chiesa, come realtà umana dalla quale non ci si può estraniare. L'azione ecclesiale, o pastorale, ne è sempre più coinvolta ed è cosa che io percepisco nel dialogo coi miei collaboratori e gli operatori pastorali nei diversi ambiti, fra cui al primo posto ci sono la catechesi, la pastorale per l'educazione e la scuola, la pastorale giovanile e quella della famiglia» scrive.

Dal punto di vista dottrinale, il porporato torna, però, a fare riferimento al magistero della chiesa fondato sul Catechismo. Era emerso nel caso del Responsum con cui la Congregazione della dottrina della fede aveva negato di fatto la benedizione alle coppie dello stesso sesso – peraltro disattesa dalla chiesa in Germania -: «Non si può legittimare con una benedizione, come viene spiegato, una coppia che sia al di fuori “dell’unione indissolubile di un uomo e una donna, aperta di per sé alla trasmissione della vita”, secondo il disegno di Dio», aveva ribadito al Corriere della Sera il 16 marzo, menzionando la visione antropologica che la Congregazione per la dottrina della fede aveva espresso a chiare lettere in un documento del 1986, proponendo l’unione eterosessuale come moralmente legittima, perché l’unica capace di trasmettere la vita.  

Immobilità  

Se la linea di alcuni porporati può definirsi un misto tra prudenza e ambivalenza, c’è una gerarchia che preferisce rimanere in silenzio sul tema. Sono lontani i tempi in cui l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, prendeva parte al dibattito sui Dico ricordando che la «natura stessa della famiglia è fondata su il matrimonio di un uomo e di una donna». Persino il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, preferisce la sobrietà alle parole usate nel 2015, quando commentava il sì del referendum irlandese ai matrimoni omosessuali come una «sconfitta per l’umanità».

Per trovare obiezioni più nette ai recenti documenti dottrinali occorre andare Oltralpe oppure Oltreoceano. Lo statunitense James Martin, per esempio, ha commentato su Il Regno le posizioni del magistero sulla cosiddetta «teoria gender» enunciate dal controverso documento Maschio e femmina li creò: «Questa visione tradizionale è contraddetta dalla comprensione attuale della maggior parte dei biologie degli psicologi sia della sessualità sia del gender», aggiungendo che «il documento ignora ciò che oggi noi lentamente stiamo comprendendo sul mondo naturale, nel quale vediamo uomini e donne attratti da persone dello stesso sesso che quanto a sessualità e a volte anche a genere, si pongono lungo un continuum più che in un punto fisso».

L’analisi di Martin coincide sì con l’approccio pastorale di Bergoglio, ma si concede qualche libertà in più rispetto ai prelati italiani. D’altronde, è proprio un papa extra-europeo ad aver posto la questione Lgbt su un piano pastorale. Il pontefice stesso eredita il lascito delle Americhe, quando l’attenzione per le minoranze omosessuali scaturì da una riflessione sull’emarginazione dei malati di Aids. Dagli anni Novanta è iniziato, così, un processo si costruzione dell’esperienza di fede che non prescindesse da letture teologiche del magistero. Su questo solco si annoverano i dialoghi interreligiosi maturati nel I Simposio di teologia queer (2012), nonché le ricerche condotte da teologi cattolici come il brasiliano padre José Antonio Trasferetti, il domenicano Carlo Mendoza Álvarez, o il biblista Manuel Villalobos Mendoza.

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