L’aumento del costo delle materie prime e la ricerca di prezzi più bassi nel settore agroalimentare, da parte dei consumatori, rischiano di pesare sulle filiere produttive italiane di maggiore qualità ma con prezzi superiori alla media. A lanciare l’allarme la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna) Agroalimentare – sentita in audizione dalla commissione Agricoltura alla Camera oggi, 27 aprile – che sottolinea come le imprese non abbiano ancora interamente scaricato l’inflazione subita sui prezzi di vendita.

A rischio è l’intera filiera produttiva, già colpita dai rincari prodotti dalla pandemia, e non solo, e ulteriormente minacciata dall’attuale situazione di crisi causata dall’invasione russa dell’Ucraina. I due paesi, Russia e Ucraina, sono infatti centrali nella fornitura di materie prime, quali frumento, soia, mais e olio di girasole. Ma, secondo il documento depositato alla Camera dal sindacato, la crescita dei prezzi di oggi non è solo la conseguenza della guerra: si era già registrato un calo delle produzioni a causa del crollo dei raccolti in Canada, dove nell’estate del 2021 in alcune zone non aveva piovuto e le temperature erano elevatissime. Per la siccità la produzione del paese nordamericano è crollata del 46 per cento già la scorsa estate e di conseguenza i prezzi sono aumentati. Così anche altri paesi tra i principali produttori mondiali di cereali: Turchia, Algeria e Stati Uniti, sottolinea il rapporto. 

La Russia ha poi il primato nell’esportazione mondiale di fertilizzanti, occupando il 13 per cento del totale dell’export, pari a 6,1 miliardi di euro. L’Italia, fa notare Cna, si posiziona 48esima tra i paesi che importano questi prodotti dalla Russia, «con più di 24 milioni di euro acquistati nel 2020», che equivalgono al «5 per cento circa degli acquisti nazionali di fertilizzanti nel 2020», si legge nel documento.

Ma rimane l’aumento del prezzo dell’energia «il principale fattore scatenante dell’inflazione dei prodotti alimentari», avverte il sindacato, sottolineando che colpisce tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione, dallo stoccaggio alla vendita al dettaglio. 

la dipendenza italiana

L’Italia dipende in buona parte dalle forniture estere di beni di prima necessità, soprattutto per quanto riguarda il frumento duro, il frumento tenero e il mais, riuscendo a produrre internamente rispettivamente il 60, il 35 e il 53 per cento. Questo comporta una forte esposizione alle oscillazioni del mercato e ai rincari. 

L’aumento del prezzo del gas naturale ha poi un forte impatto sulla produzione di fertilizzanti azotati, i cui costi rischiano di arrivare al 200 per cento su base annua, osserva Cna. Ad aggiungersi i costi del gasolio agricolo, più che raddoppiati. 

La dipendenza europea

«La Russia e l’Ucraina rappresentano insieme oltre il 30 per cento del commercio mondiale di frumento e orzo, il 17 per cento del mais e oltre il 50 per cento dell’olio di girasole», scrive Cna nel documento depositato in commissione. E l’impossibilità per gli agricoltori ucraini di seminare in questa stagione porta necessariamente a conseguenze negative future per i paesi dell’Unione europea, che nel 2020 hanno importato dall’Ucraina beni agroalimentari pari a 5,8 miliardi di euro. Il rapporto di Cna sottolinea poi che «il 48,9 per cento di cereali, inclusi il grano e il riso, importati dall’Ue vengono dall’Ucraina», oltre al «48,5 per cento degli oli vegetali» e al 25,1 per cento della carne di pollo».

La Commissione europea ha inoltre manifestato preoccupazione per l’impatto che i rincari possono avere sui paesi africani o del Medio Oriente: l’Ue teme un’ulteriore ondata migratoria, dopo la grande accoglienza degli oltre 5,3 milioni di ucraini.

Le importazioni dalla Russia da parte dell’Ue nel settore agroalimentare sono invece inferiori, ma le imprese italiane ed europee subiscono comunque conseguenze soprattutto per quanto riguarda alcuni prodotti, come i mangimi, lo zucchero e i semi oleosi.

L’aumento dei prezzi

Alla base dei rincari, il ruolo della Russia come fornitrice di gas naturale sia sul piano globale, circa il 23 per cento, sia sul piano europeo, circa il 40 per cento. Le sanzioni, fa notare il sindacato, hanno contribuito all’aumento dei prezzi del greggio di oltre il 60 per cento. 

Secondo i dati riportati da Cna, è poi cresciuto del 47 per cento in un anno il prezzo delle uova, quello della farina 00 del 48 per cento e tra il 70 e il 120 per cento il prezzo all’ingrosso del burro, per un insieme di fattori: il costo delle materie prime, come il mangime per gli animali, e i costi energetici. Nell’Ue sono stati registrati aumenti di più 170 per cento dei concimi, più 90 per cento dei mangimi e più 129 per cento del gasolio. 

«Sono pochissimi i prodotti che vanno oltre l’inflazione, malgrado le aziende abbiano subito aumenti che partono, in scala minore, dal 25 per cento», ha detto Gabriele Rotini, responsabile nazionale Cna, riferendosi agli imballaggi, al cartone, al vetro, alle pellicole. Sono dunque le piccole imprese che stanno sostenendo gli aumenti senza che vengano interamente caricati sul prezzo di vendita finale. Secondo i dati riportati dalla tabella di Adiconsum infatti i rincari nell’ultimo anno vanno dal più 19,9 per cento per gli oli alimentari diversi dall’olio d’oliva al più 2,9 per cento per il riso. Tra gli altri, più 13,5 per cento invece per i vegetali freschi, escluse le patate, più 10 per cento per la pasta, più 6,7 per cento per la farina e più 3,6 per cento per lo zucchero.

i terreni incolti

Per cercare di ammortizzare la crisi, il sindacato ha poi rilanciato l’idea di recuperare i terreni incolti – in Italia si parla circa di 200mila ettari – per la coltivazione di semine, che porterebbe il nostro paese, secondo lo studio di Cna, a «produrre circa 15 milioni di quintali aggiuntivi di mais per i mangimi, di grano duro per la pasta, e di grano per il pane». 

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