Continua con la sua 33esima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.


Viviamo in un paese dove tra le parole «velocità» e «legalità/trasparenza» non esiste la vocale “e”, sinonimo di congiunzione, ma la vocale “o”, sinonimo di alternativa: fare presto o fare bene? Pare, leggendo il nuovo codice degli appalti – Decreto Lgs 31 maggio 2023, n. 36 – che il primo principio prevalga sul secondo e che, più che fare bene, rispettando le regole alla luce del sole, per il nostro legislatore sia importante fare presto.

Ci sono tanti soldi in ballo tra Pnrr, Olimpiadi, ecc. Che illusione! Le regole, secondo i fautori del nuovo codice, sono percepite e vissute come lacci e lacciuoli, come un ostacolo allo sviluppo, piuttosto che uno strumento che stabilisce e garantisce diritti e doveri. Le regole, si dice, sono troppe.

Questo è vero, ma non si può accettare che una ragionevole e diffusa richiesta di semplificazione normativa si trasformi, di fatto, in una estesa deregolamentazione, che rischia concretamente di alterare il principio della libera concorrenza e di aprire dei varchi importanti per mafiosi e corrotti, da sempre interessati ad inserirsi e ad operare nel settore degli appalti.

Nelle settimane precedenti all’approvazione del nuovo codice degli appalti, Avviso Pubblico, Legambiente, Libera e Cgil hanno inviato al presidente del Consiglio, al ministro delle Infrastrutture e ai presidenti delle commissioni parlamentari competenti, una lettera con allegata un’articolata tavola sinottica in cui, chiedendo di essere auditi, evidenziavano i punti critici della riforma e proponevano di riflettere su possibili alternative in grado di coniugare semplificazione, legalità, concorrenza, sicurezza sul lavoro e velocità. Nessuna risposta è mai arrivata ai mittenti da parte degli autorevoli destinatari.

«Con le nuove norme che entreranno in vigore dal mese di luglio, il 98 per cento degli appalti verrà assegnato senza quelle garanzie previste nelle gare d’appalto che sono state introdotte nel nostro ordinamento sulla base di un’esperienza pluriennale e concreta di prevenzione e contrasto all’illegalità» hanno scritto le tre associazioni e il sindacato, riscontrando che questo loro alert è stato condiviso, tra gli altri, anche dal Forum disuguaglianze e diversità, da Openpolis, dal Centro Pio La Torre e da altre realtà del Terzo Settore.

Cosa non va

Nello specifico, tra i punti di criticità del nuovo Codice appalti evidenziati da Avviso Pubblico, dalle altre associazioni e dalla Cgil vale la pena evidenziare i seguenti:

1) il conflitto di interessi. Il nuovo codice prevede l’inversione dell’onere della prova, mentre era necessario intervenire in una logica di semplificazione, rispettosa della vigente normativa europea, in grado di tutelare le stazioni appaltanti nell’individuare i reali contraenti ed eventuali rapporti con soggetti terzi;

2) Dibattito pubblico: il nuovo Codice di fatto ha azzerato l’effettiva utilità del dibattito pubblico, regolato finora dal Dpcm 76/2018, cancellando la Commissione nazionale, uno strumento concepito per sottoporre ad un esame partecipato le ragioni e le caratteristiche dei cantieri da avviare, riducendo i contenziosi che spesso li accompagnano;

3) Stazioni appaltanti: moltiplicare il numero di questi organismi, oltre ad aver innalzato a livello critico le soglie per l’affidamento diretto degli appalti, significa incidere negativamente sulla spesa pubblica, sulla qualità delle prestazioni e dei controlli e, quindi, agevolare potenzialmente azioni pressorie da parte della criminalità organizzata ed economica. Sarebbe stato più opportuno intervenire per favorire comparazione e ricerche di mercato, rotazioni e strumenti che evitassero di ridurre imparzialità e trasparenza nella gestione di risorse pubbliche;

4) Appalto integrato: averlo reintrodotto, prevendendo nuovamente che progettazione ed esecuzione dei lavori possano essere svolti dal medesimo soggetto, significa aumentare i rischi di incremento dei costi, trasformare le stazioni appaltanti in semplici pagatori e, da ultimo, favorire possibili infiltrazioni criminali;

5) Subappalti: aver reintrodotto i cosiddetti subappalti a cascata significa ridurre la capacità di controllo sulle opere, favorire l’espansione di logiche illegali e di sfruttamento, che possono concretamente incidere negativamente sulla qualità delle opere, sul loro costo e sulla sicurezza nei luoghi lavoro.

Siamo proprio sicuri che deregolamentare per velocizzare possa essere considerato un pilastro che sta alla base dello sviluppo di un paese democratico? Amaramente, constatiamo che trattasi di una domanda retorica.

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