C’è una sola regione in Italia che nel mezzo della peggiore pandemia da un secolo a questa parte ha rimosso il suo assessore alla Sanità, sostituito due direttori generali dello stesso assessorato e decapitato la principale società regionale incaricata di gestire le vaccinazioni anti Covid-19.

Si tratta della Lombardia, la regione che fino a poco tempo fa era considerata il fiore all’occhiello della sanità italiana e che, dopo un anno di gestione disastrosa sotto quasi ogni aspetto, è divenuta oggetto di sarcasmo e ironie.

«Quando si è formato il governo Draghi, Salvini ha detto che avrebbe portato l’esperienza lombarda nell’organizzazione delle vaccinazioni anti Covid-19: per fortuna non è stato ascoltato», dice Pierfrancesco Majorino, ex  assessore di Milano e oggi deputato del Pd al Parlamento europeo, dove ieri ha depositato un’interrogazione parlamentare sulla gestione lombarda della pandemia.

Ma nonostante gli errori dell’ultimo anno e gli innumerevoli scandali che hanno colpito il centrodestra regionale nel decennio precedente, la coalizione tra Lega e Forza Italia sembra impossibile da scalfire. Fino a poco tempo fa erano pochi quelli che mettevano in dubbio una vittoria del centrodestra alle prossime elezioni. Qualcosa però sembra che stia iniziando a cambiare.

L’Impero celeste

Le critiche a quello che un tempo era il più apprezzato sistema sanitario italiano sono oramai un argomento che si discute nel talk show. La sanità lombarda che vediamo oggi è una creazione di Roberto Formigoni, presidente della regione dal 1995 al 2013, soprannominato il “celeste” per via della sua appartenenza al movimento cattolico Comunione e liberazione.

Considerata a lungo la migliore d’Italia, nell’ultimo anno la sanità lombarda ha mostrato i limiti che molti dei suoi critici indicavano da anni in libri e riviste poco frequentati dal grande pubblico.

Il sistema creato da Formigoni, e soltanto parzialmente riformato dal suo successero Roberto Maroni, è accusato di aver creato una sanità in cui ai privati vengono lasciate tutte le attività sanitarie più remunerative, operazioni semplici e costose, mentre il pubblico deve sobbarcarsi i compiti più gravosi in termini economici e di personale: medicina di emergenza, prevenzione, gestione delle malattie comuni o di quelle estremamente rare.

«Come parte di questo progetto la sanità territoriale è stata smantellata e tutto è stato concentrato negli ospedali», spiega il dottor Mario Riccio, anestesista all’ospedale di Cremona, una delle aree più colpite della Lombardia dopo Bergamo, e consigliere generale dell’associazione Luca Coscioni. «In questa situazione, quando ti arriva un evento come una pandemia che necessita di avere un territorio forte, non c’è niente che puoi fare, perché non hai proprio una struttura».

La caduta

Riccio conosce bene il sistema creato da Formigoni perché ha lavorato al suo interno fin dal principio. Quando nel 2012 quel sistema è crollato sotto le inchieste della magistratura e lo stesso Formigoni è stato condannato per corruzione, come molti anche Riccio pensava che fosse finalmente arrivato il momento di cambiare guida della regione.

All’epoca era candidato alla regione con il Psi. «Ci sembrava impossibile perdere – racconta – era un calcio di rigore a porta vuota». Ma invece il candidato del centrosinistra Umberto Ambrosoli è stato nettamente sconfitto da Maroni.

Le sconfitte

Per alcuni la sconfitta del centrosinistra dopo la fine disastrosa dell’esperienza di Formigoni non è stata una sorpresa. «Il problema è che in Lombardia ci sono interessi molto radicati, non cambia voto da molto tempo: c’è una coalizione dominante come quella del centrosinistra in Emilia-Romagna», dice il professor Nicola Pasini, che insegna alla facoltà di scienze politiche dell’università statale di Milano.

Pasini ricorda che la sinistra in Lombardia ha governato solo per una breve parentesi, mentre esiste una sorta di continuità tra governi della Democrazia cristiana nella prima repubblica e del centrodestra nella seconda. Prima del 2013 e del 2018, il centrosinistra aveva già perso nettamente nel 1995, nel 2000, nel 2005 e nel 2010.

«Nel 2013 la coalizione di centrodestra era ancora granitica – dice Pasini – la Lega in questi territori c’è da una vita, ed essendo sul territorio ha creato una simbiosi tra interessi consolidati di natura economica e ceto politico: insieme al Veneto, la Lombardia è l’unica regione in cui la Lega esprime ancora una classe dirigente».

Secondo Pippo Civati, ex candidato alla segreteria del Pd, oggi editore ma per molti anni consigliere regionale in Lombardia: «C’è un blocco antropologico prima che politico che ha permesso al centrodestra di vincere in ogni modo. La giunta Formigoni era stata archiviata per mafia, nel 2012, l’assessore Zambetti era stato arrestato per voti di scambio con la ‘ndrangheta».

La condanna è stata confermata recentemente dalla corte di cassazione: l’assessore alla Casa aveva comprato 4mila voti dai clan per le elezioni amministrative del 2010. Eppure allora, dice Civati «quando chiedevo le dimissioni di Formigoni mi prendevano per pazzo». Il centrosinistra ,dice, è sempre stato «timido, paludato istituzionale».

Gli avversari

Quanto i successi del centrodestra sono vittorie di una coalizione competitiva e quanto invece vanno a demerito dei suoi avversari è una domanda che sembra sempre aleggiare quando si parla di Lombardia.

«Il centrosinistra ha sempre fatto fatica a entrare in sintonia con la Lombardia lontana dai centri, che vive e lavoro con uno stile e principi che non sono quelli della città – dice Jacopo Scandella, consigliere regionale del Pd di Bergamo - Abbiamo sempre faticato nella fascia pedemontana, popolate di piccoli imprenditori gelosi dei propri spazi e che volevano una politica che essenzialmente non gli rompesse le scatole».

Ma oltre alla distanza antropologica, ci sono anche errori più concreti. Scandella ricorda la campagna elettorale del 2013, quella che avrebbe dovuto essere un gol a porta vuota. Il centro sinistra scelse il suo candidato a dicembre 2012. Ambrosoli iniziò la campagna elettorale a gennaio e le elezioni furono a febbraio. «La Lombardia ha le dimensioni e la complessità di uno stato, non puoi pensare di arrivare alla competizione elettorale con una preparazione di sei mesi, figurarsi di due soltanto», dice Scandella.

Ma secondo Scandella c’è anche altro, una sorta di “sindrome di Stoccolma” del centrosinistra che, fino alla pandemia, sosteneva, come la destra, che il modello lombardo era un modello vincente. «Alle ultime elezioni nel 2018 ci siamo presentati con lo slogan “fare meglio” del candidato alla presidenza Giorgio Gori, sindaco di Bergamo», racconta Scandella. Uno slogan che sembrava dire che il sistema funzionava ed era solo questione di migliorarlo. «Nell’ultimo abbiamo scoperto che invece non era questione di fare meglio, ma di fare altro. Serve tutta un’altra Lombardia, c’è una radicalità che dovremmo inserire nella nostra proposta».

Il futuro

Michele Usuelli, consigliere regionale alla prima legislatura con Più Europa-Radicali, sostiene che già oggi la presidenza sarebbe contendibile. Ma anche con Ambrosoli all’inizio sembrava così e la partita appariva aperta.

In questi mesi l’opposizione ha presentato mozioni di sfiducia che avrebbero portato a elezioni anticipate e che sono state respinte. Ma ha anche agito fuori dal consiglio. «Con la piattaforma Milano 2030 abbiamo organizzato manifestazioni di protesta nonostante la pandemia per chiedere il commissariamento», ricorda Majorino che punta a cercare di accendere i riflettori anche dell’Unione europea. L’ex assessore di Milano è convinto che il centrosinistra per vincere in regione debba lavorare per «una offerta molto ampia», ma l’essenziale è «ragionare come se domani mattina ci fossero le elezioni».

 

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