«Si deve essere portati a ritenere plausibile che Fioravanti e gli altri soggetti che parteciparono alla strage del 2 agosto 1980 siano stati finanziati e coordinati da un livello strategico superiore, nel quale operavano esponenti della loggia massonica P2 e soggetti appartenenti ai servizi segreti».

È uno dei passaggi chiave delle 1.724 pagine delle motivazioni della sentenza, depositate mercoledì 5 aprile dalla Corte d’assise di Bologna, con cui esattamente un anno fa Paolo Bellini è stato condannato all’ergastolo per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, in cui 85 persone persero la vita e oltre 200 rimasero ferite.

Le sentenze

Si tratta di un documento imponente, che fa il paio con le 2.154 pagine delle motivazioni della sentenza precedente, del gennaio 2020, con cui pure all’ergastolo era stato condannato Gilberto Cavallini dei Nar.

È dunque una nuova stagione giudiziaria sull’attentato terroristico più grave della storia italiana, per il quale già da tempo sono stati condannati in via definitiva gli altri ex Nar Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini.

Si tratta ovviamente di sentenze solo di primo grado, l’appello per Cavallini scatterà tra l’altro tra pochi giorni. E servirà tempo per valutare nel dettaglio le motivazioni del processo Bellini, viste le loro dimensioni. Il passaggio citato all’inizio, lo avete letto, è espresso in termini di plausibilità: il che è ovvio, perché il processo di per sé non ha riguardato quel «livello strategico superiore».

«Pienamente coinvolti»

Diversi e stratificati erano infatti gli elementi emersi nel corso dell’inchiesta della procura generale, che avocò a sé quella portata avanti dalla procura ordinaria, che intendeva archiviarla. A processo era sì l’ex avanguardista Bellini, oltre a due imputati minori (Luigi Segatel, ex carabiniere, e l’immobiliarista romano Domenico Catracchia, in sostanza per aver sviato le indagini: pure loro sono stati condannati), ma alla base stava la cosiddetta “inchiesta mandanti”: indagini appunto sul livello superiore rispetto a quello degli esecutori materiali della strage.

E dunque Licio Gelli e Umberto Ortolani, cioè i vertici della P2, Federico Umberto D’Amato, a lungo a capo dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, e il giornalista Mario Tedeschi, già direttore del Borghese e senatore del Movimento sociale. Tutti scomparsi da tempo e non più processabili. Ma che in questa sentenza sono indicati come appunto pienamente coinvolti, con prove «eclatanti».

Il colpevole

Partiamo però da Bellini. Il giudizio della Corte d’assise è netto: contro di lui gli elementi probatori a suo carico, si legge, «si palesano, sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo, come di gran lunga maggiori e più incisivi rispetto a quelli ravvisati a carico di altri soggetti che sono stati condannati per lo stesso fatto».

E cioè il suo volto in un filmato amatoriale di un turista svizzero, girato pochi minuti dopo l’esplosione, il suo riconoscimento in quel Super 8 da parte dell’ex moglie, il racconto di quest’ultima di avergli fornito a suo tempo un alibi falso.

Ma sono oltre 500 le pagine in cui il profilo criminale di Bellini, pluriomicida, è scandagliato. Compresi i suoi incredibili rapporti con il magistrato Ugo Sisti, allora procuratore della Repubblica proprio a Bologna.

A Bologna

La sostanza è: Bellini lo ha sempre negato ma a Bologna c’era eccome – la prova è in quel filmato – «con mansioni esecutive e di raccordo con gli altri concorrenti». Mentre la condanna degli ex Nar, è noto, si è basata su una ampia serie di elementi solo indiziari, benché univoci e convergenti.

Tra l’altro, la Corte d’assise ricolloca tra gli esecutori anche Sergio Picciafuoco: scomparso lo scorso anno, era stato assolto dopo un complicato iter processuale (anche lui quella mattina era in stazione a Bologna: rimase addirittura ferito), ma nuovi elementi portati dalla Procura generale consentono a giudizio della Corte d’assise di comprenderlo nella scena della strage.

Segui i soldi

LAPRESSE

A proposito degli ex Nar, comunque, la corte cita diffusamente l’intercettazione ambientale del 1996 di un dialogo casalingo tra Carlo Maria Maggi, a capo di Ordine nuovo nel Triveneto (e condannato in via definitiva per la strage di piazza della Loggia a Brescia), la moglie e il figlio Marco: «Alla domanda di quest’ultimo, Maggi rispose che Fioravanti e Mambro erano stati “sicuramente” gli autori della strage di Bologna, aggiungendo, con evidente riferimento a Fioravanti: “Eh... intanto lui ha i soldi”».

I soldi, appunto. Qui, a giudizio della corte, sta la chiave della partecipazione dei Nar alla strage. Soldi provenienti da una oscura movimentazione di milioni di dollari su propri conti correnti da parte di Licio Gelli nelle settimane immediatamente precedenti la strage, come emerso clamorosamente nel corso dell’inchiesta della procura generale: si tratta del cosiddetto “documento Bologna”, un foglietto di pugno dello stesso Gelli scovato in maniera rocambolesca dopo tanti anni tra i corpi di reato dell’inchiesta sul crack del Banco Ambrosiano.

Almeno un milione sarebbe passato brevi manu da Gelli (o chi per lui) agli attentatori, il 31 luglio 1980 a Roma: questa era la tesi della procura generale.

Le indagini continuano

In sentenza per altro si legge che «in ordine alla ricezione della predetta somma di denaro da parte dei terroristi non consta la sussistenza di prove dirette». Ma subito dopo si legge anche che «nessuno ha mai sostenuto che il cerchio su questo punto si sia chiuso».

Come dire che le indagini non si fermeranno. E comunque, secondo la Corte, resta «dato indiziante grave, la considerazione che a partire da un certo momento nella loro difesa, Mambro e Fioravanti hanno cercato di trovare un modo per spostarsi lontano proprio nella giornata del 31 luglio, che è quella in cui ragionevolmente potrebbe essere stata loro consegnata una somma di denaro in contanti».

Tanti alibi hanno prodotto, compresa l’insostenibile versione di un viaggio Roma-Taranto-Roma in giornata: alibi tutti falliti.

Il ruolo di Gelli

Il “documento Bologna” attesta anche l’erogazione di notevoli somme a D’Amato e Tedeschi. Ma il motore di tutto fu Gelli. Che la sentenza definisce «non uno stragista qualunque, è uno stratega che opera in Italia per conto dei circoli americani, come è stato appurato nei processi e nelle indagini della commissione parlamentare, con forti sostegni in America latina, oltre che nella massoneria internazionale».

D’altra parte già era stato condannato per i depistaggi delle indagini su Bologna. E se uno depista, è il ragionamento logico, lo fa per allontanare i sospetti da sé. Lo fece attraverso pressioni sulle istituzioni (il “documento artigli”, altro elemento di prova tenuto nascosto per anni), ma rimane la domanda: perché orchestrò la strage? Quale era la finalità politica?

Il movente

Qui vanno lette le prime 400 pagine delle motivazioni, che tracciano un ampio quadro della “strategia della tensione” avviata con la strage di piazza Fontana e in cui va inscritta anche la bomba alla stazione, che non va letta dunque come molla scatenante di un ipotetico colpo di stato.

L’obiettivo era invece quello di tenere in pugno il paese (già “controllato” dalla P2 attraverso suoi uomini ai vertici di tutti i servizi segreti) per realizzare quanto contenuto nel “Piano di rinascita democratica” messo a punto già anni prima, in uno scenario internazionale che era ancora quello della guerra fredda, con il Pci visto sempre e comunque come il nemico da mettere all’angolo.

Tutto questo in un quadro nazionale in cui i Nar vennero di fatto utilizzati dalla P2, mentre le tante sigle dell’eversione nera di fine anni Settanta altro non erano che una nuova incarnazione saldata e animata da neofascisti della stagione precedente, legati ai servizi e allo stesso Gelli.

Mentre Fioravanti «in quel momento era considerato sul piano operativo il soggetto più determinato ed incontenibile e, dunque, di fronte all’invito a partecipare ad un’impresa così eclatante, si poteva prevedere che non si sarebbe tirato indietro». Alla faccia dello “spontaneismo”.

© Riproduzione riservata