Il cardinale ha ufficializzato la decisione di non partecipare al conclave. Nuove chat sul “rapporto” tra il porporato e il segretario di Stato vaticano. Molti gli interrogativi senza risposta. A cominciare dal ruolo del giudice
«Avendo a cuore il bene della chiesa, che ho servito e continuerò a servire con fedeltà e amore, nonché per contribuire alla comunione e alla serenità del conclave, ho deciso di obbedire come ho sempre fatto alla volontà di papa Francesco pur rimanendo convinto della mia innocenza». È una dichiarazione lapidaria quella del cardinale Angelo Becciu che martedì 28 aprile ha ufficializzato la scelta di non eleggere il prossimo pontefice.
Non una parola in più sulle ragioni che l’hanno spinto a rinunciare al posto in Sistina: un passo indietro sofferto, di cui questo giornale ha già raccontato i retroscena, dalle lettere che Bergoglio ha scritto prima di morire – con la volontà messa nero su bianco di escludere il porporato sardo dall’adunanza cardinalizia – fino all’incontro segreto con il segretario di Stato, Pietro Parolin.
Il conclave farà dunque a meno di Becciu. Ma il cardinale – che continua a proclamarsi innocente nonostante la condanna in primo grado a cinque anni e sei mesi per truffa e peculato – non rinuncerà all’altra grande “battaglia” che sta combattendo: dimostrare d’essere stato vittima di un presunto complotto, che getta ombre sulla reale terzietà della giustizia d’Oltretevere e che, in base a chat e audio inediti, pubblicati da Domani e depositati all’Onu, sarebbe stato ordito da più persone alle sue spalle.
Da un lato la lobbista Francesca Immacolata Chaouqui che, tramite dettagli di cui solo gli inquirenti erano a conoscenza, ha, al tempo, imbeccato e convinto Genoveffa “Genevieve” Ciferri, sodale di monsignor Alberto Perlasca, a far parlare quest’ultimo: sarà proprio il monsignore a consegnare agli inquirenti, nell’estate nel 2020, un ricco memoriale contenente le principali accuse contro Becciu.
Al suo interno, come detto, informazioni di cui solo gli investigatori – dai promotori di giustizia Alessandro Diddi e Gian Piero Milano al commissario della gendarmeria vaticana Stefano De Santis – erano a conoscenza.
Parole, opere e omissioni
E a proposito di promotori di giustizia, a rilevare nuovi elementi è un ulteriore messaggio di Ciferri. Stavolta la sodale di Perlasca non lo invia a Chaouqui ma ad Alessandro Diddi. «Professor Diddi», scrive a novembre del 2022 la donna al magistrato del papa, «i suggerimenti di quel memoriale a cui oggi Perlasca non ha saputo rispondere in merito a chi li avesse sono stati suggeriti dalla signora Chaouqui a me, come provenienti da lei».
Cioè da Diddi stesso. Che, come già raccontato da questo giornale, prima ha negato di conoscere o di aver avuto alcun contatto diretto con la lobbista, poi ha aperto un nuovo fascicolo penale su un ipotetico inquinamento della sua indagine, depositando i messaggi con Ciferri in maniera quasi del tutto omissata. All’epoca sia Chaouqui sia Ciferri vennero convocate dal tribunale vaticano per raccontare la propria verità dei fatti. Ma adesso diverse domande sorgono spontanee: che fine ha fatto quell’indagine? Come si è conclusa?
E perché Giuseppe Pignatone, allora presidente del tribunale della Santa sede, non chiese il deposito integrale–– e non omissato, appunto – delle chat in questione? Molti interrogativi che tuttavia restano al momento senza risposta.
Amici nemici
Ma torniamo al conclave. A cui il cardinale Angelo Becciu, a seguito delle polemiche immediatamente susseguitesi dopo la morte di Francesco, ha scelto di non partecipare.
Una decisione che, come detto, sarebbe stata sollecitata da Parolin, al momento tra i più “papabili” per la successione sul trono di Pietro. Parolin avrebbe infatti ribadito a Becciu l’autenticità delle lettere papali e, ancora, la circostanza secondo la quale, davanti alla volontà del pontefice tumulato a Santa Maria Maggiore, nessun cardinale della Congregazione avrebbe avuto da ridire.
In effetti nel corso della riunione dei porporati di lunedì 28 aprile nessuno, in base a quanto appreso da questo giornale, avrebbe preso le difese di Becciu, compresi i cardinali “amici”.
Tra Becciu e Parolin a ogni modo, sempre in base alle ricostruzioni che emergono dalle chat Chaouqui-Ciferri, non sarebbero mai intercorsi buoni rapporti. D’altronde è la lobbista, in un messaggio su WhatsApp di agosto 2020, a rivelare a Ciferri che del contributo alle indagini fornito da monsignor Perlasca Parolin sarebbe stato «felicissimo».
Perché? Perché il segretario di Stato era, a detta di Chaouqui, lieto delle deposizioni di Perlasca, atte a inchiodare Becciu? Non è dato sapere. Di certo sono sempre le chat tra le due donne a delineare il clima che all’epoca si poteva respirare in segreteria di Stato.
Ciferri scrive: «Sì, questo si, posso confermarlo che all’epoca (Becciu ndr) tendeva a farsi percepire all’esterno ancor più importante di Parolin. Anche il volpetto pirla (Perlasca ndr) lo percepiva cosi. Parolin veniva sempre identificato come persona spregevole da Becciu. E, soprattutto ricordo il termine che usava Becciu, riferitomi da Perlasca “anaffettivo”, di cui mi chiedevo il perché, in quanto rappresenta una specificazione precisa».
E ancora: «In effetti c’è stato un momento in cui Parolin scompariva di fronte a Becciu... anche in SdS (Segreteria di stato, ndr) non ci nascondeva che l’uomo del papa fosse Becciu… ma questa non è solo una mia impressione, ma il comune sentire».
Risponde Chaouqui: «Parolin si sentiva soverchiato e più volte ha lamentato questo al pontefice che poi ha sconfessato sempre più il ruolo di Becciu tanto da non andare più nel suo appartamento e da nessuna parte e a non ricevere nessuno dei politici che lui indicava».
Una rivalità sommersa? In conclave, adesso, non ci sarà più da preoccuparsi.
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