I retroscena sulla decisione (ufficiosa) del cardinale di non partecipare al conclave. E spuntano le chat sul segretario di Stato: «Se è colpa sua, non può essere di Becciu»
Un nuovo colpo di scena. Il cardinale Angelo Becciu sarebbe pronto a rinunciare ad entrare in conclave. Una scelta che dovrebbe venire ufficializzata nei prossimi giorni e che l’ex braccio destro di Bergoglio avrebbe preso a seguito della Congregazione dei porporati di lunedì 28 aprile.
Becciu, nonostante la condanna a cinque anni e sei mesi per truffa e peculato nel “processo del secolo”, avrebbe voluto partecipare all’elezione del prossimo pontefice. Una presenza, la sua, non gradita a gran parte dei colleghi col posto in Sistina. Persino il papa, come ricostruito nei giorni scorsi da Domani, avrebbe firmato prima di morire due lettere mettendo nero su bianco la volontà di escludere il fedelissimo, che tra l’altro era già stato privato di ogni diritto cardinalizio, dall’adunanza dei porporati.
Lunedì 28 aprile la fumata nera: cioè la decisione (ufficiosa) di Becciu. Questo giornale è in grado di rivelare i retroscena che avrebbero portato il cardinale sardo a riflettere sulla scelta. La sera di domenica 27 aprile ci sarebbe stato un incontro segreto tra Becciu e il cardinale Pietro Parolin. Nel corso della riunione il segretario di Stato avrebbe ribadito al porporato l’autenticità delle lettere di Bergoglio. E che davanti alla volontà papale la Congregazione dei cardinali non ne avrebbe mai autorizzato la partecipazione al Conclave.
L’indomani Becciu, nel corso della Congregazione, avrebbe comunque tenuto il punto. Ma in pochissimi avrebbero preso le sue difese: solo un porporato, Giuseppe Versaldi, avrebbe preso la parola ipotizzando la non autenticità delle lettere papali. Nessun altro però si sarebbe mosso a difesa di Becciu; finanche i cardinali “amici” – Burke, Filoni e Betori – gli avrebbero consigliato di restare fuori dal Conclave.
L’altra partita
Chiusa (o quasi) questa partita, però, ne resta aperta un’altra: è quella che si gioca, non negli spazi della cappella del palazzo apostolico, ma nelle aule di giustizia. Il cardinale sardo, come anticipato da Domani, è del resto pronto, tramite i suoi legali, a presentare un esposto in procura a Roma: il procedimento, al termine del quale è stato condannato, sarebbe stato, a suo dire, irrimediabilmente pregiudicato.
Chat, conversazioni WhatsApp e audio segreti – depositati all’Onu da parte degli avvocati di un altro condannato di quel processo, il finanziere Raffaele Mincione – lo testimonierebbero. E questo giornale, pubblicando i documenti, li ha resi noti: si tratta più in particolare dei messaggi tra la lobbista Francesca Immacolata Chaouqui e la sodale del grande accusatore di Becciu, monsignor Alberto Perlasca, Genoveffa “Genevieve” Cifferri. Ma anche di vocali che chiamano in causa il commissario della gendarmeria vaticana, Stefano De Santis. Prove – sostengono le difese – del condizionamento di Perlasca, indotto a inchiodare Becciu attraverso dettagli e informazioni riservate che al tempo solo gli inquirenti – i promotori di giustizia Alessandro Diddi e Gian Piero Milano, oltre allo stesso De Santis – potevano conoscere.
«Nel dubbio dargli la colpa a prescindere», scrive Chaouqui, meglio nota come “papessa”, a Ciferri il 29 agosto del 2020. Tradotto: Perlasca dovrà accusare Becciu a ogni costo. «Perché – continua Chaouqui – è meglio un “colpa sua” che un “non so”». Di fatti due giorni dopo questa conversazione, Perlasca consegna agli investigatori un ricco memoriale contenente le principali accuse contro il cardinale. Accuse precise, dettagliate, riguardanti particolari di cui, come detto, soltanto gli organi inquirenti avrebbero potuto essere a conoscenza.
Papi, Perlasca e Parolin
Ma c’è di più. Nelle chat Ciferri e Chaouqui tirano in ballo anche il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, oggi tra i papabili per la successione a Francesco. «Il cardinale Parolin fa la gatta morta, ma... ovviamente molte cose le sa benissimo, e le ha sempre sapute», scrive a gennaio 2021 la sodale di Perlasca alla lobbista. Cosa vuole intendere Ciferri? Cosa avrebbe saputo Parolin, non indagato ma testimone nel “processo del secolo”? «Becciu è morto ma il processo indebolirà Parolin. Mah... mi devo inventare qualcosa», ribatte Chaouqui. La paura è che, dice Ciferri, «Becciu cercherà di trascinare dentro (al processo ndr) Parolin e Parra».
Ma «la linea al momento è di difenderlo, Parolin, purtroppo perché se è colpa di Parolin non è di Becciu», ribatte ancora la lobbista. Difenderlo da cosa o da chi? Per Ciferri non ci sarebbero dubbi: «Parolin ha una parte di responsabilità, se non altro morale, su quanto si svolgeva lì, in quanto ha svolto la parte del cieco e del sordo. Perlasca ha la scusante che era Becciu che lo comandava, ma Parolin che era il capo di tutto, che scusante ha per le sue omissioni?».
I messaggi tra le due donne si concludono con un altro particolare. Ad agosto 2020, il messaggio della “papessa” all’ormai ex amica: «Genevieve state tranquilli, ho contezza diretta e certa che il santo padre, Parolin, Peña Parra e il promotore sono informati della volontà di Perlasca di collaborare alle indagini e ne sono felicissimi. Per loro è vitale il contributo di Perlasca e dal momento che lui ha offerto il suo aiuto loro lo hanno accolto e lo proteggeranno. Becciu non saprà mai della sua deposizione mai in alcun modo. Il monsignore deve focalizzarsi sulle possibili domande e sull’andazzo generale, oltre che sulle domande tecniche». Per Becciu è complotto.
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