«La verità» nella condanna a sei anni di carcere di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, ex presidente ed ex amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena «è banale come buona parte delle verità» hanno scritto i giudici del tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza con la quale hanno ritenuto colpevoli i due alti manager di falso in bilancio e aggiotaggio. E la verità è che la banca «aveva due necessità: ristrutturare precedenti investimenti in perdita e, contestualmente, occultare i costi sostenuti per l’intervento di salvataggio», comprensivi della remunerazione delle banche estere che si erano prestate a questo gioco, Nomura e Deutsche Bank, autrici rispettivamente della ristrutturazione dei famosi derivati Santorini e Alexandria.

Mps «soltanto con le sofisticate impalcature contrattuali adottate avrebbe potuto raggiungere lo scopo» e «le due banche estere, ben consapevoli del fine perseguito, hanno semplicemente offerto a controparte il contenitore contrattuale più adatto, ottenendo in cambio quale remunerazione la vendita di protezione dal rischio di credito della Repubblica Italiana, a condizioni particolarmente favorevoli e del tutto fuori mercato».

La narrazione e la verità

In questi pochi passaggi delle motivazioni che occupano oltre 250 pagine, il collegio che ha giudicato Profumo, attuale amministratore delegato di Leonardo – Finmeccanica, e Viola, hanno dato il senso a tutto il lavoro di comprensione fatto per giungere a questa condanna, disboscando il lungo e complicatissimo dibattimento in aula dalle «fatue e ingannevoli parcellizzazioni narrative » delle difese, che hanno cercato di smontare non tanto le accuse della procura, che per i due (e per l'ex presidente del collegio sindacale Paolo Salvadori, il terzo imputato anch'esso condannato a 3 anni e 6 mesi) ha sempre chiesto l'assoluzione, ma delle parti civili, cui si deve questo risultato grazie al quale potranno recuperare parte dei soldi investiti nella banca, se le condanne dovessero reggere anche la prova della Cassazione.

Profumo e Viola hanno continuato a scrivere nei bilanci di Mps dal 2012 alla prima semestrale del 2015 i prodotti finanziari Santorini e Alexandria non come derivati – cosa che avrebbero dovuto fare per dare una corretta informazione al mercato - ma come insieme di operazioni slegate tra di loro, in parziale continuazione con i principi adottati dal presidente consiglio d'amministrazione guidato da Giuseppe Mussari (condannato a 7 anni e 6 mesi sempre a Milano). In questa volontà, dicono i giudici, è «ravvisabile un'intenzione d'inganno» perchè «tale era il fine che animava il nuovo management, ossia rassicurare il mercato in vista dell'incetta di denari che si sarebbe da lì a poco perpetrata con gli aumenti di capitale». Ovvero gli 8 miliardi di euro chiesti nelle due maxi operazioni mandate in porto nel 2014 e 2015, che hanno permesso il salvataggio della banca a spese non solo di investitori professionali ma anche di tanti ingnari risparmiatori privati.

La Consob inerte

I giudizi non risparmiano neanche la Consob, l'ente che deve vigilare sulle società quotate e che sarebbe stato, al contrario, «inerte» spettatore degli accadimenti, limitandosi a «insignificanti prese d'atto», nella «vorticosa spirale degli eventi, dalle allarmanti notizie di stampa sino alla debacle giudiziaria che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato». Un giudizio certamente non lusinghiero che deve far riflettere sull'effettiva capacita dei regolatori di mercato – e non va dimenticata anche Banca d'Italia – nell'evitare debacle come queste che hanno poi portato alla nazionalizzazione dell'istituto senese ancora alla ricerca di un acquirente.

L'unico accreditato al momento, com'è noto, è il gruppo milanese Unicredit guidato dai neo presidente Pier Carlo Padoan e amministratore delegato Andrea Orcel, chiamati a decidere sulla validità di quest'operazione.

Profumo e Viola, che sono stati condannati anche a 5 milioni di euro complessivi di multa e all'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per 2 anni, hanno dichiarato che chiederanno «la revisione radicale della sentenza di primo grado» con il ricorso in appello che si apprestano a scrivere. «Nel 2012, su invito della Banca d'Italia, abbiamo assunto l'incarico di presidente e di amministratore delegato di Mps» hanno scritto i due manager in una nota. «Il quadro macroeconomico era difficilissimo, per la crisi del rischio Italia, e la situazione della banca disperata. Quindi è stata una scelta fatta per spirito di servizio e non certo per convenienza personale. In questo contesto abbiamo garantito la sopravvivenza di Montepaschi».

Nel frattempo l'assemblea dell'istituto senese ha rigettato la richiesta del socio Giuseppe Bivona, grande accusatore di Profumo e Viola e anima di questo processo con le sue consulenze per le parti civili, di azione di responsabilità nei confronti dell'istituto, che ha chiuso il bilancio 2020 con una perdita consolidata di 1,69 miliardi di euro.

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