I partiti sono a corto di idee, a meno di un anno dalle elezioni litigano su provvedimenti simbolici e promettono soltanto bonus o grandi sconti fiscali a debito.

Per questo Domani ha iniziato, con il congruo anticipo in vista del voto 2023, a raccogliere ed elaborare spunti concreti per un programma a disposizione di tutti i partiti che vorranno farlo proprio.

Le proposte che raccogliamo devono essere dettagliate, realizzabili, e orientate ad aumentare la sostenibilità e l’equità, anche e soprattutto attraverso una maggiore crescita inclusiva. Per partecipare a questo dibattito, scrivete a lettori@editorialedomani.it.

Cominciamo con le proposte del Forum disuguaglianze diversità che si sono rivelate tra le più votate nel percorso delle Agorà del Pd.

Il 28 settembre, presso il parlamento europeo (Science and Technology Panel Stoa), si discuterà la proposta di una infrastruttura di ricerca pubblica europea per il farmaco, un “Cern” biomedico, con un bilancio annuo paragonabile a quello dell’Agenzia spaziale europea.

La proposta di sviluppare vaccini e farmaci come bene comune, formulata nello studio che ho coordinato, nasce all’interno del Forum disuguaglianze diversità. Ma perché è importante rilanciare la ricerca pubblica senza consentire più la privatizzazione della conoscenza?

Nel mondo vi sono circa 8,8 milioni di ricercatori (Unesco Science report 2021), soprattutto in università e altre organizzazioni no profit. Mentre i risultati della scienza pubblica “a monte” sono accessibili a tutti (milioni di articoli), gli investitori privati “a valle” erigono barriere monopolistiche di durata pluridecennale sull’ultimo miglio delle conoscenze (milioni di brevetti e altro). Ne derivano rendite miliardarie che contribuiscono alla diseguaglianza sociale.

Il Covid-19 ha reso il meccanismo trasparente. Ad esempio, l’amministrazione Biden ha appena annunciato l’acquisto da Pfizer, a scatola chiusa (cioè prima ancora che vi sia una autorizzazione della Food and drug administration), di 105 milioni di dosi di una versione anti Omicron del vaccino modificato, contratto da 3,2 miliardi di dollari, 30 dollari a dose (costo reale di produzione del vaccino attuale 1,20 secondo Oxfam).

Ci troveremo a pagare in Europa con il prossimo “booster” altri miliardi di extraprofitti. Ma quel vaccino non potrebbe esistere senza decenni di ricerca pubblica e sostegno dei National institutes of health (governo Usa) non solo a Pfizer ma anche a Biontech, a sua volta sostenuta da fondi europei e da uno speciale prestito della Banca europea degli investimenti.

Immaginiamo uno scenario in cui la scienza pubblica europea, perfettamente in grado di generare ricerca di base, disponga dell’infrastruttura necessaria per sviluppare una propria filiera vaccinale, fino all’autorizzazione di Ema e delle autorità nazionali, per poi distribuire i prodotti al costo, in una logica di servizio pubblico, e questa infrastruttura diventi il punto di riferimento permanente in Europa per l’innovazione biomedica nelle aree in cui le imprese private non investono o investirebbero solo se i governi ne coprissero i rischi ex ante (come accade appunto con il contratto sul nuovo booster).

I servizi di “cloud”

Secondo esempio. I servizi di “cloud” dove si accumula l’informazione digitale generata dalle persone, dalle Pa, agli ospedali, alle banche e alle imprese, sono un oligopolio. Cinque imprese (Amazon, Microsoft, Google, Alibaba, Ibm) non solo guadagnano enormi profitti sui “nostri” dati, ma ci dicono pochissimo su che cosa ne fanno.

Non esiste una piattaforma europea lontanamente paragonabile a quelle statunitensi. Amazon web services da sola controlla un terzo di un mercato stimato 178 miliardi di dollari nel 2021 (Synergy Research), oltre metà con Microsoft.

Scenario alternativo. L’Europa si dota di una propria piattaforma cloud, sovranazionale, pubblica, basata su princìpi di etica del dato, di trasparenza sull’uso, senza finalità di lucro, che tariffa il servizio al costo, reclutandovi le migliori menti dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, coinvolgendo amministrazioni, cittadinanza, imprese in un patto digitale innovativo, sfidando sul mercato l’oligopolio.

Terzo esempio. Appare evidente che mancheremo gli obiettivi di contenimento sotto i due gradi del riscaldamento globale.

La strategia Ue punta a diventare virtuosi in casa nostra, spingendo sul prezzo che le imprese debbono pagare per il diritto di inquinare (l’Emission Trading System Eu), per giungere alla neutralità climatica (il saldo fra carbonio emesso e assorbito) nel 2050. Ma ammesso che ci si riesca, la Ue attuale nel 2050 sarà solo una piccola parte dell’economia del pianeta, e conterà 441 milioni di abitanti, il 4,5 per cento dei 9,8 miliardi previsti.

Scenario alternativo. La Ue lancia un “Cern” dell’innovazione scientifica e tecnologica verde, che combini la prospettiva a lungo termine della fusione nucleare (il progetto Iter) che arriverà (se arriverà) troppo tardi per salvarci dal cambiamento climatico, con la messa a punto entro 10 anni di cementifici, reti elettriche, sistemi di trasporto basati su tecnologie così dirompenti da rendere obsolete e costose le tecnologie inquinanti.

Questa grande impresa europea della transizione verde dovrebbe giungere fino all’applicazione concreta, a scala reale, dei propri progetti e poi donarne al mondo le conoscenze.

Non mancano esempi concreti cui ispirarsi. L’Agenzia spaziale europea ha nel 2022 un bilancio di 7,15 miliardi di euro, 2.200 dipendenti, ha lanciato e gestito 80 satelliti e partecipa ad alcune delle imprese scientifiche più avanzate del pianeta.

Per ogni euro che riceve da uno stato membro è impegnata a reinvestire altrettanto nel sistema delle imprese dello stesso paese, assicurando equità nei contratti con il settore privato nel quadro di una missione pubblica strategica. Sono centinaia le infrastrutture pubbliche della conoscenza. Si tratta di fare un passo avanti.

Quanto più forte sarebbe il progetto europeo, se i cittadini potessero riconoscere nei farmaci salvavita e nelle tecnologie salvapianeta, l’impronta di una Unione europea della scienza e della giustizia sociale, che investe in un nuovo tipo di imprese per la produzione di conoscenza come bene comune.

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