Un appello recapitato direttamente al premier Giuseppe Conte e al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per chiedere di «assumere provvedimenti stringenti e drastici nei prossimi due o tre giorni», per evitare nelle prossime settimane «centinaia di decessi al giorno». A firmarlo sono circa cento tra scienziati, economisti, ricercatori e professori universitari.

Il riferimento è a quanto riportato in un articolo del presidente dell'Accademia dei Lincei, il professor Giorgio Parisi, nel quale, in caso di assenza di misure consone, si stimano circa 500 morti al giorno attorno alla metà di novembre. 

In questo momento, proseguono, «il necessario contemperamento delle esigenze dell'economia e della tutela dei posti di lavoro con quelle del contenimento della diffusione del contagio» deve lasciare spazio «alla pressante esigenza di salvaguardare il diritto alla salute individuale e collettiva sancito nell'articolo 32 della Carta costituzionale come inviolabile». Anche perché, secondo il ragionamento dei firmatari, «la salvaguardia dei posti di lavoro, delle attività imprenditoriali e industriali, degli esercizi commerciali, e delle altre attività verrebbero del resto ad essere anch'esse inevitabilmente pregiudicate dall'esito di un dilagare fuori controllo della pandemia che si potrebbe protrarsi per molti mesi». In sostanza, quindi, serve prendere misure efficaci ora anche «per salvare l'economia e i posti di lavoro» evitando guai ancora peggiori.

La ratio dell'appello, precisa all’agenzia LaPresse la professoressa Roberta Calvano, ordinaria di diritto costituzionale all'Università Unitelma Sapienza di Roma, non è «la richiesta di un nuovo lockdown» ma semplicemente «far presente l'urgenza di prendere in considerazione numeri che stanno precipitando». Anche perché, in caso contrario, «il lockdown ci sarà comunque».

Nessuno comunque ha intenzione di sostituirsi alla politica sulle decisioni da mettere in atto. «Non faccio questo di mestiere. Io so solo che andando avanti così ogni 7 giorni i malati raddoppiano», dice Fernando Ferroni, ex presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare contattato telefonicamente, lasciando così la palla rigorosamente nel campo di palazzo Chigi.

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