Il 3 maggio il commissario per l’Emergenza Francesco Paolo Figliuolo ha dichiarato che il Comitato tecnico scientifico e l’Aifa stanno riflettendo sulla possibilità di cambiare nuovamente le fasce di età per cui è raccomandato il vaccino contro Covid-19 Vaxzevria, prodotto da AstraZeneca. Secondo il commissario sarebbe fondamentale poterlo somministrare anche agli under 60, per non rallentare la campagna vaccinale.

La percentuale di utilizzo di Vaxzevria è infatti ferma al 73 per cento a livello nazionale, contro l’87 per cento di Pfizer/BioNTech. Alcune regioni, come Sicilia, Basilicata e Puglia, hanno somministrato tra il 50 per cento e il 60 per cento delle dosi del vaccino di AstraZeneca che hanno ricevuto.

C’è da chiedersi, però, se sia solo il limite di età per cui è raccomandato a spiegare questi dati. O se, piuttosto, giochi un ruolo importante anche la diffidenza dei cittadini maturata durante il tortuoso percorso regolatorio di questo vaccino. Sono tante le testimonianze di over 60 che evitano Vaxzevria in favore degli altri vaccini, sfruttando la flessibilità dei sistemi di prenotazione e magari accettando di rimandare la vaccinazione di qualche settimana.

In Germania

Nel frattempo, venerdì scorso, il ministro della Salute tedesco Jens Spahn ha annunciato che Vaxzevria verrà nuovamente offerto a tutti gli adulti, mentre il Joint Committee on Vaccination and Immunisation britannico ha raccomandato di offrire un vaccino alternativo ai cittadini sotto i 40 anni. Finora in Germania il vaccino era raccomandato sopra i 60 anni e nel Regno Unito sopra i 30 anni.

Questi aggiustamenti sono motivati dalle diverse condizioni epidemiologiche in cui si trovano Italia e Germania, con tassi di incidenza ancora elevati intorno a 130 nuovi casi a settimana ogni 100.000 persone, e il Regno Unito, che ha registrato solo 20 nuovi casi ogni 100.000 abitanti nell’ultima settimana. Diversa è anche la progressione delle campagne vaccinali: la percentuale di persone che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino è il 25 per cento, 30 per cento e 50 per cento, rispettivamente in Italia, Germania e Regno Unito.

Più è bassa l’incidenza minore è la probabilità di contagio e dunque i benefici potenziali del vaccino. Questi vanno confrontati con i danni potenziali derivanti dagli effetti collaterali del farmaco, in particolare i casi di trombosi associati a carenza di piastrine che hanno colpito principalmente i seni venosi cerebrali e addominali e hanno portato alla morte nel 20 per cento dei casi.

Si tratta di eventi estremamente rari, dell’ordine di un caso ogni 100.000 persone vaccinate, ma la loro incidenza varia con l’età. Fra i più giovani è leggermente più frequente che fra gli anziani e, dall’altro lato, la probabilità di decorsi gravi o letali di Covid-19 è più rara nei giovani che negli anziani.

Nel Regno Unito

A differenza di Germania, Francia e Italia, che all’inizio di aprile avevano deciso di raccomandare Vaxzevria solo agli over 60 nonostante Ema avesse ribadito che i benefici della vaccinazione superavano i rischi per tutti gli adulti, l’agenzia del farmaco britannica aveva stabilito che avrebbe offerto un vaccino alternativo ad AstraZeneca solo agli under 30.

La decisione è stata presa sulla base del confronto fra benefici, valutati come numero di ingressi in terapia intensiva evitati dal vaccino, e danni, valutati come numero di trombosi con piastrinopenia causate dal vaccino, elaborato dai ricercatori del Winton Centre for Risk and Evidence Communication dell’Università di Cambridge. Gli stessi ricercatori hanno ripetuto ora l’analisi per l’Italia, sfruttando i dati forniti dall’Istituto superiore di sanità sugli ingressi in terapia intensiva per età e quelli di Ema sui casi di trombosi con piastrinopenia.

Con un livello medio di incidenza (175 nuove diagnosi a settimana ogni 100.000 persone), se 100.000 persone tra 70 e 79 anni non si vaccinassero, 99 entrerebbero in terapia intensiva nell’arco di 16 settimane a causa di Covid-19, mentre se si vaccinassero ci sarebbe meno di un caso di trombosi. Nella fascia di età 60-69 anni, i ricoveri in reparti intensivi evitati dal vaccino sarebbero 52, mentre si verificherebbe solo un caso di trombosi. Il bilancio continua a essere a favore del vaccino anche nelle fasce 50-59, 40-49 e 30-39 anni. Sotto i 30 anni, invece, il numero di ingressi in terapia intensiva evitati da Vaxzevria è inferiore a quello delle trombosi, uno contro due.

Queste stime si basano sull’assunzione che il tasso di casi diagnosticati sia del 25 per cento, come stimato in uno studio della Fondazione Bruno Kessler e dell’Istituto superiore di sanità pubblicato all’inizio di gennaio, e che l’efficacia del vaccino sui ricoveri in terapia intensiva sia dell’80 per cento per tutte le età.

Il quadro cambia se si considera un livello di incidenza più basso, dell’ordine di 35 diagnosi a settimana ogni 100.000 persone, che in Italia non osserviamo da settembre 2020. In questo caso, i benefici della vaccinazione su 16 settimane superano i rischi solo per chi ha più di 50 anni.

A livelli di incidenza elevati, come quelli osservati a novembre 2020, il vaccino eviterebbe 100 ingressi in terapia intensiva su 100.000 persone fra 60-69 anni nell’arco di 16 settimane, mentre causerebbe sempre un solo evento di trombosi con piastrinopenia. Anche in questo caso, il bilancio rimarrebbe a favore del vaccino per tutti i cittadini sopra i 30 anni di età.

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Maschi vs femmine

Il sesso non sembra essere un fattore di rischio per le trombosi osservate. Infatti, se è vero che i casi segnalati ai sistemi di farmacovigilanza riguardano più donne che uomini, questo potrebbe essere dovuto al fatto che sono state vaccinate più donne che uomini soprattutto all’inizio della campagna vaccinale europea che ha coinvolto operatori sanitari e del settore dell’istruzione.

È importante sottolineare che la stima dei benefici è estremamente conservativa. Si limita a considerare solo gli effetti positivi sui vaccinati e non tiene conto dei contagi evitati. Un recente studio di Public Health England ha infatti mostrato che Vaxzevria dimezza il rischio di trasmettere il virus ai contatti più stretti. Inoltre, fra i benefici non è inclusa la protezione dalla sindrome long Covid, che sembra essere frequente anche in persone che hanno avuto forme lievi della malattia. Sul fronte dei danni causati dal vaccino, l’analisi si limita a considerare solo la trombosi con piastrinopenia e lascia fuori gli effetti collaterali più lievi che si verificano a breve termine.

Altrettanto importante è osservare che questo tipo di analisi riguarda la popolazione e non l’individuo. Ciascuno di noi è esposto a un rischio di contagio diverso, che dipende, ad esempio, dal lavoro che facciamo, dalla composizione della nostra famiglia e dall’intensità dei nostri contatti sociali.

Queste indicazioni sono però estremamente rilevanti per le agenzie regolatorie, che devono prendere le proprie decisioni in un’ottica di salute pubblica e che hanno poi la responsabilità di condividere con i cittadini tutti gli elementi utili alle loro valutazioni personali. Questa condivisione potrebbe fare la differenza.

 

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