Il palazzone di 26 piani che sta per essere inaugurato a Ezhou, accanto a una struttura gemella già operativa, è indistinguibile dagli innumerevoli obbrobri residenziali delle periferie cinesi. Se non fosse che nei suoi stanzoni con aria condizionata e vista sulle colline della provincia dello Hubei gli inquilini sono maiali destinati al macello: 1,2 milioni di porci all’anno – quando entrambe le strutture entreranno a pieno regime – cresciuti con tecniche di “smart farming”, allevamento intelligente.

A occuparsi dei suini stipati nei due grattacieli di Ezhou sono colletti bianchi, che seguono l’ingrassamento della carne tradizionalmente alla base della cucina cinese davanti al pc. Per attivare i 30mila dispensatori di mangime basta schiacciare un bottone nella sala di controllo, la ventilazione dei locali è costantemente monitorata, la temperatura delle bestie viene rilevata dai termoscanner.

Quelli che a Ezhou chiamano “alberghi per maiali” sono gli allevamenti verticali più alti del mondo. Un esperimento che rientra nello sforzo della Cina per garantire la sicurezza alimentare ai suoi abitanti. Il paese riesce a sfamare 1,4 miliardi di persone (un quinto della popolazione mondiale) avendo a disposizione solo il 9 per cento della superficie coltivabile mondiale.
Uno squilibrio che trova riscontro nei dati doganali, secondo i quali nel 2022 ha importato 146 milioni di tonnellate di cibo (soprattutto dagli Stati Uniti), registrando in questo settore un deficit commerciale pari a 143 milioni di tonnellate. Nelle prossime settimane sarà ufficializzato l’accordo in base al quale, nei prossimi 12 anni, la Russia fornirà alla Cina 70 milioni di tonnellate di grano e legumi, attraverso il nuovo corridoio del grano terrestre.

Sicurezza alimentare

A preoccupare la leadership di Pechino non è tanto la memoria delle vicissitudini del passato – i milioni di morti per la carestia seguita al folle Grande balzo in avanti voluto da Mao – quanto il cambiamento climatico e le tensioni internazionali che minacciano le catene di approvvigionamento della seconda economia del pianeta.

«Dall’inizio della crisi ucraina, oltre 30 paesi hanno limitato le esportazioni alimentari e alcuni hanno vissuto disordini sociali o addirittura cambiamenti di regime», ha sottolineato Xi Jinping. Durante l’ultima conferenza centrale sulle questioni rurali il presidente cinese ha indicato la sicurezza e l’autosufficienza alimentare come priorità assolute: «Se qualcosa non va nell’agricoltura, le nostre ciotole finiranno nelle mani di qualcun altro, da cui dovremo dipendere per il cibo. Come possiamo realizzare la modernizzazione in questo caso?».

Gli allevamenti che si sviluppano in altezza liberano terreni, che possono così essere coltivati, e necessitano di meno lavoratori rispetto a quelli tradizionali. Perciò si stanno diffondendo a macchia d’olio: nel Sichuan, nel Guangdong, nel Guangxi, nello Henan e nello Shandong, oltre che nello Hubei. Illegali fino al 2019, a far saltare il divieto è stata l’ondata di peste suina africana che tra il 2018 e il 2020 in Cina ha ucciso oltre 100 milioni di animali e che, avendo ridotto sul lastrico migliaia di piccoli e medi allevamenti, ha favorito la creazione di enormi conglomerati.

Un problema globale

L’apparente soluzione testata a Ezhou in realtà solleva una questione globale. Quella di maiale rappresenta il 60-70 per cento della carne consumata dai cinesi: quasi 700 milioni di animali ogni anno, la metà della popolazione suina globale.

«L’aumento del consumo di carne di maiale in Cina pone problemi di sostenibilità ambientale a livello planetario. Da una quindicina d’anni il governo sta promuovendo, attraverso una politica di sovvenzioni e sgravi fiscali, la creazione di mega-allevamenti intensivi per industrializzare il settore e produrre più carne in meno spazio. Ma i maiali chiusi nei capannoni o nei grattacieli devono essere nutriti», ci spiega Stefano Liberti, autore di I signori del cibo. Viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta. «Ma la Cina non ha la terra sufficiente per produrre i cereali e le leguminose necessarie per i mangimi», aggiunge Liberti. «Così, importa ogni anno dal sud America e dal nord America 100 milioni di tonnellate di soia, poco meno di due terzi del commercio globale di questo prodotto.

La richiesta crescente di soia da parte della Cina sta portando alla deforestazione di ampie porzioni della foresta amazzonica, che è uno dei principali serbatoi di stoccaggio e assorbimento di CO2 nel mondo».

Per contenere il diossido di carbonio emesso dagli allevamenti intensivi e migliorare l’alimentazione della popolazione, già dal 2016 il ministero della sanità di Pechino ha raccomandato di ridurre del 50 per cento entro il 2030 – a non più di 40-75 grammi a persona – la quantità di carne consumata quotidianamente. Gli alberghi per maiali di Ezhou spingono in direzione opposta.

Il XIV piano quinquennale (2021-2025) punta a stabilizzare la capacità di produzione di carne suina a circa 55 milioni di tonnellate all’anno, in netto aumento rispetto ai 41 milioni di tonnellate del 2020.

Falso presupposto

Secondo alcuni l’entusiasmo della Cina per gli alberghi per maiali si basa sul falso presupposto – diffuso tra i policymaker così come nella popolazione – secondo cui la sicurezza alimentare è legata al consumo di carne. Che, a sua volta, è alimentato da colossali interessi privati. Le compagnie che più stanno scommettendo sugli alberghi per maiali sono la Zhongxin Kaiwei (proprietaria dell’impianto di Ezhou), che si è affacciata sul mercato negli ultimi anni, sfruttando il suo core business precedente, il cemento; la Yangxiang, fondata nel 1998 del re dei maiali Yang Xiang, tra gli uomini più ricchi del paese; e la Muyuan, che nella contea di Neixiang (nello Henan) ha costruito il complesso di alberghi per maiali più grande del mondo, 21 palazzi per 2,1 milioni di esemplari da macellare ogni anno. Il fatturato della Muyuan è balzato da 2,9 miliardi di dollari nel 2019 a 18,2 miliardi di dollari nel 2022.

Il modello di allevamento iper-intensivo e digitalizzato, alimentato dai mega impianti costruiti da queste aziende, è sostenuto da investitori nazionali e stranieri, tra cui la International Finance Corporation. L’ente della Banca mondiale ha finanziato la Yangxiang con un primo prestito da 51,28 milioni di dollari, nel 2016, per due progetti: nel Guangxi e nel Liaoning e un secondo da 80 milioni di dollari, nel 2020, per un altro allevamento nel Guangxi. Ifc ha comunicato che «sosterrà gli sforzi continui dell’azienda volti a ottenere standard più elevati nel benessere degli animali e nell’uso responsabile degli antibiotici, che possono costituire un esempio per l’intero settore».

Rischio epidemie

Eppure il professor Zhang Shuai della China Agricultural University ha raccomandato la massima prudenza, sottolineando che lo smaltimento delle feci richiede corrispondenti aree di terreno e che dunque per gli allevamenti suini nei grattacieli trattare massicce quantità di letame suino potrebbe rivelarsi molto complicato.

Per chi sostiene gli alberghi per maiali, questi grattacieli, con i loro sofisticati sistemi di ventilazione, permetterebbero, in caso di malattia, di contenere la diffusione degli agenti patogeni all’interno di un solo piano, salvando così tutti gli altri animali. «Nonostante l’implementazione di sistemi di filtraggio dell’aria… molte malattie tra i suini possono essere trasmesse attraverso le goccioline e l’aria, diffondendosi rapidamente», ha spiegato Zhang al quotidiano hongkonghese South China Morning Post.

Mentre Dirk Pfeiffer, epidemiologo dell’Università di Hong Kong, ha avanzato un paragone inquietante: «Creare un allevamento di suini non è la stessa cosa che creare una fabbrica che produce componenti per iPhone, poiché i maiali sono in grado di trasmettere agenti patogeni infettivi e di amplificarne la prevalenza. Inoltre, l’aumento della densità dei suini e quindi la maggiore opportunità di trasmissione aumenta le possibilità di mutazione di questi agenti patogeni in varianti più patogene».

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