Quante facce può avere un prete? E quante vite, con la complicità di chi lo circonda? Sicuramente più d’una, come dimostra la storia di don Silverio Mura. Il prete, pedofilo, gira da anni per la penisola assecondato dalle autorità ecclesiastiche. Quando serve anche sotto falso nome, e per questo è attualmente a processo al tribunale di Pavia per sostituzione di persona. Una pesante sentenza civile dell’anno scorso certifica gli abusi commessi a danno di un minore. Eppure per la giustizia ecclesiastica è innocente ed è ancora un sacerdote della diocesi di Napoli, ma non viene reso noto dove eserciti attualmente la sua attività. In altre parole, la chiesa di fatto non garantisce a chi manda i propri figli in parrocchia che il sacerdote a cui vengono affidati non sia un pedofilo.

Il maxi risarcimento

Don Silverio, 63 anni, nel 2010 è stato accusato da Arturo Borrelli, oggi 47 anni, di averlo ripetutamente stuprato portandoselo a casa quando era ragazzino: i fatti risalgono a trent’anni fa, dunque il reato è prescritto. Tuttavia lo scorso novembre il Tribunale civile di Napoli, in primo grado, ha riconosciuto alla vittima un risarcimento di 320 mila euro per i danni conseguenti agli abusi sessuali. E ha condannato in solido il prete e il ministero dell’Istruzione perché l’adescamento è avvenuto nella scuola media del quartiere napoletano di Ponticelli, dove all’epoca don Mura era insegnante di religione e Arturo un allievo di terza.

Diventato adulto, Borrelli comincia a soffrire di svenimenti e attacchi di panico. Nel 2009 ha un malore sul lavoro: «Mi sentivo morire e ho confessato tutto a mia moglie e a mia madre», racconta. L’anno successivo inizia il calvario delle denunce: si rivolge ai carabinieri; chiede un incontro con il cardinale Crescenzio Sepe, all’epoca arcivescovo di Napoli, ma come risposta ottiene solo una busta con 250 euro consegnata a mano da due emissari della Caritas.

Una prima indagine viene comunque svolta dal vicario generale che non riscontra prove di abusi ma concorda con il prete un periodo sabbatico in una comunità religiosa fuori dalla diocesi. In realtà don Mura continua a insegnare religione ai ragazzi, prima all’alberghiero di Cicciano, a pochi chilometri da Napoli, e poi, nel 2013, in una scuola media del capoluogo. Esasperato, Borrelli nel 2014 torna alla carica chiedendo un risarcimento alla curia di Napoli e scrivendo anche a papa Francesco che gli risponde assicurandogli che si occuperà del caso. A quel punto la Congregazione per la dottrina della fede, che a Roma si occupa di sanzionare i delitti del clero contro i minori, affida alla diocesi di Napoli l’investigatio previa su don Mura. Due anni dopo la decisione di non procedere con un processo penale canonico per mancanza di «elementi sufficienti».

Minaccia di suicidio

Deluso, Borrelli minaccia di suicidarsi con un colpo di pistola davanti alla sede della curia se non avrà giustizia: come unico risultato perde il lavoro di guardia giurata. Intanto don Silverio, nel ritiro in una comunità religiosa, si sta in realtà preparando alla sua seconda vita. Nel 2016 infatti si presenta con il nome di Saverio Aversano a padre Simone Baggio, parroco di Montù Beccaria, un piccolo centro di 1.600 anime sulle colline pavesi. Lo accompagna l’ex parroco del paese, padre Egidio Pittiglio, che è diventato superiore generale dei Missionari della Divina Redenzione, la congregazione a cui don Silverio era stato affidato dopo le prime accuse di Borrelli e a cui appartiene anche il parroco Baggio.

A don Silverio, alias Saverio Aversano, viene assegnata la cura dell’oratorio e il catechismo dei bambini. A Montù si accorgono della sua falsa identità grazie alle Iene che il 7 marzo 2018 mandano in onda proprio un servizio sul caso di Borrelli e don Mura. Una parrocchiana riconosce don Silverio e in breve la notizia si diffonde così velocemente che, quando le madri dei piccoli del catechismo si presentano alla lezione per fronteggiare il sacerdote, lui è già sparito. Interrogati dai genitori, padre Baggio e il vescovo di Tortona Vittorio Viola cadono dalle nuvole. «Il parroco ci disse che lo aveva incaricato del catechismo perché si stava riprendendo da un esaurimento nervoso e doveva stare tranquillo», racconta la madre di uno dei bambini del catechismo, «a fare da tramite era stato padre Pittiglio che infatti si è precipitato a Montù quando il prete pedofilo è stato riconosciuto».

Per la chiesa è innocente

Intanto a Napoli spunta un’altra presunta vittima, Raffaele Esposito, di qualche anno più giovane di Borrelli, che sostiene di essere stato anche lui abusato da don Mura quando era bambino. Di fronte a tanto clamore, la macchina ecclesiastica si mette in moto e, come si legge in una nota della curia di Napoli, il 15 maggio 2018, due mesi dopo l’inchiesta delle Iene, impone le misure cautelari canoniche al sacerdote. Anche la Congregazione per la dottrina della fede torna sul caso, affidando al tribunale ecclesiastico di Milano un processo penale giudiziale a carico di don Mura, «per valutare eventuali responsabilità dell’accusato» in tema di violenza su minori. Processo che si concluderà il 1° marzo 2019 con l’assoluzione e il pieno reintegro del prete perché non si ravvisano «elementi veramente solidi che consentano di ritenere provate le accuse mosse al reverendo sacerdote Silverio Mura».

«Il processo è stato fatto senza ascoltare le vittime», protesta Borrelli. Ma per l’autorità ecclesiastica Mura è innocente. Per la chiesa la questione è chiusa ma la sentenza del tribunale civile del novembre 2021 di fatto riconosce Mura colpevole di abuso: «Per arrivare alla condanna bisognava infatti pervenire all’accertamento del reato, confermando metodi e circostanze della violenza subita», specifica l’avvocato di Borrelli, Carlo Grezio.

Mentre è in corso il processo di appello, restano tante le domande senza risposta: chi faceva recapitare a Montù Beccaria le lettere a don Mura sotto il falso nome di don Aversano? Come facevano i vescovi, a Napoli e a Tortona, a non conoscere le modalità di trasferimento di un sacerdote da una diocesi ad un’altra? E soprattutto, dov’è oggi il pedofilo don Silverio? Le gerarchie ecclesiastiche, ripetutamente interpellate da Domani per due settimane, non rispondono. Non risponde il cardinale Crescenzio Sepe, né l’attuale vescovo di Napoli Domenico Battaglia. Padre Pittiglio, raggiunto al telefono, si è rifiutato di parlare. Non risponde l’ex vescovo di Tortona. Il parroco Baggio è all’estero, irraggiungibile, e il suo confratello Mirko Mazzoleni, che lo sostituisce in parrocchia, sostiene di non essere al corrente dei fatti perché arrivato da poco in paese – in effetti da soli dieci anni. Dal canto suo, l’ex sindaco Quaroni afferma di aver sempre saputo che il vero nome di don Saverio era Silverio Mura: «ho tenuto i suoi documenti per dieci giorni in Comune, ha anche votato per il referendum consultivo del 2017», dice. Niente di strano, secondo Quaroni: «non è l’unico a farsi chiamare con un nome di battesimo diverso». Ma il cognome? «Di quello non sapevo niente».

Muro di silenzio

Un muro di silenzio si oppone anche alle legittime preoccupazioni dei fedeli. Le madri dei bambini di Montù Beccaria, dopo la fuga di don Mura dal paese, si erano rivolte persino a Sepe e avevano ricevuto soltanto una generica rassicurazione sul proseguimento delle indagini su un prete che, scriveva il cardinale in risposta a una mail del maggio 2018, «certamente non è stato lasciato libero, allora come oggi, di girare per l’Italia e svolgere senza controllo il ministero sacerdotale».

La curia sapeva degli spostamenti del sacerdote e della sua doppia identità, e forse lo sapevano anche i Missionari della Divina Redenzione, che da anni gestiscono la comunità parrocchiale di Montù. Le responsabilità saranno comunque accertate dal processo per sostituzione di persona che si è aperto a Pavia lo scorso ottobre a carico di don Mura. «Sepe ha sempre fatto di tutto per insabbiare il caso», accusa Borrelli, che ha provato diverse volte invano a farsi ricevere dal cardinale. Nel 2016 l’aveva anche denunciato «per grave negligenza nell’esercizio del proprio ufficio» al prefetto del Dicastero per i vescovi, il cardinale canadese Marc Ouellet, poi coinvolto anche lui nello scandalo degli abusi sessuali nella chiesa in Quebec. Ironia della sorte o nuovo ingrediente di un romanzo criminale ancora lontano dalla parola fine.

(continua)

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