A distanza di una settimana dal picco della terza ondata da Covid-19, la curva inizia finalmente a scendere, ma bisogna continuare a stare all’erta. Secondo quanto dichiara il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, «si intravedono i primi segnali di miglioramento: dopo quattro settimane consecutive si inverte il trend dei nuovi casi settimanali e si riduce l’incremento percentuale dei nuovi casi». Tuttavia, il dato nazionale risente di situazioni regionali molto eterogenee: in dieci regioni l’incremento percentuale dei nuovi casi è ancora in crescita, mentre in 14 si amplia il bacino dei casi attualmente positivi. 

«Per la maggior parte delle regioni – spiega il presidente – è evidente la netta correlazione tra variazione percentuale dei nuovi casi e il colore delle regioni di tre settimane fa». Infatti, nella maggior parte delle regioni che già prima del 15 marzo si trovavano in zona rossa, arancione o arancione rinforzato, la variazione percentuale dei nuovi casi è in riduzione; mentre è in aumento per le ultime arrivate da un lungo periodo di zona gialla. 

Stando a quanto spiega Renata Gili, responsabile della ricerca sui servizi sanitari della fondazione di Cartabellotta, «nonostante la lieve flessione della curva dei contagi peggiora la situazione sul versante ospedaliero, anche perché la terza ondata è partita da un altopiano molto elevato di posti letto occupati». Infatti, stando ai dati, a livello nazionale sia la soglia di allerta del numero di pazienti in area medica (43 per cento) sia quella delle terapie intensive (39 per cento) sono state superate. In particolare, i numeri delle terapie intensive destano forte preoccupazione in 12 regioni. Tuttavia, «su questo fronte è incoraggiante la frenata dei nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva: la curva della media mobile a 7 giorni dopo 4 settimane di incremento si è appiattita», spiega Marco Mosti, direttore operativo della fondazione Gimbe.

L'andamento dei vaccini

La somministrazione dei vaccini è ancora troppo lenta. Su un totale di 9.911.100 dosi consegnate, ne risultano somministrate 8.506.277, ma sono in pochi quelli che hanno completato il ciclo vaccinale e che, quindi, possono considerarsi «vaccinati»: 2.706.381 persone, un terzo del totale somministrato e solo il 4,4 per cento della popolazione, con marcate differenze fra le regioni. 

«Sul fronte AstraZeneca nessun contraccolpo dopo lo stop della scorsa settimana: infatti, nelle giornate di domenica 21, lunedì 22 e martedì 23, il numero di somministrazioni ha superato quello dei giorni corrispondenti della settimana precedente», puntualizza Gili.

Inoltre, risulta un notevole ritardo nella vaccinazione delle fasce più a rischio. Dei 4,4 milioni di ove 80, infatti, hanno ricevuto entrambe le dosi di vaccino solo 846.007 di persone, cioè il 19,1 per cento del totale. Mentre quelli che hanno ricevuto solo la prima dose sono 1.210.236, il 27,4 per cento, con rilevanti e ingiustificabili differenze regionale. «Questi dati certificano l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo della Commissione europea di immunizzare almeno l’80 per cento degli over 80 entro fine marzo, sia perché la loro vaccinazione è iniziata solo a metà febbraio, sia perché le regioni hanno dato priorità a categorie non previste dal piano vaccinale» spiega ancora Cartabellotta. Due giorni fa, infatti, nel database ufficiale del sito del governo in cui sono riportati giorno per giorno i numeri sull'andamento dei vaccini sono comparse le categorie «altro», per la quale sono state somministrate in totale 939.369 dosi, e «personale non sanitario», per la quale le somministrazioni sono invece 469.229. 

Non è un caso, quindi, se nella classifica dei paesi europei stilata dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), l’Italia si trova agli ultimi posti per il numero di persone over 80 che hanno completato il ciclo vaccinale.

Ieri, il presidente Mario Draghi nel suo discorso al Senato si è auspicato di poter attuare un piano di riaperture graduali già dopo le festività pasquali. Tuttavia, secondo Cartabellotta, «per mettere fine all’estenuante stop and go degli ultimi mesi serve un piano strategico per guidare le riaperture con priorità basate su criteri espliciti, che tengano conto della probabilità di contagio e dell’impatto economico e sociale. Ma soprattutto, un piano guidato dalla consapevolezza che, nell’impossibilità di piegare la curva dei casi positivi per riprendere il tracciamento, questa tende inesorabilmente a risalire non appena si allentano le misure. E che senza un adeguata copertura di persone fragili vaccinate tornano a riempirsi gli ospedali e ad aumentare i decessi».

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