Pochi ne parlano, ma il Covid continua a colpire e fare vittime. Secondo i dati dell’Iss e del ministero della Salute, nella settimana dal 16 al 22 novembre in Italia i nuovi casi di Covid sono stati 44.955, più numerosi rispetto ai 34.319 della settimana precedente. Nella settimana dal 13 al 19 novembre, l’incidenza del Covid è stata di 69 casi per 100.000 abitanti, in aumento del 31 per cento rispetto alla settimana prima in cui se n’erano verificati 52.

L’incidenza settimanale sta salendo in tutte le fasce d’età, ma soprattutto tra gli ultranovantenni. Nella settimana dal 13 al 19 novembre l’indice di trasmissibilità Rt è stato pari a 1,12, in aumento rispetto alla settimana precedente in cui era 0,93, ed è superiore a 1, il che significa che l’epidemia di Covid è in espansione. Aumentano anche le ospedalizzazioni, i ricoveri in terapia intensiva, e la mortalità, specie tra gli anziani.

Anche se nessuno lo dice, nella settimana tra il 16 e il 22 novembre in Italia i decessi causati dal Covid sono stati 235, mentre in quella precedente erano stati 192. Nel solo mese di ottobre in Italia il Covid ha fatto in totale 780 morti, con un tasso in costante aumento che ha raggiunto i 160-170 decessi a settimana. A novembre il tasso di decessi settimanale è ancora più alto e in ulteriore crescita, e a fine mese rischiamo di contare più di mille morti provocati dalla malattia.

La variante Eris

In base ai dati di sequenziamento presenti nella piattaforma nazionale I-Co-Gen, nell’ultima settimana di campionamento disponibile – quella dal 30 ottobre al 5 novembre – la variante del SARS-CoV-2 che predomina ora in Italia è EG.5, anche nota col nome di Eris, che discende da Omicron e rappresenta il 56,6 per cento dei casi.

La variante JG.3, che discende da Eris, rappresenta un ulteriore 10,8 per cento dei casi. Seguono altri ceppi ricombinanti di Omicron, come XBB.1.5 (11,4 per cento) e XBB.1.9 (7,2 per cento). Infine, in rapida diffusione è la variante BA.2.86, anche nota col nome di Pirola, che rappresenta il 6,6 per cento dei casi.

Il Covid continua a mietere vittime nella quasi assoluta indifferenza dei media e del governo. Qualcuno potrebbe obiettare che il Covid adesso è diventato endemico ed è ormai paragonabile a una banale influenza.

In fondo l’influenza in Italia provoca circa 8.000 morti l’anno, quasi tutti anziani, e perciò basta vaccinare solo loro che sono più a rischio. Andando di questo passo, il Covid quest’anno potrebbe causare il decesso di circa 10.000 individui, soprattutto anziani, proprio come l’influenza, e perciò basterà fare il richiamo del vaccino solo a questi individui più a rischio. Ma non è così.

Gli effetti

Il Covid non è come una banale influenza e mai lo potrà essere perché – diversamente dall’influenza – provoca una serie di sequele dagli esiti spesso devastanti anche tra gli individui più giovani.

Solo nella ristretta cerchia di pazienti che conosco personalmente e che si sono ammalati di Covid negli ultimi mesi, due persone sanissime di neanche cinquant’anni subito dopo aver contratto il Covid hanno sviluppato un’ipertensione grave. Diversi altri – in perfetta salute – a causa del Covid hanno sviluppato il diabete. Per non parlare delle decine di persone che, colpite dal Covid anche due anni fa, ancora oggi mostrano difficoltà respiratorie e lamentano sintomi neurologici quali confusione cerebrale, ansia, depressione o insonnia. L’influenza non causa queste sequele gravi, il Covid sì, e dipende dalla natura del virus che lo provoca.

Il SARS-CoV-2, responsabile del Covid, entra nel nostro organismo per via aerea attraverso il naso e la bocca, arriva nei polmoni e qui, tramite la sua proteina spike si lega ai recettori ACE2 e TMPRSS2 sulla membrana delle cellule dei nostri alveoli polmonari, penetra dentro di esse, si replica generando nuove copie del virus che fuoriescono danneggiando la cellula, i nuovi virus invadono le cellule vicine, e così via, e così distruggono a poco a poco i polmoni.

Questa infezione richiama nei polmoni un gran numero di cellule immunitarie con il compito di attaccare e uccidere il virus, definite “cellule dell’infiammazione” – granulociti, macrofagi, ecc. – che cominciano a secernere sostanze chiamate citochine, le quali attirano altre cellule immunitarie che fagocitano virus e cellule morte, e che rilasciano altre citochine, le quali richiamano altre cellule ancora, e così via.

Questa infiammazione è la prima risposta del nostro sistema immunitario contro l’infezione da coronavirus, più antica e meno specifica, e, come un esercito che butta bombe a mano di qua e di là, uccide tutto, virus e cellule del nostro corpo. Poi, circa quindici giorni più tardi, incominciano anche ad arrivare cellule immunitarie più specializzate: i linfociti B che producono anticorpi contro il virus, e i linfociti T che uccidono in maniera specifica il virus.

Ma in qualche caso – specie in chi è più anziano – i linfociti B e T sono meno efficienti, e invece a combattere restano solo le cellule dell’infiammazione, che secernono una “tempesta di citochine” che richiama un’enorme massa di cellule immunitarie, le quali scatenano una super infiammazione polmonare che distrugge tutto, virus e tessuto polmonare: questi sono i casi di Covid più gravi, che possono portare persino alla morte. Perciò, i danni più seri del Covid sono determinati non dal virus, ma dalla azione eccessiva del nostro stesso sistema immunitario.

Dal diabete all’ipertensione

In qualche caso, il SARS-CoV-2 attraverso il circolo sanguigno dai polmoni si diffonde in tutto il resto del nostro corpo, attaccando tutte quelle cellule che sono dotate dei recettori ACE2 e TMPRSS2 sulla loro membrana.

Una mole sempre crescente di studi scientifici dimostra che il Covid, a differenza dei virus dell’influenza, si può annidare per lungo tempo in vari organi provocando gravi sequele specifiche. Il SARS-CoV-2 può legarsi ai recettori ACE2 presenti sulle cellule endoteliali dei vasi sanguigni, i quali controllano il tono muscolare dei vasi stessi e perciò la pressione sanguigna: in circa il 2-5 per cento dei malati l’infezione del coronavirus fa “impazzire” le cellule endoteliali e così il paziente sviluppa un’ipertensione che dovrà curare per tutta la vita. In un altro 2-5 per cento dei casi, il virus del Covid si annida nel pancreas dove può uccidere cellule beta che producono l’insulina provocando il diabete.

Altri studi dimostrano che chi si è ammalato di Covid corre un rischio da due a tre volte più elevato di sviluppare malattie quali l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, la sindrome di Syogren, la sclerosi sistemica, il morbo di Behcet, la polimialgia reumatica, la psoriasi, la vasculite autoimmune, la celiachia, il morbo di Crohn, la colite ulcerosa.

Infine, in una percentuale che, a seconda dei vari studi, può andare dal 7 al 40 per cento dei casi, il virus del Covid può provocare il long-Covid: può colpire i polmoni provocando difficoltà respiratorie e stanchezza cronica; il cuore, provocando miocarditi e pericarditi; può annidarsi nel cervello provocando confusione mentale – la cosiddetta “brain fog” – disturbi della memoria e del sonno, ansia e depressione.

A quelli che ancora insistono a dire che il virus oggi è diventato più innocuo, rispondo citando queste parole tratte da uno studio scientifico di un gruppo di scienziati della Who, pubblicato il primo novembre 2023 e intitolato: “Gravità intrinseca effettiva del Covid provocato dal ceppo ancestrale del virus o dalle varianti di Omicron”, quelle ora in circolazione.

«Le varianti di Omicron provocano una malattia di gravità paragonabile al ceppo originario di Wuhan, anche se l’effettiva gravità della malattia è sostanzialmente più bassa nei casi di Omicron grazie alla vaccinazione».

I vaccini di cui disponiamo sono ancora molto efficaci nel prevenire la malattia grave e le sequele del Covid, pure quelle provocate dalle ultime varianti del virus. Anche se il nostro governo sulla questione non apre bocca, corriamo tutti quanti a vaccinarci per prevenire la malattia e le sue gravi conseguenze.

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