La buona salute non è soltanto fisica. Il concetto di salute porta con sé quello della ricerca di un equilibrio psichico e mentale, oltre che fisico. L’Organizzazione mondiale della sanità aveva già previsto che i disturbi mentali sarebbero diventati, entro il 2030, i disturbi più diffusi al mondo, ma tutti gli indicatori suggeriscono che, causa pandemia, il sorpasso sia già avvenuto.

Già prima della comparsa del Covid-19 si era registrato un generalizzato aumento del malessere e del disagio psicologico nella popolazione, a cominciare dai bambini e dagli adolescenti. Anche il World Economic Forum, nel report sui rischi globali del 2019, aveva lanciato l’allarme sulla crescita della «sofferenza della psiche», divenuta un problema sociale ed economico.

Assenza di quotidianità

Isolamento, distanza sociale, alterazione delle abitudini quotidiane e del ritmo lavorativo e lockdown hanno acuito e amplificato i disturbi psichici preesistenti e comportato l’insorgenza di nuovi casi caratterizzati da ansia, stati depressivi, sonno disturbato, comportamenti violenti e, in generale, da maggiore irritabilità.

A tutti noi è mancata la quotidianità; le attività abituali della giornata svolgono una funzione importante nelle nostre vite, perché agiscono da “sincronizzatori sociali”, scandendone i ritmi.

Venendo meno tali sincronizzatori gli impatti sul benessere delle persone sono stati rilevanti.

Chi trovava nell’ufficio o nella scuola l’unica “ancora sociale”, si è trovato alla deriva.

L’epidemia ha rappresentato un evento senza precedenti perché non paragonabile a nessun altro fenomeno, nemmeno ai terremoti o agli tsunami, in cui solitamente i fattori traumatici sono limitati a un’area localizzata e a un tempo più o meno definito in cui le persone colpite sono consapevoli di poter “scappare”.

La sindemia

Più che di pandemia si tratta di sindemia: un’epidemia non soltanto sanitaria, ma che ha ripercussioni economiche, emotive e culturali, agenti da potente detonatore del malessere psichico.

Le conseguenze psicologiche di questo periodo, quali senso di frustrazione, di solitudine e preoccupazioni per il futuro, costituiscono fattori di rischio potenziali per l’insorgenza di disturbi mentali.

I dati disponibili a oggi provengono da studi condotti in Cina dai quali emerge che, su un campione composto da 50.000 persone, il 35 per cento ha riportato sintomi di sofferenza correlati al trauma, il 30 per cento ha registrato sintomi di ansia e il 17 per cento sintomi di depressione.

In America, dai dati di settembre 2020 pubblicati dall’American Dental Association, emerge il notevole incremento di disturbi dentali legati all’ansia (digrignare i denti +59 per cento, problemi alla mandibola, denti rotti, scheggiati +53 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).

Da una delle prime ricerche italiane condotta, ad aprile 2020, dall’Università dell’Aquila e Territori aperti, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata, è emerso che il 37 per cento degli intervistati presenta sintomi da stress post traumatico, il 20 per cento ansia severa, il 17 per cento sintomi depressivi e il 7 per cento insonnia. A distanza di un anno dalla ricerca non possiamo aspettarci che la situazione, alla luce dello stato delle cose, possa essere migliorata.

La ricerca

A giugno 2020 è stato avviato uno studio nazionale, multicentrico, trasversale, “Covid-It-salute mentale”, condotto da dieci centri universitari italiani e dall’Istituto superiore di sanità. L’obiettivo è valutare l’impatto della pandemia e delle sue misure di contenimento sulla salute mentale della popolazione italiana su 4 campioni (popolazione generale, persone positive al Covid-19, operatori sanitari, persone a cui è stato già diagnosticato un disturbo mentale) e identificare i principali ambiti per sviluppare interventi di supporto a lungo termine.

Dai primi dati sembra emergere che i sintomi della depressione siano complessivamente quintuplicati, quelli moderati quasi quadruplicati e che i più gravi siano cresciuti di sette volte e mezzo.

Sebbene sia ancora prematuro tracciare un quadro preciso delle reali conseguenze della pandemia sul benessere mentale, è ormai evidente che è necessario prevedere, accanto a interventi finalizzati a porre fine alla pandemia e alla tutela della salute pubblica, anche interventi mirati alla tutela della salute mentale.

Nel mondo, i servizi di salute mentale sembrano ancora impreparati a gestire le conseguenze, a breve e lungo termine, della pandemia. In Italia i centri che si occupano di salute mentale dovrebbero ricevere il 5 per cento del budget sanitario ma nella realtà il budget reale si aggira intorno al 3,5 per cento; il resto dell’Europa, invece, destina alla salute mentale tra il 7 e l’8 per cento del Pil. Francia e Belgio hanno deciso di stanziare fondi straordinari per supportare percorsi di supporto psicologico per le persone messe a dura prova dal lockdown. In Italia, una risoluzione appena firmata da tutti i gruppi politici e approvata dalla commissione Affari sociali della Camera, impegna il governo a investire sulla salute mentale, specialmente su quella dei giovani.

Le persone al centro

Un diffuso senso di indeterminatezza pervade tutti noi. Anche se le vaccinazioni offrono la speranza di migliorare la nostra salute fisica, non è da sottovalutare che gli strascichi sulla nostra salute mentale saranno rilevanti.

Le speranze devono accompagnarsi a responsabilità, perché a tutti noi, ora particolarmente vulnerabili, servono risposte. Risposte vere e concrete. Maggio, tra l’altro, è in tutto il mondo il mese dedicato alla sensibilizzazione sui disturbi mentali.

E per questo tipo di disturbi non esiste vaccino. Oggi abbiamo una grande occasione: mettere le persone al centro dell’ascolto e a proprio agio nel chiedere aiuto, per uscire dalla pandemia più sani e resilienti. Davvero.

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