Si è conclusa questa mattina al tribunale penale di Roma, a Piazzale Clodio, l’udienza preliminare per decidere sul rinvio a giudizio di quattro ex dirigenti del ministero della Salute: Ranieri Guerra, Giuseppe Ruocco, Francesco Maraglino e Maria Grazia Pompa.
Sono tutti accusati di omissione e rifiuto di atti d’ufficio, in concorso tra loro, per il mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale, rimasto fermo – in piena pandemia – alla versione del 2006. 

In aula sono state depositate le richieste di costituzione di parte civile da parte delle persone danneggiate e dell’associazione #Sereniesempreuniti, che da cinque anni porta avanti la battaglia dei familiari delle vittime del Covid, assistiti dal team legale coordinato dall’avvocata Consuelo Locati.
Non è stato possibile discutere oggi sull’ammissibilità delle costituzioni di parte civile a causa del legittimo impedimento presentato da uno degli imputati, Francesco Maraglino, assente per motivi di salute. L’impedimento, riferito a un ricovero ospedaliero iniziato il 19 settembre scorso e tuttora in corso, è stato depositato soltanto questa mattina. Il pubblico ministero ha dichiarato di non opporsi all’ammissione delle parti civili, mentre il giudice ha disposto la sospensione dei termini di prescrizione del reato contestato.
La discussione sull’ammissione delle costituzioni è stata rinviata al 24 marzo 2026.

La richiesta di Ranieri Guerra

Durante l’udienza, Ranieri Guerra, ex direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, ha chiesto formalmente la cross examination – un interrogatorio con trascrizione integrale – per fornire la propria versione dei fatti relativi alla gestione della pandemia e alla mancata revisione del piano pandemico.

Guerra, contattato da Domani, ha spiegato di voler ricostruire il contesto di quegli anni, sottolineando che non intende «passare per il pollo» di questa storia e che la sua difesa punterà a mettere in luce le inefficienze sistemiche e la responsabilità diffusa di un apparato che non ha funzionato, ben oltre i singoli dirigenti oggi imputati.

Il procedimento, nato dal filone romano della maxi inchiesta della Procura di Bergamo, rappresenta oggi il punto più avanzato del lungo percorso giudiziario avviato dai familiari delle vittime. Quel processo prende le mosse da un dato storico che resta scolpito nella memoria collettiva: tra marzo e aprile 2020, nella sola provincia di Bergamo, morirono oltre seimila persone, travolte da un’epidemia che trovò l’Italia senza un piano aggiornato, senza riserve strategiche, senza una catena di comando efficace.
Un vuoto di pianificazione che, secondo l’accusa, avrebbe aggravato l’impatto del virus e contribuito al collasso del sistema sanitario nei giorni più bui della pandemia.

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