Lo spreco dei Cpr in Albania, esposto alla Corte dei Conti: «Milioni tolti a sanità e scuole»

Un esperimento di ingegneria politica, amministrativa e giuridica. Così ActionAid e l’università di Bari definiscono l’operazione dei centri in Albania, promossa e fortemente difesa dal governo italiano – ufficialmente – per gestire i flussi migratori. Nei fatti, però, sottolinea il rapporto, si tratta di «un’operazione simbolica e contabile», più volte bloccata perché in contrasto con le norme nazionali ed europee, e altrettante volte modificata ricorrendo a sperimentazioni del diritto. «Uno stato di eccezione che diventa metodo, con i costi a rappresentare non un imprevisto, ma l’esito atteso di una strategia politica», scrivono. Prima centri di trattenimento per richiedenti asilo soccorsi in acque internazionali dalle autorità italiane, poi – pur di farli funzionare – centro di permanenza per il rimpatrio, l’undicesimo Cpr italiano. Nel nuovo focus “Il costo dell’eccezione. I centri in Albania” emerge un esborso enorme di finanze pubbliche, che ha portato ActionAid a presentare un esposto alla Corte dei conti per denunciarne lo spreco. Ora toccherà alla procura regionale del Lazio valutare se esercitare o meno l’azione erariale. Gli avvocati hanno inoltre deciso di segnalare all’Anac «presunte irregolarità nell’affidamento dell’appalto da 133 milioni per la gestione dei centri» a Medihospes, come la mancanza di verifica della «rilevanza internazionale dell’appalto, che avrebbe richiesto una procedura più trasparente e aperta». Costosi e inutili, anche i Garanti bocciano il Cpr in Albania di Meloni: «Diritto alla difesa compromesso» «Deviazione di denaro» Invece, la maggior parte dei contratti sottoscritti dalla Difesa per la costruzione dei centri è stata con affidamento diretto: su oltre 82 milioni di gare bandite, oltre 74 sono stati affidati direttamente, di cui 61,2 erogati concretamente. Di questi, solo 10 milioni sono stati stanziati attraverso il “Fondo difesa per costruzione di Cpr in Italia”. Gli altri – a eccezione di 15,8 milioni del “Fondo per le esigenze indifferibili” – sono stati sottratti a diversi ministeri: 3,2 milioni di euro al ministero della Salute, 3,8 alla Cultura, quasi 3,6 all’Istruzione, 3,8 all’Università e Ricerca. «Una distorsione nell’uso di risorse pubbliche ancora più grave, vista l’illegittimità» dei centri, sottolinea l’avvocato Antonello Ciervo, che ha coordinato il team legale. «Una deviazione di denaro verso attività ritenute illegittime dai giudici italiani ed europei», denuncia il report. Più volte i tribunali di primo e secondo grado, così come la Corte di giustizia Ue, hanno bocciato il progetto, delineando «un quadro incompatibile con il diritto». Essere consapevoli dei costi enormi dell’operazione, però, non basta. Perché quella che è una sperimentazione politica, giuridica e contabile costruisce un preciso modello di società: «Se la detenzione amministrativa rispondesse al principio di efficienza della pubblica amministrazione, potremmo accettarla? Se un giorno di privazione della libertà personale fuori dai confini europei costasse un solo euro, potremmo ritenerci soddisfatti? I costi umani e di civiltà giuridica dell’operazione rendono insostenibile qualsiasi spesa», scrivono. E ancora, «quanto siamo disposti a rinunciare – domani – anche ai nostri diritti, in nome dell’efficienza di un sistema di detenzione al di là del confine?». Perché i Cpr in Albania non «funzioneranno» I dati È solo grazie alle richieste di accesso civico fatte dai ricercatori che si riesce a ricostruire il quadro. Perché i dati non sono pubblici né semplici da richiedere. Sono dispersi tra molte amministrazioni e non esiste una rendicontazione unica. «Questo», si legge, «mostra sovrapposizioni di interventi e l’assenza di una guida centrale nella gestione della spesa pubblica». Alla fine del 2024, il prezzo giornaliero per detenuto del centro albanese di Gjadër era tre volte quello di un Cpr sul suolo italiano. Nello stesso momento, aggiungono, i centri in Italia non erano pieni: il 20 per cento dei posti effettivamente disponibili non era occupato. E, negli anni, il sistema della detenzione amministrativa ha dimostrato come un suo potenziamento non porti a un aumento dei rimpatri. Se in una prima fase i centri albanesi sono rimasti vuoti per le mancate convalide, in questa seconda il 70 per cento circa delle persone sta rientrando in Italia per lo stesso motivo. Nonostante ciò, il governo ha continuato a trasferire in modo ostinato. A Gjadër c’è poi un piccolo penitenziario da 20 posti, mai utilizzato e consegnato al 70 per cento. Per questo, il ministero della Giustizia ha stipulato contratti per quasi 2 milioni ed effettuato pagamenti per 1,2. Ma, tra i costi segnalati da ActionAid, quelli più «esorbitanti» riguardano il vitto e l’alloggio delle forze dell’ordine, in capo al Viminale. «Per 120 ore di concreta operatività tra ottobre e dicembre» sono stati spesi 105.616 euro al giorno, «quasi 18 volte in più» rispetto al Cpr sardo di Macomer e oltre 28 volte rispetto a quello di Palazzo San Gervasio. La Difesa, infine, ha speso 2,6 milioni di euro per la manutenzione e forniture per il Libra – il pattugliatore della Marina inizialmente usato per il trasferimento dei naufraghi poi ceduto a Tirana – «ma soprattutto per viaggi e indennità di missione per Carabinieri e militari della Marina». Dati e informazioni che mostrano una «duplicazione deliberata e cinica di un sistema inutile, inumano, oscuro e costoso» sulla pelle «di persone formalmente in custodia dello Stato, ma concretamente in mano a società private e cooperative». E che «ha generato una perdita per l’erario che non può essere archiviata come “errore tecnico”». Forzare il diritto non è una soluzione. Tutti i profili di illegittimità degli inutili Cpr in Albania