Il governo è sempre più in difficoltà nell’attuazione della propria strategia sull’immigrazione. Avevamo spiegato come il tribunale di Catania avesse intaccato una serie tasselli normativi di tale strategia, rilevandone il contrasto con la disciplina europea. Il tribunale di Firenze va ancora oltre, sollevando dubbi sull’implementazione da parte del governo della regolamentazione relativa ai paesi sicuri. E ancora il tribunale di Catania, nella persona di un altro giudice, non ha convalidato il trattenimento di richiedenti asilo disposto dalla questura di Ragusa, confermando nella sostanza le argomentazioni della giudice Iolanda Apostolico.

La qualificazione dei paesi sicuri

Con riguardo alla pronuncia di Firenze, occorre premettere che il ministro degli Esteri, di concerto con quelli dell’Interno e della Giustizia, può stilare un elenco dei “paesi di origine sicuri”, individuati sulla base di criteri predefiniti, a seguito di un’istruttoria tecnica. Il decreto contenente detto elenco è stato adottato nell’ottobre 2019 e poi aggiornato nel marzo 2023. In entrambe le versioni è presente la Tunisia.

L’inserimento di un paese nell’elenco di quelli sicuri comporta l’applicazione di deroghe alla procedura di esame della richiesta di asilo da parte dello straniero che provenga da tale paese. Ad esempio, la sua istanza è esaminata con un iter accelerato, che si sostanzia in un’inversione dell’onere della prova: tale istanza è considerata infondata ex lege, data la provenienza da un paese ritenuto sicuro, per cui dev’essere il richiedente a dimostrare «la sussistenza di gravi motivi» inerenti alla propria situazione personale; inoltre, i termini di proposizione del ricorso contro la decisione sono dimezzati, da 30 a 15 giorni.

Considerata l’attenuazione dei diritti del migrante che deriva dalla qualificazione di un paese come sicuro, tale qualificazione dev’essere basata – ai sensi della cosiddetta direttiva procedure - su informazioni raccolte da fonti qualificate, cioè «da altri Stati membri, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa», nonché costantemente aggiornata e riesaminata, specie in occasione di un eventuale «cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani».

Il giudice e i paesi sicuri

Chiarito tutto questo, si pone il problema se la qualificazione di un paese come sicuro possa essere sindacata dall’autorità giudiziaria.

Il tribunale di Firenze ritiene che tale potere/dovere debba essere riconosciuto al giudice. Quest’ultimo, infatti, quando esamina un’istanza di asilo, deve vagliarla di «alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo» (vedi sentenza Cassazione n. 17075/2018). Inoltre, il sacrificio dei diritti procedurali imposto al migrante che provenga da un paese sicuro comporta per il giudice il dovere di valutare se i requisiti di sicurezza del paese siano davvero presenti e aggiornati.

Sbaglia chi afferma che in questo modo i giudici si legittimano a intervenire su scelte discrezionali di esclusiva competenza dell’amministrazione, e cioè nella valutazione di un paese come sicuro. Se, per il principio di separazione dei poteri, il giudice non può sindacare il merito di tali scelte, deve invece sindacarne il metodo, e cioè vagliare se l’agire dell’amministrazione sia conforme alla legge. E la legge prevede che le condizioni di sicurezza di un paese vengano riesaminate dall’amministrazione quando in esso si verifichi un «cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani», a causa di persecuzioni in atto oppure di un mutamento del quadro politico e normativo, e della conseguente situazione socio-politica, che induca a dubitare dell’effettiva protezione contro eventuali persecuzioni.

Se l’amministrazione non ha svolto tale riesame, si configura un vizio procedurale nella qualificazione di un paese come sicuro. Il ministro degli Esteri ha riesaminato la situazione della Tunisia in conformità alle previsioni di legge?

Le valutazioni mancanti

Analizzando la scheda sicurezza della Tunisia - l’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) l’ha resa conoscibile attraverso un accesso agli atti - risulta che essa è aggiornata al 28 ottobre 2022. Pertanto, la Farnesina ha omesso di verificare se eventi successivi a tale data concretizzino quel «cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani» che rende necessario un riesame della sicurezza del paese.

Spieghiamo in concreto. Ad esempio, nella scheda si dice che, anche se Saïed ha «unilateralmente destituito 57 giudici», «il Tribunale amministrativo ha sospeso l'esecuzione di tale decreto» e ciò dimostra che la magistratura mantiene «una sua indipendenza». Si dice pure che il controllo delle elezioni democratiche del 17 dicembre 2022 è «affidato all’ISIE, organo indipendente che sta vigilando sulla correttezza delle procedure di voto» e ciò garantisce «un sufficiente tasso di democraticità del paese». Ma così non è. Saied ha omesso di reintegrare magistrati che aveva destituito, come invece gli era stato ordinato dal Tribunale amministrativo, e due di tali giudici sono stati arrestati nel febbraio 2023; inoltre, il dittatore tunisino ha sostituito il comitato esecutivo dell'ISIE con persone di sua fiducia. Ma queste circostanze non sono state valutate dal ministero degli Esteri, in quanto successive al 28 ottobre 2022.

Dunque, il procedimento amministrativo di qualificazione della Tunisia come paese sicuro presenta carenze che ne inficiano la validità e rendono non giustificata la deroga ai diritti spettanti al richiedente asilo proveniente da tale paese.

La seconda pronuncia del tribunale di Catania

Con la nuova pronuncia, il tribunale di Catania in primo luogo contesta l’applicazione della procedura “paesi sicuri” per vizi procedurali, dunque non entra nel merito dell’inserimento della Tunisia nell’elenco di tali paesi. In secondo luogo, il giudice disapplica la normativa interna – il decreto Cutro – che prevede la garanzia finanziaria per il richiedente asilo che non voglia essere detenuto negli appositi centri, in quanto non conforme alla direttiva europea che prevede tale garanzia. La disposizione del decreto Cutro sarebbe pure in contrasto con una norma del Testo Unico sull’Immigrazione che pure contempla la garanzia stessa.

La decisione conferma sostanzialmente le conclusioni della giudice Iolanda Apostolico. Ora c’è da attendersi solo un altro ricorso da parte del governo o anche polemiche analoghe a quelle che hanno accompagnato la prima pronuncia?

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