C’è una data ed è quella del 26 maggio: tra un mese il giudice del tribunale di Milano dovrà decidere se accogliere o non accogliere l’istanza di legittimità costituzionale del decreto Sicurezza, sollevata, nei giorni scorsi, durante un processo per direttissima dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Striani.

La loro è la prima istanza nei confronti del provvedimento introdotto dal governo l’11 aprile che, inasprendo diverse pene, interviene su più fronti: contrasto al terrorismo, tutela delle forze dell’ordine, sicurezza urbana, lotta alla criminalità organizzata e gestione dell’ordine pubblico.

Le opposizioni (e non solo) hanno parlato di «deriva securitaria» dell’esecutivo che, tra le altre cose, ha scelto di superare le lungaggini dell’iter parlamentare, trasformando un disegno di legge in un decreto.

Ed è proprio questo il punto attorno a cui ruota l’istanza presentata dai legali meneghini che, nel corso della direttissima contro il proprio assistito accusato di resistenza a pubblico ufficiale per non aver rispettato un blocco stradale, hanno presentato la documentazione.

«La Corte costituzionale (…) nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di un decreto legge ha affermato che la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto, di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura in primo luogo un vizio di illegittimità costituzionale del decreto legge che risulti adottato al di fuori dell’ambito applicativo costituzionalmente previsto».

Tradotto: nel caso del provvedimento appena emanato dal governo esistono ragioni di necessità e urgenza tanto d’averlo dovuto introdurre con un decreto legge? Secondo Losco e Striani la risposta sarebbe negativa.

Per i legali infatti «vi è assoluta carenza di indicazione dei requisiti». Ma c’è dell’altro. «L’assoluta mancanza delle straordinarie ragioni di necessità ed urgenza la si può anche evincere dall’iter procedurale di questo testo normativo – si legge nell’istanza dei due legali – Le motivazioni che hanno indotto il governo ad appropriarsi del testo, sottraendolo all’esame del Parlamento, sono state enunciate il 4 aprile (…). Il ministro dell’Interno Piantedosi ha affermato infatti che “per una questione nominale il provvedimento doveva tornare alla Camera in terza approvazione e quindi l’approvazione si sarebbe prolungata. Diamo un tempo certo e sicuro. Non c’è nessuna compressione della volontà parlamentare, solo tempi certi per un provvedimento già andato troppo per le lunghe”».

Secondo Losco e Striani, in altre parole, le “giustificazioni” del capo del Viminale riguarderebbero «la tempistica parlamentare e non ragioni fattuali di straordinaria necessità e urgenza».

Poi, per gli avvocati c’è una seconda argomentazione alla base della presentazione dell’istanza: il criterio della omogeneità, più volte invocato dalla stessa Corte costituzionale. «Il decreto sicurezza – si legge ancora nell’istanza – ha un carattere del tutto disomogeneo. Presenta norme in materia di prevenzione alla lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata nel primo capo, norme poste a tutela della sicurezza pubblica nel secondo, norme a tutela delle forze dell’ordine nel terzo, norme a tutela delle vittime dell’usura, e norme di modifica dell’ordinamento penitenziario.

Vi sono poi – continua l’istanza – norme come quella sulla cannabis legale, in tema di esibizione dei documenti per l’acquisto di una carta Sim, o quella che pone nuove limitazioni alle navi che prestano attività di soccorso in mare».

È dunque per tutti questi motivi che per gli avvocati il decreto Sicurezza sarebbe incostituzionale.

Ora la decisione sulla remissione della questione tocca al giudice. Nel caso quest’ultimo accogliesse l’istanza, l’ultima parola spetterebbe, come accaduto per l’abuso d’ufficio, alla Consulta e ai suoi “giudici della legge”.

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