«Il papà tagliava i panetti di cocaina e il bambino guardava. Abbiamo un gigantesco problema di infanzia negata, di dispersione scolastica, di analfabetismo, i minori nel circuito penale non sanno neanche firmare.  Ci vuole un piano nazionale senza precedenti». A dirlo è il giudice Roberto Di Bella che racconta la sua esperienza a Catania, da presidente del tribunale dei minori, dopo gli anni vissuti a Reggio Calabria, dove con il progetto ‘Liberi di scegliere’ è riuscito a restituire un altro orizzonte di vita ai figli della malavita, andati via con le loro madri per uscire dal determinismo sociale e dall’eredità criminale. 

Che fine ha fatto il suo ‘Liberi di scegliere’?

La cultura mafiosa si eredita all’interno della famiglia, si trasmette di padre in figlio, io ho visto migliaia di ragazzi nel circuito della giustizia minorile poi finire al 41 bis o sotto terra. Abbiamo deciso di interrompere questi destini, siamo intervenuti sulla responsabilità genitoriale, abbiamo allontanato i ragazzi dalle loro famiglie, l’Erasmus della legalità. In questo momento il progetto è finanziato dalla conferenza episcopale italiana e ha consentito a trenta donne, insieme ai figli, di andare via. Il governo trasformi in legge ‘Liberi di scegliere’, nessuno è entrato nel cuore delle logiche di mafia come abbiamo fatto noi, lo stato si è infiltrato ed ha avuto successo. Dobbiamo perseverare. «Giudice se avessi avuto anche io questa opportunità non mi ritroverei in questo cimitero, continui», mi ha detto un boss al 41 bis. 

Lei è a Catania da tre anni, quale situazione ha trovato?

Ho trovato il degrado, una situazione terribile. La dispersione scolastica è a livelli insopportabili, chi arriva nel circuito penale non sa neanche firmare, avevamo il dovere di intervenire. Abbiamo chiesto ai dirigenti di segnalare i casi più gravi, siamo passati da 40 segnalazioni nel 2021 a mille nel 2022. Abbiamo studiato la norma e collegato l’erogazione del reddito di cittadinanza (ridimensionato dal governo, ndr) all’impegno di mandare i figli a scuola per aumentare la responsabilità dei genitori con i quali abbiamo avviato un percorso. Se non c’è ascolto ammoniamo i genitori fino all’adozione di misure ancora più drastiche, da ultimo la decadenza della responsabilità genitoriale. Abbiamo assistito a una ripresa della frequenza, ma non basta, abbiamo fatto anche altro.

Cosa?

I servizi sociali non si muovevano in modo adeguato. Così è stato varato un piano di assunzioni grazie a comune e azienda sanitaria locale e sono nati gruppi di lavoro composti da assistenti sociali, psicologi, neuropsichiatra infantile, figure professionali che collaborano con l’autorità giudiziaria. Non solo. Abbiamo avviato il tempo piano sperimentandolo in sei scuole, bisogna aprire gli istituti nel pomeriggio in tutto il mezzogiorno perché la scuola diventi presidio di legalità. Da una recente indagine Istat è emerso che i dati elevati di disoccupazione sono collegati alla dispersione scolastica, all’impoverimento intergenerazionale e alla devianza minorile. Bisogna potenziare il tessuto sociale, quello che è stato fatto per Caivano dal governo da un punto di vista economico bisogna estenderlo, non può essere destinato a un solo territorio. 

C’è qualcosa che apprezza del pacchetto approvato dal governo?

Non bisogna demonizzarlo, ci sono tanti aspetti positivi. C’è un osservatorio prefettizio che viene introdotto a partire dalla nostra esperienza che coinvolge ogni realtà del tessuto urbano, osservatorio che si occupa di rigenerazione urbana e dispersione scolastica.

Con le regole precedenti il minore fermato in una piazza di spaccio non poteva essere arrestato, ora si fornisce al giudice una possibilità in più per evitare l’utilizzo di minori come pusher eludendo i controlli di polizia. Con le regole precedenti se un minore veniva intercettato con una pistola col colpo in canna non poteva essere arrestato, si poteva applicare il fermo solo in presenza di arma clandestina o se in possesso di più armi. Se i ragazzi entrano nel circuito della giustizia minorile per loro può essere un’opportunità educativa per arrestare l’ascesa criminale. Le organizzazioni criminali hanno sfruttato le debolezze del sistema per cooptare i ragazzi. 

Nel decreto viene introdotta questa ipotesi, quando un minore non imputabile (dai 12 ai 14 anni) commette un reato può essere convocato dal questore che lo ammonisce e sanziona i genitori con una sanzione di mille euro. A volte i genitori non ci sono, non ha solo una faccia punitiva questo impianto?

Sfatiamo un mito, noi sotto i 14 anni interveniamo già con misure amministrative e civili. Sono strumenti in più che possono essere applicati in modo discrezionale, il decreto è certamente perfettibile, quanto meno ha il pregio di porre l’attenzione sul disagio giovanile e iniziare. Ora serve tutto il resto. 

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