La decisione di imporre in una regione zona arancione o rossa, con le sue pesanti conseguenze sulla vita di tutti i suoi abitanti, dipende da un meccanismo complesso, il cui funzionamento non è mai stato chiarito e che, in ogni caso, si basa su dati incompleti che le regioni inviano a singhiozzo.

Al momento, ad esempio, cinque diverse regioni non hanno inviato dati abbastanza completi da permettere una valutazione. Si tratta di Abruzzo, Basilicata, Liguria, Veneto e Valle d’Aosta. Per questa ragione, Veneto e Liguria, che dovrebbero trovarsi nella zona arancione, per il momento sono state mantenute nella zona gialla.

Numerosi presidenti di regione si sono opposti alle chiusure e hanno accusato il governo di aver agito senza consultarli. Ma in realtà, le regole che determinano la classificazione in zone sono state concordate con le regioni fin dall’inizio dell’emergenza. Inoltre, nel comitato che decide in quale livello di rischio collocare una regione, dal quale deriva la sua collocazione nelle varie zone, siedono tre rappresentanti delle regioni.

Il nuovo Dpcm

La divisione delle regioni in zone di rischio crescente è stata introdotta dall’ultimo Dpcm approvato mercoledì ed entrato in vigore oggi. Nelle zone gialle è in vigore un coprifuoco dalle ore 22 alle 5 di mattina; nelle zone arancioni è vietato uscire dal proprio comune di residenza senza valide ragioni e dove bar e ristoranti sono chiusi tutto il giorno; e infine nelle zone rosse, al momento Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta e Calabria, sono chiuse tutte le attività commerciali e i servizi alla persona non di prima necessità, con alcune eccezioni, ed è vietato circolare senza valide ragioni.

Per determinare la collocazione di una regione in una di queste tre fasce serve esaminare due criteri diversi. Il Dpcm stabilisce che le regioni da considerare in zona arancione sono quelle che si trovano nel cosiddetto “scenario di tipo 3” e presentano un rischio definito “alto”. Le regioni destinate a diventare zone rosse sono invece quelle che si trovano nello “scenario di tipo 4” e presentano allo stesso un rischio “alto”. Tutte le altre sono nella zona gialla.

Sapere in quale scenario si trova una regione è abbastanza semplice, il primo criterio, dipende dal famoso indice Rt, quello che misura la velocità con cui si diffonde il contagio. Se Rt si trova tra 1,25 e 1,5 la regione si trova nello scenario 3. Se invece è superiore a 1,5 si trova nello scenario 4. L’indice Rt viene misurato settimanalmente dall’Iss, ma per via della sua complessità (per elaborarlo, tra le altre cose, serve risalire dalla data di inizio dei sintomi del maggior numero possibile di pazienti, così da avere un’idea di quando sono stati infettati) viene pubblicato con diversi giorni di ritardo rispetto alla settimana di riferimento.

Il “livello di rischio”

Il secondo criterio è il più importante, ma è anche quello che viene deciso in modo meno chiaro. Si tratta del cosidetto livello di rischio. In tutto ce ne sono cinque: molto basso, basso, moderato, alto e molto alto. L’ultima parola su quale livello applicare appartiene alla cosiddetta “cabina di regia”, un organo di cui fanno parte esperti dell’Istituto superiore di sanità e del ministero della Salute, ma anche gli stessi rappresentanti delle regioni, i delegati di Lombardia, Umbria e Campania.

Il livello di rischio viene ottenuto analizzando una serie di 21 indicatori diversi. Questi indicatori riguardano la trasmissione effettiva della malattia, ad esempio il numero di nuovi casi e il numero di focolai; la capacità di tracciamento e la tenuta del sistema sanitario regionale, ad esempio la percentuale di tamponi positivi sul totale dei tamponi effettuati e la percentuale di terapie intensive occupate; infine la cabina di regia tiene conto di una serie di indicatori sulla capacità di monitoraggio, cioè la quantità e la qualità dei dati sul contagio che vengono inviati dalla regione. Pochi dati o dati incompleti rappresentano un importante campanello d’allarme.

Regole rigide?

In teoria, fin dallo scorso 30 aprile, esiste uno schema molto semplice, un cosiddetto “flow chart”, che dovrebbe illustrare come si arriva da questi 21 indicatori al livello di rischio, cioè come questi dati (alcuni quantitativi, altri qualitativi) si trasformano in un livello di rischio “basso”, “moderato” o “alto”. Ma il “flow chart” di aprile considera soltanto alcuni dei famosi 21 indicatori e appare chiaro che il calcolo reale include altri passaggi. L’Iss ha spesso parlato di un “algoritmo" che svolgerebbe questa funziona, ma l’esatta natura di questo calcolo non è mai stato del tutto spiegato e potrebbero includere valutazioni arbitrarie.

Ad esempio, Liguria e Veneto si trovano nello scenario di tipo 3 poiché hanno un indice Rt superiore a 1.25. Allo stesso tempo non hanno inviato sufficienti dati realtivi ai 21 indicatori per permettere una valutazione corretta del loro rischio. In questo caso, la valutazione del rischio viene automaticamente considerata a livello alto. Scenario 3 più rischio alto dovrebbero portare all’inserimento nella zona arancione, ma alle due regioni è stato dato il beneficio del dubbio e per il momento sono rimaste in zona gialla.

La Valle d’Aosta invece si trova in uno scenario di tipo 4 e come Veneto e Liguria non ha inviato dati sufficienti per consentire di monitorare il suo livello di rischio, che quindi viene automaticamente considerato alto. Visto che la regione non invia dati completi da diverse settimane, la regione è stata inserita in zona rossa. Le altre due regioni che non hanno inviato dati completi, Abruzzo e Basilicata, sono collocate nel livello di rischio alto, ma visto che hanno un Rt inferiore a 1.25 sono ancora nello scenario di tipo 2 e quindi rimangono in zona gialla.

In altre parole, le chiusure delle regioni non avvengono soltanto in base alle regole, ma c’è una componente discrezionale. Inoltre, pur avendo a disposizione tutti i 21 indicatori per una regione, non sarebbe possibile riprodurre esattamente il livello di rischio calcolato dalla cabina di regia, poiché il metodo non è mai stato reso pubblico. Questo esercizio, in ogni caso, è praticamente impossibile, visto che i valori dei 21 indicatori per ciascuna regione non sono quasi mai stati resi pubblici nel loro insieme. Ogni settimana, l’Iss si limita a comunicare pubblicamente il numero di regioni a rischio “alto” (sono 11 in base all’ultimo rapporto), ma non i valori che hanno condotto a questa valutazione.

Una delle ragioni per questa reticenza potrebbe essere il fatto che numerose regioni non riescono a inviare dati completi a causa dell’insufficienza o del sovraccarico delle loro strutture di monitoraggio.

 

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