Dietro all’incarnato da Biancaneve, gli occhi da Bambi e il sorriso da Monna Lisa, Barbara Ronchi nasconde la forza e il mistero di un’interprete che ha saputo conquistare il cinema italiano con lo studio e la gavetta.

Vincitrice di un David di Donatello, di un Nastro d’argento e oggi anche di un Ciak d’oro come personaggio femminile del 2024, la protagonista di film come Rapito di Marco Bellocchio, Familia di Francesco Costabile o Il treno dei bambini di Cristina Comencini continua a rimettersi pericolosamente in gioco con le vite altrui: una di queste è quella di Debora Attanasio, la segretaria del mitologico Riccardo Schicchi, re dell’hard anni ‘80 e ‘90 che contribuì insieme a porno-amazzoni chiamate Cicciolina, Moana Pozzi o Eva Henger a cambiare il comune senso del pudore in Italia.

Il film, al cinema dal 6 febbraio, è Diva Futura, opera seconda di Giulia Louise Steigerwalt che aveva già diretto l’attrice nella toccante commedia agrodolce Settembre.

Cosa vuol dire essere una diva? Ha mai sognato di esserlo da bambina?

Il concetto di diva ha a che fare con l'inarrivabile, con qualcosa di misterioso che guardi da lontano, a cui ti ispiri e che ti meraviglia costantemente, quindi è una cosa molto lontana da me.

Non trova che Diva futura sia un nome un po’ ambiguo? Le pornostar dell’agenzia di Schicchi lo erano veramente grazie alla loro sfrontatezza e modernità in una società bacchettona, o si illudevano di esserlo o di diventarlo un giorno?

Queste ragazze lo erano davvero, c'era qualcosa in loro che le rendeva delle stelle irraggiungibili che troneggiavano su manifesti, VHS e riviste porno. Erano donne ricche e potenti che avevano anche conquistato il potere di scegliere i loro partner maschili in un mondo misogino. Ma anche se nella loro agenzia erano trattate come star, nel mondo reale venivano ghettizzate. Erano amate e desiderate dal pubblico ma la società non accettava che superassero i confini del porno. Alcune di loro hanno tentato la strada della recitazione o della conduzione in TV senza successo perché alla fine erano marchiate dalla lettera scarlatta dell’hard.

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È vero che il porno ghettizza ma allo stesso tempo l’Italia è stato anche uno dei rari Paesi a sdoganare le pornostar in prima serata in TV o in politica. Penso a Moana Pozzi ospite da Pippo Baudo o Maurizio Costanzo, Eva Henger a Paperissima o Cicciolina in parlamento.

Sì, c’era una fascinazione nei loro confronti ma poi quando erano invitate in TV venivano spesso derise. Anche in politica, è chiaro che Cicciolina in parlamento era una provocazione. Riccardo Schicchi ha intuito che queste donne, che in un Paese bigotto e cattolico incarnavano la rivoluzione sessuale, potevano entrare in casa degli Italiani per raccontarsi e magari cambiare le cose. Ci hanno creduto e hanno anche contribuito a lottare contro la censura e a liberare le menti di alcuni Italiani. Ma alla fine tutto si è rivelato un’utopia perché queste donne erano in fin dei conti considerate fenomeni da baraccone: finché si esibivano andavano bene, ma poi non potevano accompagnare i propri figli a scuola senza essere giudicate madri indegne.

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Che cosa ne pensa della rappresentazione delle donne nel cinema italiano di quegli anni? Negli anni ‘70 e ‘80 era molto difficile fare l’attrice in questo Paese se non ci si spogliava. Non crede che queste donne abbiano veicolato un immaginario maschile complicato da gestire per chi cresceva in quel periodo?

Dipende dai punti di vista, vedere una donna attraente che si spoglia può essere molto affascinante, può anche veicolare un’idea di libertà sessuale e di potere del corpo femminile di cui non c'è nulla di cui vergognarsi. Se una donna è a proprio agio con il nudo ed è consapevole di se stessa e della propria bellezza non ci vedo nulla di male, anzi può essere un esempio per tante ragazze complessate. Prenda Stefania Sandrelli che fu attaccata per essersi spogliata a 40 anni ne La Chiave di Tinto Brass. Fu un atto di sfrontatezza e di ribellione incredibile nell’Italia ipocrita di quegli anni, lei si sentiva completamente a suo agio col proprio corpo e non aveva paura di mostrarlo, altro che donna oggetto. Nei film di Riccardo Schicchi la bellezza delle sue protagoniste veniva sempre esaltata, non riesco a vederci squallore o mercificazione, come probabilmente nell’industria del porno di oggi. È inutile tornare sul passato, le battaglie vanno fatte per il futuro ed è bello che una donna possa continuare a spogliarsi, a essere sexy, desiderata e a trasmettere l’idea alle nuove generazioni che una donna non deve avere paura della propria libertà sessuale.

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Sacrosanto, ma aldilà del corpo come strumento di emancipazione femminile, non crede che queste donne abbiano incarnato dei canoni fisici di bellezza inarrivabili?

No, non credo… chiaramente incarnavano un'immagine di donna molto lontana da me che mi affascina moltissimo, ma era palesemente la figura di una creatura iconica, quasi fantastica: ricordo Cicciolina su un cavallo bianco, sembrava uscita da una fiaba. L’idea che trasmettevano era quanta libertà ci fosse nel sentirsi così belle, così potenti, così desiderate e libere di ricercare il proprio piacere.

E in lei com'è nata questa passione, questa voglia di mettersi in pericolo diventando un’attrice?

Fin da piccola ero affascinata dagli spettacoli teatrali, sentivo segretamente di voler provare le emozioni che vivevano i personaggi in scena, mi sembravano così reali. Per grande timidezza e anche perché la mia famiglia non ha nulla a che vedere con questo ambiente, facevo fatica a dirlo e a ammetterlo a me stessa. Non sapevo da dove cominciare, così mi sono laureata in archeologia pur continuando a fare spettacoli amatoriali con i miei amici del liceo. Un giorno alcuni insegnanti dell'Accademia d’arte drammatica di Roma mi videro in scena e mi proposero di entrare alla Silvio d’Amico. Ero convinta che avrei fatto una carriera in teatro ma poi è arrivato il cinema: Marco Bellocchio con Fai bei sogni e Emanuela Volpe, la mia agente. Da questi incontri ho capito che il cinema era la mia strada.

Quale personaggio l’ha messa più a rischio?

Marianna Padovani Mortara in Rapito, soffrivo moltissimo sul set, era un dolore fisico, ero come entrata in connessione con la sofferenza di una madre vissuta quasi 150 anni prima. In quel periodo mi ero volontariamente allontanata da mio figlio perché mi sentivo quasi in colpa con il mio personaggio, una madre a cui avevano rapito il bambino.

Qual è stata la più grande lezione che ha ricevuto da un maestro come Marco Bellocchio?

Mi ha fatto capire, senza mai dirmelo direttamente, che il pudore è importante e che un attore, anche se è disposto a darsi completamente, deve sempre salvaguardare una parte segreta di sé. Il pudore è un sentimento che ti aiuta ad avere rispetto di te stessa ma anche degli altri: le persone che hanno vissuto veramente quella cosa e che non sei tu.

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Riuscirebbe a interpretare una pornostar?

Sì, non avrei nessun tipo di pudore. Chiaramente è importante lo sguardo, la visione del regista che me lo chiede. Se Giulia Steigerwalt me lo avesse proposto non avrei esitato perché, come si vede nel film, c'è proprio la voglia di raccontare queste donne senza giudicarle. Diva Futura racconta l'ascesa e il declino di un sogno, che era quello dell'amore libero in cui una donna poteva mostrarsi sublimata nelle sua nudità, nei suoi amplessi e nel suo piacere senza doversi vergognare. Diciamo che è un film che ha un femminismo dentro, reale, concreto.

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Non per essere cinici, ma il porno è un'industria e anche se queste ragazze venivano elevate a icone meravigliose in fin dei conti erano mercificate… le loro scene hard venivano spolpate e rimontate in vari film di cui non avevano il controllo.

Non era il caso delle ragazze di Diva futura. Il porno era una scelta cosciente per loro, era il loro lavoro e non si sentivano mercificate. Anch’io sono un prodotto, lo sono perché c'è qualcuno che mi guarda. In fondo è la stessa cosa, dov’è la differenza? È il sesso? Il fatto che facevano apertamente sullo schermo una cosa che facciamo tutti?


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