Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


La sentenza impugnata dedica pagine meditate e uno spazio congruo alla motivazione del giudizio con cui stronca l’attendibilità delle alluvionali propalazioni di Massimo Ciancimino, prendendo le mosse dalla peculiarità della sua figura come fonte dichiarativa.

E non ci si riferisce tanto al ruolo che il più giovane dei tigli di Vito Ciancimino si è auto-attribuito, quale fonte principale di rivelazione dei fatti alla base della vicenda poi divenuta nota come “trattativa Stato-mafia” (un aspetto che, tino alla conclusione del giudizio di primo grado la Pubblica Accusa , pur non nascondendo alcune criticità delle sue dichiarazioni, non ha del tutto rinnegato, non rinunciando a valorizzare talune sue dichiarazioni in chiave confermativa di quegli accadimenti).

In effetti, Massimo Ciancimino, oltre ad essere un “testimone” privilegiato della c.d. Trattativa che secondo la contestazione del P.M. Venne intavolata dagli altri imputati Mori e De Donno con i vertici mafiosi col tramite di Vito Ciancimino, era al contempo, imputato del reato del c.d. “concorso esterno” nell’associazione mafiosa Cosa Nostra in relazione al contestato ruolo di latore di messaggi scritti e

comunicazioni orali fra il padre Ciancimino Vito Calogero e Provenzano Bernardo ; e imputato del reato di calunnia aggravata, per avere ingiustamente incolpato il Dott. De Gennaro di avere intrattenuto rapporti illeciti con esponenti dell’associazione mafiosa Cosa Nostra, peraltro, falsificando un documento nel quale in modo apocrifo aggiungeva proprio il nome del De Gennaro con una cerchiatura traendolo da uno scritto autografo del padre.

Nella stessa fonte dichiarativa si intrecciavano e si sovrapponevano quindi vesti processuali e angolazioni, anche sotto il profilo dell’approccio alla valutazione preliminare di attendibilità diverse e persino confliggenti, tanto più se si considera che le propalazioni calunniose nei riguardi del dot. De Gennaro servivano anche a dare credibilità alle altre sovrastrutture create dalla fervida fantasia del dichiarante. Sicché non può che convenirsi con il giudizio conclusivo del giudice di prime cure secondo cui è veramente ardito discernere nelle dichiarazioni di Massimo Ciancimino il vero dal falso, tanto più che quest'ultimo ha mostrato di avere una personalità caratterizzata da tratti di eclettismo ed istrionismo, con una spiccata tendenza a creare, pur muovendo da un nucleo di fatti certamente veri e che egli ha avuto modo di conoscere o direttamente in virtù della particolare vicinanza col padre in occasione delle traversie giudiziarie clic hanno riguardato quest'ultimo ovvero indirettamente attraverso possibili confidenze del padre medesimo o, probabilmente in maggior misura, esaminando documenti da quest'ultimo custoditi, sovrastrutture progressivamente sempre più complesse, ma spesso con fondamenta assolutamente fragili e, quindi, conseguentemente, destinate a crollare miseramente.

Lo sviluppo nel tempo della narrazione del giovane Ciancimino, come ricostruito già con l’esame da parte del P.M. e, poi, ancor più con l’incalzante controesame svolto dalla difesa della parte civile De Gennaro (ma anche con quello svolto dalle difese degli altri imputati controinteressati) rende evidente, a parere del primo giudice, come il dichiarante abbia cercato di sfruttare le poche conoscenze personali acquisite prestando i suoi servigi filiali a favore del padre negli anni sino al 1992, e alcune confidenze fattegli sempre dal padre negli anni più prossimi alla sua morte (dal 1999 al 2002) con la finalità di scrivere un libro di memorie; e come, successivamente, egli si sia servito anche e soprattutto di alcuni documenti dello stesso genitore per imbastire una storia, in parte effettivamente accaduta, ma nella quale assegna a sé un ruolo di quasi protagonista certamente incompatibile, soprattutto sotto il profilo conoscitivo, con il ruolo svolto in concreto che è stato quello di mero esecutore delle istruzioni e delle commissioni paterne, senza alcuna possibilità di interloquire nel merito o di avere dal burbero genitore, per sua stessa ammissione, spiegazioni e chiarimenti sugli incarichi materiali di volta in volta affidatigli.

[…] Il giudice di prime cure tuttavia tiene a precisare che la “falsità” di tali documenti non significa che non siano mai esistiti i fatti che con essi si intendeva plasticamente documentare, come i costanti contatti tra Bernardo Provenzano e Vito Ciancimino anche attraverso “pizzini”; o il fatto che quest’ultimo, dopo essersi prestato a fare da tramite per un dialogo tra Istituzioni e mafiosi, non sia stato effettivamente destinatario di una serie di richieste dei vertici mafiosi coincidenti, almeno in parte, quelle contenute nel “papello” esibito da Massimo Ciancimino e qui acquisito, poiché agli atti vi è prova inconfutabile sia dei primi che delle seconde.

Ma resta il fatto che Massimo Ciancimino, utilizzando conoscenze acquisite negli anni dal padre o promananti da altri soggetti le cui dichiarazioni erano da tempo note (come quelle rese Brusca Giovanni, che fin dal 1996 aveva iniziato a rendere dichiarazioni su quei fatti sin dal 1996; o le dichiarazioni rese da Mori e De Donno al processo di Firenze già nel 1998), per supportare le sovrastrutture narrative artificiosamente aggiunte a ciò di cui era a conoscenza, oltre a rendere false dichiarazioni ha altresì falsificato e consegnato alla A.G, alcuni documenti, rischiando cosi di inquinare irrimediabilmente le acquisizioni probatorie in ordine ai fatti oggetto del presente processo.

© Riproduzione riservata