Dopo oltre due anni di pandemia ci sono state decine di varianti ma c’è qualcosa che non è mai cambiato: l’attesa degli indennizzi alle famiglie di medici, in particolare di medicina generale a cui si aggiungono gli infermieri, che hanno perso la vita fronteggiando la prima emergenza innescata dal Covid-19.

Proprio loro che pure erano stati descritti come simbolo dell’Italia, la scialuppa a cui aggrapparsi in quella fase. Il decreto Cura Italia, il primo varato nel marzo 2020 dal governo Conte II per rispondere all’emergenza sanitaria e a quella economica, aveva previsto uno stanziamento di 10 milioni di euro, di recente aumentati a 15 milioni, da destinare ai familiari del personale sanitario morto dopo aver contratto il virus sul luogo di lavoro.

Era una priorità assoluta, anche perché, secondo i dati ufficiali, almeno 374 medici di base sono morti dopo il contagio in quelle settimane. Dal discorso vanno esclusi i medici ospedalieri: le loro famiglie hanno potuto ottenere la copertura dell’Inail. Intanto, si sta cercando di ricostruire il numero delle altre figure, infermieri e personale sanitario in generale, che hanno perso la vita. Il numero può così aumentare sensibilmente, andando ben oltre le 500 unità.

Decreto mancante

Tra varie incertezze resta, dunque, un punto fisso: dall’approvazione del Cura Italia sono trascorsi 2 anni e 4 mesi e il decreto attuativo non è ancora stato emanato. Significa che le famiglie sono in attesa di quello che resta un indennizzo minimo di fronte alla perdita di un congiunto. Come un’ulteriore beffa, peraltro, si tratta dell’unica disposizione attuativa che manca di quel testo: gli altri 29 decreti hanno completato l’iter. Molti anche da un bel po’. La responsabilità, come riportato dalla norma, ricade sul dipartimento delle Pari opportunità e famiglia, guidato da Elena Bonetti dal settembre 2019, di concerto con il ministero della Salute di Roberto Speranza.

«Il tempo delle attese deve finire. A oggi, purtroppo, l’elargizione di questi indennizzi non è mai avvenuta», dice l’associazione “Medici a mani nude”, fondata nell’autunno 2021 con lo scopo di tenere viva la memoria delle vittime e ottenere il riconoscimento previsto dalla legge.

I ritardi sono legati a varie ragioni. Prima di tutto è necessario stabilire l’entità dell’elargizione da corrispondere e l’individuazione dei destinatari. Su questo punto, peraltro, è stata ampliata la platea, introducendo al fianco dei coniugi anche i figli. Va poi individuata la modalità di pagamento e l’organismo responsabile che dovrà operativamente provvedere al saldo. Tutti nodi delicati, che però potevano essere sciolti in oltre due anni dai ministeri di Bonetti e di Speranza, che hanno operato in continuità anche con il passaggio di consegne da Giuseppe Conte a Mario Draghi.

Tempistica ancora lunga

Per sollecitare una velocizzazione dell’iter è stata anche presentata un’interrogazione alla Camera dalle deputate del Movimento 5 stelle, Virginia Villani e Gilda Sportiello. Speranza, in risposta alle sollecitazioni provenienti da Montecitorio, ha riferito che solo a giugno è stato ripreso in mano il dossier con una «riunione di coordinamento». Il 4 luglio c’è stato poi il primo vertice tra il dipartimento di palazzo Chigi e l’Inail per «verificare i dati sulla platea dei destinatari». La tempistica, insomma, si prospetta ancora lunga.

«Ma il tempo delle attese è scaduto», come sollecitano le deputate Villani e Sportiello, che hanno promesso di vigilare sulle mosse del governo.

Il ministro della Salute ha ricordato che ci sono comunque oltre 12 milioni di euro, gestiti dalla Protezione civile, relativi al fondo “Sempre con voi”, destinato alle famiglie delle vittime. Si tratta, però, dell’azione portata avanti dalla famiglia Della Valle. E qui viene sollevata la perplessità sul fatto che il governo abbia fatto propria un’iniziativa di privati per smorzare le polemiche sui ritardi. Ma, oltre a questo punto, c’è una questione più pragmatica: l’accesso al cosiddetto fondo Della Valle presenta una serie di paletti, tra cui quello anagrafico. È necessario avere al massimo 26 anni. Molti medici deceduti per Covid erano over 60, con figli più grandi di quell’età. Centinaia di persone hanno così presentato l’istanza, puntualmente bocciata.

Ancora in prima linea

Ma le dimenticanze non riguardano solo il personale deceduto. Anche chi continua a combattere il virus attende un riconoscimento stabilito dalla legge. È il caso degli infermieri, in attesa dell’indennità specifica da oltre due anni. Una sorta di “bonus” per lo sforzo compiuto durante la pandemia. Lo stanziamento di 500 milioni di euro, circa mille euro lordi a testa, non è mai stato ripartito, perché è stato collegato al rinnovo del contratto collettivo nazionale, oggetto di lunghe trattative. Nelle ultime settimane si intravede uno spiraglio con la sottoscrizione dell’accordo. In ogni caso si tratta di «una gimcana che, nella migliore delle ipotesi, durerà 5-6 mesi», dice Andrea Bottega segretario del Nursind, il sindacato degli infermieri.

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