Un Mondiale di calcio organizzato in associazione tra le federazioni di Italia e Arabia Saudita? Per il momento sembrerebbe di no, ma meglio non considerare chiusa la partita. Perché le relazioni diplomatiche ed economiche vanno nettamente al di sopra di quelle sportive. E perché mai come in questa circostanza lo sport e il calcio sono una questione politica ed economica.

Lo sa bene la monarchia araba, impegnata durante questi anni a promuovere il “nuovo Rinascimento” (copyright Matteo Renzi) che vede anche nello sport uno strumento propagandistico formidabile. E si tratta non soltanto di un’operazione di sportwashing, poiché in ballo c’è anche la costruzione di un profilo da potenza sportiva internazionale che fin qui alla ricchissima petro-monarchia difetta. Da Riyad, insomma, non molleranno la presa. E la prospettiva che i sauditi vadano a cercarsi un altro partner europeo, con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini di rimescolamento delle alleanze e delle partnership, potrebbe fare cambiare l’atteggiamento italiano.

Una voce dall'Inghilterra

La notizia si è diffusa venerdì scorso. A metterla in circolazione una fonte autorevolissima: il sito web The Athletic, testata di riferimento per analisti e appassionati di sport. Un articolo firmato da Matt Slater riferisce di una possibile candidatura congiunta tra la Federazione italiana gioco calcio (Figc) e la Saudi Arabia football federation (Saff) per ottenere l’organizzazione della fase finale dei Mondiali 2030. Un’edizione che sul versante europeo presenta già candidature forti come quella iberica (Portogallo e Spagna) e quella sempre più probabile di Inghilterra e Irlanda sponsorizzata da Boris Johnson. L’eventuale ingresso dell’asse Figc-Saff nella corsa avrebbe l’effetto di sparigliare gli equilibri in fase di consolidamento.

L’articolo di The Athletic va nel dettaglio e spiega sia i contenuti della possibile candidatura che il quadro in cui essa è maturata.

In un primo tempo sarebbe stata valutata dai sauditi una candidatura di area MenA (Middle east north Africa), di cui potessero far parte anche Egitto e Marocco. Ma questa prospettiva sarebbe stata scartata a causa delle carenze infrastrutturali e d’impiantistica dei due paesi nordafricani, che presenterebbero anche problemi di sicurezza per la competizione. Per questo si è passato a contemplare l’ipotesi italiana, paese di ben altro spessore in termini di immagine e tradizioni calcistiche. Tanto più che fra le due federazioni esiste un rapporto consolidato, da cui è scaturito il protocollo d’intesa firmato il 27 ottobre 2020 tra il presidente federale italiano Gabriele Gravina e il presidente della federazione saudita Yasser Al-Misehal, in presenza del ministro dello Sport saudita Abdul Aziz bin Turki Al-Faisal. Al centro del patto di cooperazione, fra gli altri temi, quello dello sviluppo del calcio femminile.

Tenuto conto del rapporto esistente, rafforzato anche dalle tre edizioni (compresa la prossima) della Supercoppa italiana ospitate a Riyad e Gedda, è parsa soluzione possibile quella di coinvolgere la Federazione italiana nella candidatura con vista 2030. Anno che, va ricordato, è assunto come prospettiva del piano strategico di sviluppo che la monarchia saudita ha fatto elaborare col titolo “Vision 2030”.

Lo svantaggio competitivo d'area

«Non è soltanto una questione di economia o di immagine – dice Matt Slater, raggiunto telefonicamente da Domani – anche l’aspetto sportivo ha la sua importanza. I regnanti sauditi hanno visto il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti crescere come potenze sportive internazionali, con evidenti ritorni sotto ogni profilo. Si sono resi conto di avere maturato un grande svantaggio competitivo e adesso hanno una gran fretta di colmarlo. Questo Mondiale vogliono organizzarlo a ogni costo, anche perché soffrono il fatto di vedere quei due piccoli emirati segnare una presenza così schiacciante mentre un paese dalle dimensioni territoriali e demografiche di ben altra taglia come l’Arabia Saudita recita al momento un ruolo di secondo piano».

Analisi condivisibile. La politica aggressiva di Abu Dhabi e soprattutto di Doha ha cambiato il volto dello sport globale, non soltanto nel calcio. L’acquisizione del Manchester City da parte dell’Abu Dhabi United Group ha portato alla costituzione di un portafoglio di club calcistici (il City Football Group) sparsi per il mondo. Ha fatto di più il Qatar dopo l’acquisizione del Paris Saint Germain: oltre a espandersi nel calcio, il Qatar Sports Investments ha radicato una presenza nel campo televisivo con beIN, emittente francese che ha preso il posto di Al Jazeera sport per diventare un attore strategico del mercato globale.

Inoltre il ministero dello sport qatariota ha dato vita a uno spregiudicato programma di naturalizzazioni sportive che ha permesso anche alle rappresentative nazionali di raggiungere risultati rilevanti, a dispetto di un’esigua base demografica. Ciò che costituisce beffa bruciante per l’Arabia Saudita, paese da 33 milioni di abitanti che sul piano internazionale rimane un nano sportivo.

I perché del no

Il governo di Riyad sta provando a colmare lo svantaggio in diversi modi. L’anno scorso il fondo sovrano Public Investments Fund (Pif) ha provato a mettere piede in Inghilterra tramite l’acquisto del Newcastle United. Le eccezioni poste dalla Premier League hanno fatto saltare l’affare e lasciato in eredità un malumore presso la tifoseria del Newcastle che alla fine della scorsa settimana si è diretto pure contro il premier Boris Johnson. Ma la prospettiva del Mondiale rimane quella cui il governo saudita tiene maggiormente.

L’ipotesi di organizzarlo con l’Italia è stata reale, con tanto di progetto presentato all’interlocutore italiano, come conferma una fonte che ha avuto modo di vederlo. Ma cosa porta, per il momento, verso il no da parte italiana? Oltre alle difficoltà logistiche (mai vista una candidatura condivisa tra paesi distanti 3.600 chilometri, con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini logistici e climatici), c’è una ragione di calcolo politico.

Come dichiarato nei giorni scorsi dal presidente federale Gabriele Gravina, l’Italia aspira piuttosto a ospitare gli Europei 2028. E in quest’ottica sarebbe già partito un gioco di alleanze e reciproco appoggio con la candidatura Spagna-Portogallo 2030. Inoltre non è da trascurare l’elemento di immagine. Un Mondiale italo-saudita manderebbe in visibilio Matteo Renzi, che diventerebbe il cheerleader della candidatura, ma riaccenderebbe fortissime polemiche sulle violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime protagonista anche dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.

Sia Matt Slater che la nostra fonte italiana concordano sul fatto che i sauditi faranno di tutto per ottenere l’organizzazione di un Mondiale. Anche a costo di cercare un altro partner in Europa. «Sì, di questo sono sicuro: i sauditi non si rassegneranno» sostiene il giornalista di The Athletic. Ma cosa significherebbe cercare un altro partner? Certamente significherebbe spostare altrove affari e investimenti. Non solo calcistici. Una prospettiva che passa ben al di sopra della Figc. E che potrebbe correggere gli obiettivi e le strategie italiane.

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