Quattordici tonnellate di componenti erano destinate probabilmente all’azienda Israel Military Industries. L'operazione dei lavoratori francesi non è stata improvvisata. A Marsiglia come a Genova, al Pireo e Anversa, i portuali sono diventati i custodi delle norme che i governi disattendono. Una lotta dal respiro europeo, frutto di un'intelligence operaia
Il 5 giugno 2025 i portuali francesi della CGT hanno scritto un nuovo capitolo nell’atlante europeo delle resistenze contro il commercio di armi. A Marsiglia, al terminal del Golfo di Fos, hanno rifiutato di caricare sulla nave Contship ERA — proprietà della compagnia israeliana ZIM e diretta a Haifa — 14 tonnellate di componenti per mitragliatrici. Erano 19 pallet di nastri metallici prodotti dalla francese Eurolinks, destinati — secondo fonti investigative — alle mitragliatrici Negev 5 dell’esercito israeliano e, probabilmente, all’azienda Israel Military Industries, controllata da Elbit Systems.
L'operazione dei lavoratori francesi non è stata improvvisata. La rete di informazione e attivismo che collega i portuali europei con ong e media investigativi aveva ricostruito che già due precedenti spedizioni, il 3 aprile e il 22 maggio, avevano trasportato carichi simili. Per il ministro della Difesa francese Sébastien Lecornu si trattava solo di "componenti per la riesportazione".
A Marsiglia come a Genova, come al Pireo e ad Anversa, i portuali sono diventati i custodi materiali delle norme nazionali e internazionali che i governi disattendono. In Italia la legge 185/90 vieta esplicitamente l’esportazione di armi verso Paesi coinvolti in conflitti armati o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, eppure i flussi di armamenti non si sono mai fermati.
La Ue stessa, con la Posizione Comune 2008/944/PESC, impone il rispetto dei diritti umani e la prevenzione di escalation belliche: criteri sistematicamente aggirati.
Un movimento internazionale
E nel vuoto di legalità si inserisce l’azione dei portuali. A Genova, dopo la notizia del blocco francese, i lavoratori dell’USB e del CALP si sono organizzati per verificare che la Contship ERA, attesa sabato per un rifornimento tecnico, fosse effettivamente vuota. È una catena di controllo dal basso che parte dalle banchine e costringe il potere politico a inseguire.
Non è un caso isolato. Genova ha già respinto nel 2019 il carico della nave saudita Bahri Yanbu, sospettato di essere destinato al conflitto in Yemen. Nel 2021, in coordinamento con Livorno e Napoli, i portuali italiani hanno bloccato carichi diretti in Israele, impedendo il transito di missili ed esplosivi mentre a Gaza si contavano i morti sotto le bombe.
Anche a Livorno nel maggio 2021 l’USB ha impedito il carico sulla nave Asiatic Island, destinata ad Ashdod, dopo segnalazioni ricevute dal CALP e dall’osservatorio Weapon Watch. Ancora prima, nel maggio 2019, i portuali napoletani parteciparono al boicottaggio di carichi destinati alla guerra yemenita.
La lotta ha ormai un respiro continentale. A Barcellona il sindacato O.E.P.B. ha rifiutato di movimentare qualsiasi carico militare già dal novembre 2023. In Belgio, le sigle dei trasporti ACV Puls, BTB e BBTK hanno dichiarato la loro indisponibilità a gestire spedizioni militari per Israele.
In Svezia, tra fine 2024 e inizio 2025, lo Swedish Dockworkers Union ha promosso un boicottaggio legale dei carichi militari diretti a Israele, pagando il prezzo di licenziamenti e sanzioni. In Grecia, il sindacato ENEDEP ha bloccato carichi di 21 tonnellate di munizioni dirette a Haifa sulla nave Marla Bull della ZIM.
L’intelligence operaia
La loro azione è il frutto di un'intelligence operaia che spesso anticipa le stesse autorità: indagano, ricevono soffiate, analizzano i carichi e intervengono. L’attività dei portuali espone con brutalità il doppio standard delle democrazie occidentali sul commercio di armi.
I governi, mentre ratificano trattati internazionali come l’Arms Trade Treaty, consentono esportazioni verso Paesi coinvolti in conflitti o accusati di crimini di guerra. In Italia, la legge 185/90 è stata più volte minacciata di riforma per indebolire i controlli, ridurre la trasparenza parlamentare e limitare il ruolo delle ong.
La rete dei portuali europei rappresenta oggi una delle più avanzate forme di controllo democratico dal basso sui traffici bellici. E spesso spesso sono puniti proprio per questo: perché sono un fastidioso presidio di legalità.
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