L’Italia è uno dei paesi europei che fa più fatica a riflettere in modo scientifico rispetto all'uso delle droghe a scopo medico, mentre l'Unione europea continua a compiere passi in avanti per approvare l’uso terapeutico degli psichedelici contro alcuni disturbi psichiatrici.

Lo scorso aprile il governo olandese – con la coalizione di centrodestra capitanata dal primo ministro Mark Rutte, prima della vittoria del populista di estrema destra Gert Wilders alle elezioni politiche di novembre – ha istituito una commissione di ricerca per studiare le proprietà dell'Mdma, i suoi rischi e benefici per la società e il suo potenziale valore come terapia nella valutazione del disturbo post-traumatico da stress (Ptsd) e della depressione resistente al trattamento (Trd).

In Australia, dove è possibile somministrare l’Mdma a scopo terapeutico, il dottor Mike Musker, ricercatore sulla salute mentale all'Università dell'Australia Meridionale, ha descritto questo cambiamento come «una delle più grandi evoluzioni della psichiatria negli ultimi 70 anni». Gli studi sono positivi sebbene ancora i dati siano preliminari e limitati.

Ci sono proposte simili anche a livello europeo: lo scorso febbraio un gruppo trasversale di europarlamentari - diviso tra rappresentanti di S&D, Verdi, Ppe e Renew Europe - ha finanziato una squadra di ricerca per la regolamentazione della terapia assistita con psichedelici. Rimane notevolmente indietro l’Italia, che ha dimostrato il suo disinteresse nello sviluppo di una strategia scientifica per la sperimentazione dell’Mdma (comunemente nota come ecstasy) a scopo curativo.

L’Italia ha anche investito meno di 500 milioni di euro in ricerca sanitaria messi a disposizione dal Pnrr, e ha deciso non di non approvare la proposta di legge Magi-Licatini sulla depenalizzazione della cannabis per le malattie croniche.

Il caso di Sara

Una delle professioniste che in Italia ha studiato l’effetto terapeutico delle droghe è la dottoressa Annalisa Valeri, psicologa e psicoterapeuta che fa parte di un gruppo di ricerca sugli stati non ordinari di coscienza presso un centro studi di Rimini.

«Tutte le sostanze definite psichedeliche producono uno stato di coscienza non ordinario, modificato, che può rappresentare una risorsa per il benessere delle persone», spiega Valeri.

La psicoterapeuta ha seguito in prima persona il caso di Sara (nome di fantasia, per tutelare l’anonimato della persona intervistata), una donna che intorno ai 40 anni aveva iniziato un percorso terapeutico a causa, principalmente, di gravi disturbi alimentari, depressione apatica e mancanza di voglia di vivere.

«Aveva assunto farmaci per anni ma quando è arrivata da me non riusciva ad aprirsi: costruiva molte difese per non permettere a nessuno di avvicinarsi, e prendeva ansiolitici», dice Valeri.

Un cambiamento arriva quando Sara decide di assumere, in autonomia, l’Mdma. «Le prime sensazioni dopo averla provata sono state felicità e goduria di essere ancora al mondo», dice la donna.

Anche per Valeri l’auto-terapia si rivela una sorpresa: «la cosa che mi ha colpito è che nel giro di pochissimo tempo ha ottenuto risultati importanti: in due giorni ha smesso con i sintomi alimentari che di solito richiedono anni per essere curati e ha tolto completamente gli psicofarmaci».

Uno degli effetti dell'Mdma a livello cerebrale è quello di ridurre il funzionamento dell'amigdala, che si attiva quando si ha paura: così i ricordi traumatici e i sentimenti che prima erano in qualche modo bloccati emergono più tranquillamente e possono essere affrontati in terapia.

Il problema, però, nasce dal punto di vista professionale e legislativo: in Italia, infatti, non essendo ancora normata, la terapia psichedelica è illegale. «Annalisa mi ha giustamente rifiutata ogni volta che chiedevo di prendere l’ecstasy durante una sessione di terapia», ribadisce Sara.

«È difficile quando Mdma e terapia psichiatrica non possono coesistere contemporaneamente», ripete, ma Sara spera che in futuro le cose cambino.

«Il setting perfetto sarebbe stato quello di poter usufruire dell’Mdma e i suoi effetti durante le sedute: avrei parlato di più dei miei problemi interiori e mi sarei sbloccata più rapidamente». Per Sara questa terapia è stata molto utile, ma non è un campione rappresentativo.

Se l’ecstasy terapeutica può essere una strada per molti altri pazienti non è ancora chiaro. Il quotidiano Guardian ha chiesto il parere sulla possibilità di prescrivere Mdma a scopo terapeutico alla professoressa Susan Rossell, una delle principali ricercatrici del Centro per la Salute Mentale di Swinburne, che è il più grande studio australiano sull’efficacia della psilocibina nel trattamento della depressione resistente.

Rossell ha detto che ancora serve «un notevole grado di cautela» e che sono necessarie ulteriori ricerche, «non abbiamo alcun dato sugli esiti a lungo termine e questo mi preoccupa molto; è uno dei motivi per cui sto conducendo il mio studio a più ampio raggio». Inoltre, i ricercatori mettono in guardia dall'autosomministrazione.

Il dottor Mike Musker, al riguardo, ha detto che i pazienti: «sono alla disperata ricerca di un trattamento medico. Se non ricevono una terapia efficace a costi accessibili, c'è il rischio che provino a curarsi da soli». E attualmente non ci sono prove consistenti in grado di suggerire che il microdosaggio di psichedelici abbia effetti benefici.

Nel resto del mondo

A inizio di quest'anno il governo australiano ha annunciato che, a partire dal 1° luglio, gli psichiatri autorizzati avrebbero potuto prescrivere l'Mdma e le terapie a base di psilocibina per il trattamento del Ptsd e di grave forme di depressione.

Anche negli Stati Uniti la situazione è simile: la Fda dovrebbe approvare l'Mdma entro il 2024. Potrebbe essere un grosso cambiamento che avrà bisogno di formazione e attenzione da parte di psicoterapeuti e psichiatri: in Australia gli psichiatri dovranno dare una giustificazione clinica per l’inizio della cura, i pazienti potranno accedere alle sostanze solo sotto supervisione e non è prevista la prescrizione per uso domestico, servirà poi l’approvazione di un comitato etico.

Per ogni terapia lavoreranno due professionisti, di cui uno dovrà avere una formazione medica (e quindi potrebbe essere uno psichiatra), e la durata complessiva di una sessione potrebbe durare intorno alle 36 ore, in cui il paziente è costantemente seguito. Il professore Daniel Perkins, co-direttore del Psychae Institute a Melbourne che si occupa di ricerca nel campo degli psichedelici, ha spiegato che un ciclo di sessioni di psichedelia assistita potrebbe costare tra i 15.000 e i 25.000 dollari.

Nel territorio statunitense, è la società non profit Maps (Associazione Multidisciplinare per gli Studi Psichedelici) a operare nel campo della medicina psichedelica: è nata 37 anni fa con la missione di creare un contesto legale e culturale che permettesse alle persone di trarre beneficio dall'uso di psichedelici e marijuana.

«Ci siamo concentrati per molto tempo sul disturbo da stress post-traumatico (Ptsd)», riferisce Federico Menapace, vice direttore di Maps, sottolineando come lo studio portato avanti dall’associazione abbia già dimostrato che quasi l'87 per cento dei partecipanti trattati con la terapia assistita dall'Mdma abbia registrato miglioramenti clinicamente significativi nelle settimane successive al trattamento di base.

«Poco più del 71 per cento dei partecipanti che hanno assunto la terapia assistita con Mdma non ha più ottenuto la diagnosi di Ptsd», fa sapere Menapace, «rispetto a quasi il 48 per cento dei partecipanti trattati con placebo e terapia».

Si tratta quindi, a tutti gli effetti, di un risultato significativo. Nonostante abbia superato la fase 3, conta precisare però che il trattamento in questione è ancora sperimentale, la cui efficacia e sicurezza dovrà essere valutata dalla Federal Drug Administration (Fda) nei primi mesi del 2024.

La rivelazione che più salta all’occhio, però, è un’altra: secondo Menapace «l'Mdma ha un meccanismo incorporato contro la dipendenza. Quindi, più se ne assume, meno funziona nel cervello: e così non provoca dipendenza».

La situazione italiana

Negli ultimi decenni, in Italia, le iniziative politiche attorno alle droghe si sono concentrate tutte sulla cannabis, la sostanza più diffusa tra gli italiani, con una stima di 6 milioni di consumatori - più del 10 per cento della popolazione.

Una delle ultime iniziative politiche è quella di Magi, segretario del piccolo partito di centro-sinistra +Europa, il primo firmatario del disegno di legge Magi-Licatini depositato alla fine del 2019.

La proposta prevedeva la totale depenalizzazione della coltivazione domestica di un massimo di quattro piantine di marijuana, e prospettava la riduzione delle pene per i fatti di lieve entità riguardanti la cannabis.

La proposta aveva incontrato ostruzionismo politico, soprattutto dei partiti di destra: recentemente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto: «Le droghe fanno male tutte, non esistono distinzioni, chi dice una cosa diversa dice una menzogna».

Secondo Riccardo Magi, «gli aspetti di ignoranza incidono molto nella discussione pubblica, e naturalmente influenzano anche il dibattito all'interno delle istituzioni».

Questo, in particolar modo, è una grave colpa dal punto di vista democratico perché «viene sottratta a fasce importanti della popolazione la possibilità di avere cure e di beneficiare dei frutti della ricerca scientifica». Si tratta, secondo Magi, di qualcosa che «viola profondamente i diritti individuali e i diritti umani».


Disclaimer

Questa pubblicazione è stata realizzata con il sostegno finanziario dell'Unione europea. Le opinioni e i pareri espressi sono tuttavia esclusivamente quelli dell'autore o degli autori e non riflettono necessariamente quelli dell'Unione europea o dell'Agenzia esecutiva europea per l'istruzione e la cultura (Eacea). Né l'Unione europea né l'autorità concedente possono essere ritenute responsabili.

© Riproduzione riservata