A mezzogiorno la piazza centrale di Rosarno non è piena. A differenza del 17 marzo 2018 quando nell’aula magna del liceo della città in provincia di Reggio Calabria ogni posto era occupato e molti ascoltavano in piedi, sistemati ai lati del palco dal quale Matteo Salvini arringava la folla, riunita per festeggiare la vittoria elettorale delle elezioni politiche. Salvini è tornato a Rosarno questa volta per inaugurare la nuova sede della Lega, poche ore prima era stato nella vicina Mileto: entrambi i comizi elettorali sono iniziati allo stesso modo, con l’attacco a Domani che, in questi giorni, ha pubblicato i documenti giudiziari sui rapporti tra alcuni dirigenti del partito calabrese e la ‘ndrangheta: tra le molte cose anche la presenza di un’intercettazione in cui un narcotrafficante dei clan di Lamezia Terme ammette di aver votato Lega alle elezioni politiche del 2018, contribuendo così a far eleggere il primo deputato leghista della Calabria, Domenico Furgiuele.

L’uomo dell’organizzazione lasciava intendere che con la famiglia del deputato ci fosse una conoscenza diretta tanto da essere stato a casa del fratello o del politico stesso. Non è il solo sostegno ricevuto dal partito di Salvini da ambienti criminali, Domani ha raccontato anche di altri sospettati di essere contigui o addirittura espressione diretta della ‘ndrangheta, che durante questa ultima campagna elettorale per le regionali stanno sostenendo i candidati della Lega.

«Certi giornalisti scrivono che chi vota Lega in Calabria è della ‘ndrangheta, io ho le spalle larghe, ma credo sia un’offesa a voi, a tutta la gente perbene che riempie questa piazza», ha detto Salvini all’inizio del suo comizio rosarnese, per poi aggiungere, sottolineando due volte il concetto: «Li querelo!». Il leader della Lega omette di dire che in realtà le inchieste giornalistiche non lanciavano accuse generiche sui calabresi, ma riferivano fatti precisi su uomini del partito e imprenditori collegati alla criminalità. Di queste ombre e di questi sospetti relativi alle campagne elettorali di alcuni dirigenti della Lega in Calabria, Salvini non parla, non risponde. Anzi dribbla la questione chiamando in causa un fantomatico sistema di potere che vede nel suo partito un ostacolo. Intervistato da una testata locale dopo l’incontro di Rosarno alla domanda «perché secondo lei tutto questo clamore?», ha risposto: «La Lega penso che sia l’unico granello di sabbia che incastra l’ingranaggio della sinistra e di alcuni poteri che gestiscono la Calabria da alcuni decenni».

Il parente del boss

Alle sue spalle, durante il comizio, era ben visibile il candidato al consiglio regionale della Lega, Enzo Cusato, il consuocero del boss di Rosarno, Rocco Bellocco. Anche su questo accuse ai giornali, come Domani, che ne hanno parlato. «Dicono che quello è consuocero, quell’altro è fratello o cugino, ma se quel parente si ribella io lo abbraccio, non lo respingo», chiosa l’ex ministro dell’Interno. Non risulta però che Cusato, che un pentito nel 2012 ha pure indicato come «vicino ai clan», abbia mai preso pubblicamente le distanze dalla famiglia Bellocco, né tantomeno sia mai sceso in piazza contro le prepotenze di quella cosca così feroce. Cusato era dunque in piazza con Salvini, che blinda la sua candidatura e lo legittima.

Nessun passo indietro, che pure il leghista di Rosarno aveva ipotizzato dopo le notizie pubblicate. Cusato resta al suo posto, nella nuova sede della Lega nella piazza dedicata a Giusepppe Valarioti, il segretario del Partito comunista di Rosarno assassinato l’11 giugno 1980 dalla ‘ndrangheta. Il processo portò alla sbarra i vertici del clan Pesce, poi assolti. I Pesce sono alleati dei Bellocco, imparentati con il leghista di Rosarno.

La storia di Valarioti è importante per la Calabria, perché il dirigente comunista è stato tra i pionieri della lotta alla ‘ndrangheta nella regione e nell’area di Rosarno e Gioia Tauro. Una lotta che ai tempi si combatteva corpo a corpo sul territorio, con Valarioti e i compagni di partito che giravano e bussavano casa per casa con l’obiettivo di togliere consenso ai candidati appoggiati dalle famiglie della ‘ndrangheta. Già allora i “sovrani” si chiamvano Pesce e Bellocco.

Nella piazza Valarioti

Sorprende perciò che Salvini, che è stato pure ministro dell’Interno, non abbia trovato spazio nel suo discorso per ricordare Valarioti, al quale è intitolata la piazza dove ha tenuto il suo comizio. Trenta secondi li ha trovati invece per ironizzare sulla sinistra, con la solita battuta ormai grande classico di ogni fine comizio: «Per chi vuole scattare una foto, vi prego alla mia destra, a sinistra non c’è nulla di interessante».

La Calabria è bellissima, ha ripetuto Salvini. «Qui però c’è un problema», attimo di silenzio. Quale problema? Sarà la ‘ndrangheta, che assieme alle clientele costituiscono un sistema che blocca lo sviluppo economico della regione? Macché. «Mancano le strade, che fine hanno fatto i soldi arrivati negli anni?». Si chiude così il comizio di Salvini in versione Johnny Stecchino («Il problema di Palermo è il traffico», diceva l’avvocato all’ignaro Benigni appena giunto in città). Salvini tornerà in Calabri, per la chiusura della campagna elettorale. «Gli altri andranno a Milano, a Roma, io per scelta verrò in questa regione».

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