Non potremo conoscere motivazioni e circostanze delle accuse, le dinamiche dei fatti, i colloqui che danno sostanza a una accusa. Non potremmo sapere per quale motivo, nel 2014, i magistrati di Roma decisero di chiamare l’inchiesta su Massimo Carminati, Salvatore Buzzi e sodali, “Mondo di mezzo”. La famosa frase di Carminati su Roma, dove ci sarebbe un “mondo di mezzo” appunto «in cui anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno», era contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto del boss e i suoi.

Non potremo più conoscere nemmeno le dinamiche di omicidi e femminicidi che scuotono l’opinione pubblica; o gli intrecci tra politici e organizzazioni criminali, che siano oggetto di indagine o meno; oppure gli scambi in cui un procuratore ipotizza la corruzione di un amministratore pubblico o di un politico.

Insomma, l’emendamento Costa metterà un bel bavaglio al lavoro dei cronisti che raccontano le attività delle procure e non darà la possibilità ai cittadini di conoscere i motivi di una decisione importante come una misura cautelare, fino all’inizio del processo.

Un grave danno al diritto di informare e di essere informati: dare conto di un’indagine e dei motivi che portano un pubblico ministero a chiedere un arresto, e a un giudice ad autorizzarlo, rende possibile approfondire i motivi di un’indagine. E non per condannare anticipatamente un accusato, ma anche per criticare il lavoro di un magistrato se necessario.

Bavaglio alla stampa

L’emendamento di Enrico Costa, deputato e vice segretario di Azione, il partito di Carlo Calenda, è passato martedì alla Camera con 160 voti favorevoli e 70 contrari. Un grande successo per una proposta di modifica a una legge di un parlamentare di opposizione, che ha trovato una forte sponda nella maggioranza di governo.

Il testo di Costa prevede il divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare, quell’atto con cui un pm chiede – e un gip convalida – il fermo in carcere o ai domiciliari di un indagato perché si corre il rischio che scappi e si renda latitante, inquini le prove, o reiteri il reato.

Nelle ordinanze si possono trovare la storia personale delle persone per cui è disposto l’arresto, stralci di interrogatori o intercettazioni, risultanze delle indagini, delle perquisizioni, e i nomi degli altri indagati che rimangono a piede libero.

Adesso, l’articolo 114 del codice di procedura penale vieta la pubblicazione letterale degli atti d’indagine – compresi quelli non più coperti dal segreto – in forma integrale o parziale fino alla conclusione dell’indagine stessa: ovvero fino a quando un giudice dispone l’archiviazione o il rinvio a giudizio degli indagati. Secondo Costa, la pubblicazione di questi atti lede il principio di non colpevolezza dell’indagato.

Cosa non sapremo

Sono tante le informazioni che i cronisti non potranno più dare fino alla fine delle indagini. Come per esempio quali siano “i gravi indizi di colpevolezza” che portano un giudice a disporre un arresto. Tra questi c’è la dinamica di un omicidio o di un femminicidio.

Come quello della giovane Giulia Cecchettin, che ha sconvolto e mosso le coscienze di tutta Italia: con l’emendamento Costa non si potranno conoscere la brutalità e l’efferatezza del suo femminicida fino all’inizio del processo.

Non si potranno conoscere gli affari, i luoghi da cui comanda, le attività su cui decide, chi è indiziato di essere a capo di un’organizzazione criminale o mafiosa. Come nel caso di “Mondo di mezzo”, appunto, o in altri in cui i clan collaborano con politici e colletti bianchi: basti pensare all’inchiesta della Dda di Catanzaro “Rinascita Scott”, che il 19 dicembre 2019 portò all’arresto di 334 persone, svelando gli affari e i legami della famiglia Mancuso di Limbadi, nel vibonese.

Tra questi c’erano quelli con Giancarlo Pittelli, accusato (e lo scorso novembre condannato a 11 anni di reclusione, insieme ad altre 206 persone) di concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo la notizia del suo arresto, partendo dagli elementi presenti proprio sull’ordinanza di custodia cautelare, si era aperto un acceso dibattito sulla sua innocenza o presunta colpevolezza: dibattito che ora, con la stretta voluta da Costa e dalla maggioranza, non sarà più possibile.

Come non sarà più possibile raccontare le inchieste delle procure sulla corruzione, come nel caso dell’inchiesta sullo stadio della Roma a Tor di Valle, che vide arrestati importanti costruttori come Luca Parnasi, dirigenti di aziende pubbliche come l’avvocato Luca Lanzalone a capo di Acea, e politici tra cui il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito.

Nell’ordinanza poi spuntavano tra gli indagati i nomi i tesorieri di Pd e Lega dell’epoca, Francesco Bonifazi e Luca Centemero. Con il nuovo bavaglio deciso dal parlamento, i motivi delle decisioni dell’accusa non si potranno più conoscere.

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