Un’ossessione, il governo vede migranti ovunque. Tanto basta all’esecutivo Meloni per tramutare un’invasione che non c’è in emergenza del momento. Stato d’emergenza, come con la pandemia, con un cataclisma. La lancetta del tempo ci riporta ai governi Berlusconi, palestra della giovane Giorgia, quando tutto era trasformato in fase emergenziale, così da poter liberare maggiori risorse e snellire le procedure negli affidamenti. Sono trascorsi dodici anni dall’ultimo esecutivo del Cavaliere, anche all’epoca fu dichiarata emergenza nazionale l’immigrazione. Ora ci risiamo, la strada è sempre la stessa: dichiarare lo stato d’emergenza e nominare un commissario, con poteri speciali. Un nome circola con insistenza. Il prefetto Valerio Valenti, capo del dipartimento del settore al ministero dell’Interno. Una storia particolare la sua, che incrocia uno dei simboli più oscuri dell’era berlusconiana, l’ex senatore siciliano Antonio D’Alì, potente esponente di Forza Italia fin dalla fondazione nella Sicilia all’epoca lacerata dagli attentati della mafia stragista.

L’amico di D’Alì

Valerio Valenti è un uomo dello stato, che ha ricoperto incarichi anche in altre emergenze, ma in particolare è stato nel 2001, presso il Ministero dell'Interno, «capo della segreteria particolare del Sottosegretario», si legge nel curriculum in rete. Il sottosegretario in questione era D’Alì, oggi in carcere perché condannato a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Rapporti pesanti, quelli contestati al politico berlusconiano: relazioni con la famiglia di Matteo Messina Denaro, latitante per 30 anni e catturato all’inizio del 2023.

Valenti non è mai stato coinvolto nell’inchiesta, ma nelle carte che Domani ha letto il suo nome ricorre in due vicende, quelle relative a due servitori dello stato non graditi al potente e colluso sottosegretario, il superpoliziotto, Giuseppe Linares, e il prefetto, Fulvio Sodano.

Il processo a D’Alì, chiuso con la condanna, ha vissuto un'altalena di giudizi e ripercorre la storia politica, economica e imprenditoriale siciliana e nazionale degli ultimi quattro decenni. La condanna definitiva è dello scorso dicembre. Una cosa è certa, stabilita in ogni ordine e grado: D'Alì è stato vicino a Messina Denaro e ha agevolato pure il massimo esponente di Cosa Nostra del tempo, Totò Riina, conquistando così la fiducia di Cosa nostra.D'Alì era appena diventato sottosegretario.

«D' Alì... aveva continuato ad esercitare "indebite interferenze" tramite il suo segretario dott. Valenti. E così il Sodano una mattina "esasperato", attraverso ii Valenti aveva fatto pervenire al D' Alì un messaggio del seguente tenore : “Lei faccia il sottosegretario e lasci fare il Prefetto a me”», c’è scritto nella misura di prevenzione speciale, firmata dal tribunale di Trapani nel novembre 2018.

Di Valenti parla anche Nini Treppiedi, un sacerdote teste d’accusa contro D’Alì, e un tempo suo confessore prima di rompere dopo aver subito alcune pressioni. «(Treppiedi, ndr) ha ricordato in particolare come il D'Alì e la Postorivo si fossero lamentati dell'atteggiamento di ingratitudine che aveva loro mostrato Valerio Valenti, capo della segreteria particolare del D' Alì al Viminale; costui - a loro dire - aveva fatto carriera grazie al D' Alì che lo aveva nominato "capo di Gabinetto della Prefettura di Firenze", sul finire della legislatura del 2006», si legge.

Trasferire il superpoliziotto

Il nome di Valenti ricorre anche nella vicenda del trasferimento del super poliziotto Linares, altro uomo sgradito a D’Alì. All’epoca capo della squadra mobile di Trapani, Linares aveva tra i nemici giurati il forzista a disposizione della mafia. Per capirci di più in questa vicenda il tribunale prende in considerazione due telefonate intercorse tra Valenti e un poliziotto della mobile, Emiliano Carena, risalgono al 2004.

«Nel corso della prima conversazione il Valenti, definito dalla difesa del D' Alì all'udienza del 27.9.2018 "persona vicina al D'Alì" ed il Carena, certi di non essere intercettati, manifestavano la loro insofferente ed il loro giudizio negativo ( adoperando termini gravemente offensivi) nei confronti del D'Alì». C’è poi un dialogo successivo tra i due da cui emerge la consapevolezza di un progetto per trasferire il poliziotto. Telefonata «in cui senza alcun dubbio si palesava l'esistenza di un piano finalizzato a sollecitare il trasferimento del dott.Linares, Dirigente della Squadra Mobile di Trapani. Dal tenore del colloquio emergeva infatti come il D' Alì avesse chiesto un appuntamento alla dottoressa Macrì segretaria particolare del Capo della Polizia, Prefetto Giovanni De Gennaro. Valenti era andato con il D'Alì all'appuntamento», si legge. L’amico prefetto suggeriva a D'Alì di non esplicitare la richiesta al capo della polizia, «non fare questo errore perché ti metti sotto scopa», diceva Valenti al telefono citando le parole usate con il sottosegretario.

Lo stesso Linares conferma il quadro emerso agli inquirenti quando è stato ascoltato dai giudici. «Il Linares era poi venuto a conoscenza del progetto di farlo trasferire dalle indagini "Mafia ed appalti" ed in particolare dalle indagini che riguardavano il PON Sicurezza. Di tale progetto ( come è stato già evidenziato) parlava nel corso di una conversazione sottoposta ad intercettazione, il segretario particolare del D' Alì, Valenti ("indagato dalla Procura di Trapani e dunque intercettato")». L’indagine era poi stata archiviata. Da allora sono cambiate molte cose. D’Alì è in carcere, Messina Denaro è stato arrestato. Valenti è il principale candidato alla poltrona di commissario per l’emergenza migranti.

L’emergenza inventata

Un’emergenza che non c’è, lo dicono i numeri. Ma il governo vuole far sparire il fenomeno cancellandolo dall’agenda politica e affidandolo così alle cure di un ‘tecnico’ in modo da responsabilizzarsi totalmente e blindando anche la figura di Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno che si è eclissato dopo le frasi a dir poco infelici pronunciate dopo la strage di Cutro.

Nel 2023 gli sbarchi hanno superato quota 30 mila, ma se guardiamo i numeri dei singoli mesi è più facile intuire che la situazione, con picchi differenti, anche degli altri anni. A marzo sono sbarcate circa 13mila persone, che è lo stesso numero di luglio 2022 (13.802), analogo a quello di agosto (16.822) ma anche di settembre (13.533) e di ottobre (13.493). E allora perché l’emergenza? Gestire fenomeni complessi con logiche commissariali è sempre stato un tratto distintivo delle destre e, in particolare, di Silvio Berlusconi. Lo diceva benissimo, uno dei supereroi prefereriti, Guido Bertolaso, oggi assessore in Lombardia. «In emergenza non c’è democrazia», diceva Bertolaso, quando era il plenipotenziario della Protezione civile e i governi centrodestra lo corteggiavano per affidargli la gestione di ogni genere di fenomeno dalle calamità ai grandi eventi: giubileo, ricostruzione, G8, rifiuti. Il problema è che quella frase ha una coda: «L’Italia, però, è sempre in emergenza». Era così con Berlusconi, è così con Giorgia Meloni, del resto sua allieva da giovane ministra della Gioventù.

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