Gli Emirati Arabi Uniti ospiti d’onore. La pubblicizzata alleanza con l’Iran nell’ottica del boicotaggio del dollaro americano come valuta globale. La decisione di mettere in mostra, per la prima volta con tanto di stand, i “nuovi territori” della Federazione, le conquiste della guerra in Ucraina: Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia.

La 26esima edizione dello Spief, il Forum economico internazionale di San Pietroburgo che si chiuderà domani, 17 giugno, vetrina storicamente usata da Vladimir Putin per parlare al mondo degli affari e della politica, è servita al presidente della Federazione russa per rimarcare la frattura, ormai apparentemente insanabile, tra amici e nemici, «mondo giusto» (il titolo scelto per l’edizione era “Sviluppo sovrano: la fondazione di un mondo giusto”) e ingiusto, blocco orientale e blocco occidentale. Una schematizzazione che non tiene conto delle sfumature, di chi ad esempio ha il passaporto registrato in un blocco e il portafoglio che spinge verso l’altro. Come quegli italiani che, senza dirlo tanto in giro, allo Spief ci sono stati. Per mantenere aperti i canali di comunicazione, per capire che aria tira, per curare gli investimenti fatti.

I consoli del made in Italy

«Divenuto in questi 25 anni una delle principali piattaforme di dialogo per i rappresentanti della comunità imprenditoriale e un importante momento di discussione delle questioni economiche più attuali per la Russia, per i mercati emergenti e per il mondo in generale», è scritto in una nota letta da Domani, che rimanda a un incontro fuori dal programma ufficiale tenuto nel giorno dell’inaugurazione, il 14 giugno. Un incontro a cui hanno partecipato italiani che in Russia sono apprezzati e considerati influenti.

Su tutti Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa Russia, fondatore dell’associazione Conoscere Eurasia, ha lavorato come consulente anche per la Fininvest di Silvio Berlusconi. A ragione Fallico è ritenuto l’italiano più vicino al Cremlino. E anche quest’anno ha voluto partecipare alla kermesse.

Non come presidente della più importante banca italiana, che in Russia continua a operare tramite la filiale locale, ma con l’altro biglietto da visita che tiene nel taschino: quello di presidente di Conoscere Eurasia. Fallico era infatti uno degli speaker della tavola rotonda dal titolo “Il ruolo delle imprese nella grande Eurasia nel clima attuale”, che ha visto la partecipazione di alcune aziende italiane.

Tra i presenti c’era anche l’associazione Gim Unimpresa, «che da oltre 20 anni difende e tutela gli interessi delle aziende italiane presenti nella Federazione russa». Il presidente Vittorio Torrembini, che è anche console onorario della Repubblica italiana presso la provincia (oblast) di Lipetsk, non era a San Pietroburgo: in questi giorni si trovava a Roma, ci ha detto. Al suo posto c’era però la direttrice generale dell’associazione, Anita Mengon.

Per capire l’importanza di Gim è utile citare qualche azienda rappresentata, così come riportato sul sito ufficiale dell’associazione: Zoppas, Luxottica, Parmalat, Mercegaglia, Enel Russia e alcuni istituti di credito che hanno filiali nella territorio della federazione. «Si parlerà di mantenere e investimenti fatti in passato per piccole, medie e grandi aziende che lavorano in settori non sanzionati», dice a Domani Torrembini.

Presente anche Pierpaolo Lodigiani, console onorario del Territorio di Krasnodar, venuto al Forum – tiene però a specificare – in qualità di imprenditore (ha all’attivo investimenti in Russia soprattutto nel settore agricolo): «A differenza di altri anni, non è prevista alcuna partecipazione istituzionale. L’approccio è fornire assistenza alle aziende italiane in Russia, non promozionale».

Secondo Lodigiani, allo Spief le aziende di casa nostra hanno l’occasione di entrare in contatto con i governatori locali e di conoscere così le occasioni di business nella terra di Putin, che considera il nostro paese «ostile» da quando è iniziata la guerra in Ucraina.

Nel programma ufficiale pubblicato sul sito dello Spief si dà conto di una sola presenza politica italiana: Vito Petrocelli. È l’ex senatore del M5s, fino a un anno fa presidente della commissione Affari esteri, soprannominato “Petrov” per le sue dichiarate simpatie putiniane.

La sua fiducia nel leader russo non è stata scalfita neanche dai carri armati inviati in Ucraina, tanto da aver costretto il leader pentastellato Giuseppe Conte a espellerlo dal movimento dopo un tweet in cui, alla vigilia del 25 aprile dell’anno scorso, augurava a tutti «buona festa della LiberaZione...», con la Z simbolo della cosiddetta “operazione militare speciale”.

Dall’Iran agli Emirati

Questa dunque la presenza italiana allo Spief più anti-occidentale degli ultimi 26 anni. Una presenza timorosa, guardinga, incentrata su un’ambiguità di fondo: esserci per la Russia, non esserci per l’Italia. D’altra parte quello che si conclude oggi è lo Spief in cui Putin ha cristallizzato la sua idea di nuovo ordine mondiale. Basta estrapolare dal programma alcuni dei nomi dei paesi rappresentati: Brasile, India, Indonesia, Cina, Cuba, Turchia, Ungheria (unico stato europeo presente ufficialmente con il ministro degli Esteri di Orbán), Armenia, Myanmar, Pakistan, Siria, Bielorussia, Sudafrica, Nicaragua, Venezuela, Uzbekistan, Kirghizistan, Qatar e, come detto, Emirati Arabi e Iran.

L’ambasciatore iraniano in Russia, Kazem Jalali, ha annunciato ieri che il trattato sul partenariato strategico tra i due Paesi è quasi definito, tra gli obiettivi è fare a meno del dollaro negli scambi commerciali tra i due paesi.

«Uno degli accordi raggiunti tra i nostri leader riguarda, ovviamente, la de-dollarizzazione del nostro commercio», ha detto il rappresentante di Teheran, bollando invece come «fantasiosa» la notizia della costruzione di un impianto di fabbricazione di droni militari in Russia da parte del regime degli Ayatollah.

Oltre all’Iran, l’altra presenza importante allo Spief di quest’anno è stata quella degli Emirati Arabi Uniti, che quest’anno si sono guadagnati il titolo di ospite d’onore. A rappresentare i sette sceicchi a San Pietroburgo c’era Abdullah Al-Marri, ministro dell’Economia degli Emirati. Non è casuale, visto che gli affari tra i due Paesi vanno alla grande, soprattutto da quando (marzo 2022) sono entrate in vigore le sanzioni occidentali contro la Russia.

L’interscambio commerciale tra Russia ed Emirati, secondo Mosca, l’anno scorso è aumentato del 68 per cento rispetto al 2021, arrivando a 9 miliardi di dollari in totale. La fetta più ricca della torta spetta alla Russia, che ha esportato merci nel Golfo per 8,5 miliardi di dollari, mentre il flusso inverso ha totalizzato solo 500 milioni di euro.

Quali sono i prodotti principali che dalla Federazione finiscono ad Abu Dhabi, Dubai e agli altri cinque emirati? Gli aumenti più rilevanti, ha fatto notare nelle scorse settimane Reuters, riguardano oro e petrolio. Per questo il timore di molti, nelle cancellerie occidentali, è che gli Emirati stiano aiutando Mosca ad aggirare le sanzioni.

Un sospetto basato sui numeri, come quelli che riguardano il petrolio. Pur essendo uno dei maggiori produttori mondiali di greggio, nei primi dieci mesi del 2022 gli Emirati hanno acquistato dalla Russia 3,2 milioni di barili di oro nero, per poi riesportarli.

Tanto per dare un termine di paragone, nei tre anni precedenti le importazioni totali di petrolio russo erano state pari a 725mila barili.

È un assaggio del nuovo ordine mondiale nella testa dello zar Putin, servito nella sale dello Spief, l’unica “Davos” accessibile al Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina: da quella originale è stata bandita l’anno scorso.

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