Secondo l’ultimo bollettino settimanale dell’Istituto superiore di sanità, diramato dal ministero della Salute, in Italia nella settimana dal 20 al 26 gennaio si sono registrati 38.168 nuovi casi di Covid-19, in calo del 26,5 per cento rispetto alla settimana precedente – quando erano stati 51.897 – e i decessi provocati dal coronavirus sono stati 345, in calo del 30,3 per cento rispetto alla settimana precedente, quando erano stati 495. Come sempre i non vaccinati corrono un rischio molto più alto di ammalarsi in maniera grave e di morire rispetto a chi è vaccinato – di sette volte, per essere precisi. Tutti gli indici che servono a monitorare l’andamento dell’epidemia sono in calo, compreso l’ormai famoso R0 – cioè il numero basico di riproduzione, che indica quante persone può in media contagiare un individuo infettato dal virus – che la scorsa settimana era 0,73, ben al di sotto della fatidica soglia di uno, segno di un’epidemia attiva, e che questa settimana sarà ancora più basso. Finalmente, dopo più di tre anni in Italia la pandemia sembra avviarsi verso un definitivo declino, e la situazione pare tornare alla normalità.

L’epidemia continua

In quasi tutti i paesi del mondo la pandemia sta scemando, ma è ancora troppo presto per dichiarare la sua fine. E non si è ancora trasformata in un’endemia, né in Italia né altrove, perché il SARS-CoV-2 continua a provocare le ondate tipiche delle epidemie, e non si è ancora stabilizzato manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato ma uniformemente distribuito nel tempo, come invece capita nelle endemie.

Il 30 gennaio si è riunito il Comitato d’emergenza per la pandemia di Covid-19 dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), e al termine del meeting l’Oms ha emanato una dichiarazione ufficiale in cui si legge: «La pandemia di Covid-19 attualmente in corso continua a costituire un’emergenza di salute pubblica di interesse mondiale. La pandemia di Covid-19 è probabilmente giunta a un punto di transizione, ed è necessario guidare con cura questa transizione e mitigare le potenziali conseguenze negative del processo. Il direttore generale dell’Oms, Dr. Tedros Ghebreyesus, fa notare che mentre il mondo è una posizione migliore di quanto non fosse durante il picco dell’ondata di Omicron un anno fa, nelle scorse otto settimane globalmente si sono verificati più di 17mila morti a causa del Covid-19. Inoltre, la sorveglianza e il sequenziamento genetico del virus sono in diminuzione su scala globale, e ciò rende più difficile il tracciamento delle varianti e la scoperta delle nuove. I vaccini, i farmaci e i mezzi diagnostici sono stati e rimangono fondamentali per prevenire la malattia grave, salvare vite umane e diminuire la pressione a carico dei sistemi sanitari delle varie nazioni del mondo. Tuttavia, la risposta contro il Covid-19 resta azzoppata in troppi paesi, che sono incapaci di fornire tali mezzi alle popolazioni che ne avrebbero più bisogno, agli anziani e ai lavoratori sanitari».

Meno attenzione

In sostanza, secondo l’Oms la circolazione del SARS-CoV-2 come pure la mortalità e i ricoveri ospedalieri sono sostanzialmente diminuiti in tutti gli stati rispetto a un anno fa, quando l’ondata Omicron era al picco e nel mondo si contavano oltre 70mila morti a settimana, ma il problema è che è anche crollata la nostra vigilanza contro il virus: le persone si vaccinano meno di prima perché pensano che il pericolo sia cessato, si fanno tamponi con meno frequenza, e si sequenziano più raramente i campioni virali prelevati dei malati.

Eppure, dovrebbe essere di monito per tutti il caso della Cina, dove, da quando a inizio del dicembre scorso il presidente Xi Jinping ha deciso di porre fine alla politica dello Zero Covid, l’ondata epidemica alimentata dalle nuove sottovarianti di Omicron è esplosa provocando centinaia di milioni di casi e almeno 170mila morti. I morti e i casi sono probabilmente molti di più, ma le cifre reali non le conosceremo mai.

Per questo motivo, l’Oms non ha potuto dichiarare la fine della pandemia, ma ha deciso di riunire il suo Comitato di emergenza tra tre mesi per verificare quale sarà la situazione in quel momento.

L’Oms conclude il suo comunicato facendo qualche raccomandazione, la prima e più importante delle quali è questa: «È necessario proseguire la campagna di vaccinazione contro il Covid-19 per raggiungere il cento per cento di copertura dei gruppi ad alto rischio, seguendo le raccomandazioni del Sage, il Gruppo consultivo strategico degli esperti sull’immunizzazione dell’Oms, sulla somministrazione delle dosi booster».

Riassumendo: il Covid-19 è in declino, probabilmente il virus diventerà endemico e noi ci dovremo vaccinare con una dose di richiamo una volta ogni tanto. Ma quando?

Il 26 gennaio si è tenuto un meeting del comitato sui vaccini della Food And Drug Administration (Fda) degli Usa, l’ente governativo che regola i farmaci e vaccini. Al termine, l’Fda ha proposto che i vaccini contro il Covid-19 vengano aggiornati e somministrati una volta all’anno, in autunno, come si fa con i vaccini contro l’influenza.

La stagione dei vaccini

Foto LaPresse

Alcuni scienziati presenti hanno sostenuto che questo piano semplificherebbe di molto la complessa campagna di immunizzazione contro il Covid, e probabilmente anche la popolazione potrebbe accettare più di buon grado di sottoporsi ai richiami.

Altri ricercatori però non sono convinti del fatto che i richiami vadano aggiornati e somministrati ogni autunno, e altri ancora – una minoranza, a dire il vero – pensano che debbano ricevere un richiamo anti Covid annuale non tutti gli adulti sani ma solo quelli a rischio. «Da un punto di vista concettuale il richiamo annuale non è una cattiva idea», sostiene Angela Shen, una specialista di vaccini del Children Hospital di Philadelphia.

Molti però fanno notare che il SARS-CoV-2 genera nuove varianti a un ritmo molto più veloce rispetto al virus dell’influenza, che ne produce al ritmo di una o al massimo due all’anno. L’influenza ha anche un chiaro andamento stagionale: le nuove varianti compaiono nell’emisfero sud del pianeta quando là è inverno, e si diffondono nell’emisfero nord sei mesi dopo, quando comincia l’inverno da noi, perciò ha senso vaccinare la popolazione a rischio – cioè gli anziani – all’inizio dell’autunno.

Invece, il coronavirus non segue un ritmo stagionale così chiaro. Per esempio, l’ultima ondata epidemica provocata da Omicron nell’emisfero nord è iniziata nella primavera dell’anno scorso. Inoltre, le varianti del SARS-CoV-2 non si diffondono sul pianeta in maniera uniforme come invece fanno i ceppi del virus influenzale, e questo potrebbe rendere molto più difficoltoso coordinare la composizione e la somministrazione dei richiami contro il Covid su scala globale.

Probabilmente, offrire i richiami contro il Covid-19 aggiornati in contemporanea con quelli contro il virus dell’influenza potrebbe facilitare la loro somministrazione. Tuttavia, nel corso della pandemia, in quasi tutte le nazioni del mondo le diverse varianti del SARS-CoV-2 si sono propagate con una prima ondata verso la fine dell’estate e una seconda, più ampia, durante l’inverno, il che potrebbe suggerire che forse è meglio somministrare il richiamo anti Covid non in autunno ma bensì in estate.

Uniformare i richiami

Nel corso della stessa riunione del comitato sui vaccini dell’Fda, tutti gli esperti sono stati d’accordo su un punto: per i richiami è necessario adottare un vaccino anti Covid che abbia una composizione unica, identica per tutte le case farmaceutiche.

Fino ad ora, le diverse case farmaceutiche hanno adottato strategie diverse. C’è chi ha messo sul mercato un vaccino bivalente contenente sia il ceppo originario del virus sia una delle sue varianti, c’è chi ha messo sul mercato un vaccino bivalente che contiene sia il ceppo originario del virus sia due delle sue varianti. Invece, bisogna uniformare i richiami, che dovranno tutti contenere il ceppo originario del virus – il cosiddetto Wuhan-Hu-1, che si è dimostrato quello dal più alto potere immunogeno, cioè in grado di stimolare la risposta immunitaria più efficace – sia la variante che di volta in volta sarà quella prevalente in quel momento.

In Italia, solo il 68 per cento della popolazione ha fatto la terza dose del vaccino, e solo il 30 per cento la quarta, percentuali troppo basse. Dobbiamo assolutamente semplificare le campagne vaccinali per convincere sempre più persone a vaccinarsi perché solo il vaccino ci protegge contro le varianti del SARS-CoV-2 ora in circolazione e molto probabilmente contro quelle nuove che inevitabilmente sorgeranno in futuro.

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