Silvio Berlusconi, nell'agosto 2013, è stato condannato in via definitiva per frode fiscale dalla sezione feriale della Corte di cassazione, presieduta dal giudice Antonio Esposito. Una storia di oltre sette anni fa che ha condizionato la vita politica nazionale e che non è mai finita con il giudice Esposito finito al centro di una violenta campagna di stampa. Ora la procura di Roma indaga, partendo dalle querele per diffamazione, mosse dal giudice contro giornalisti e politici. L'inchiesta punta a capire se c'è una gigantesca opera di diffamazione nei confronti del giudice Esposito analizzando le tesi di alcuni direttori di giornali e politici che gridano, invece, al complotto contro l'ex premier.

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La procura di Roma ha ascoltato, come testimoni, i protagonisti di quella storia come il deputato renziano Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa, e i magistrati della sezione feriale che hanno condannato l'ex cavaliere (Giuseppe De Marzo, Ercole Aprile, Claudio D’Isa, Antonio Esposito), ma anche Luca Ramacci, giudice della Suprema corte, che ha trasmesso, in quel 2013, gli atti alla sezione feriale perché quel processo era a rischio prescrizione. «Non parlo, confermo che sono stato sentito, c’è una indagine in corso», dice Cosimo Ferri. Gli altri testimoni non vogliono rilasciare dichiarazioni, ma confermano di essere stati ascoltati. Domani può rivelare che, nelle prossime settimane, sarà sentito anche Berlusconi, convinto di essere vittima di un eventuale complotto, che qualche mese dopo la sentenza ha registrato il colloquio con uno dei giudici.

La sentenza e le minacce

Nel collegio della sezione feriale che conferma la condanna nel 2013 c’è anche Amedeo Franco, il relatore della sentenza. Franco è morto nel 2019. Nei giorni successivi alla sentenza del 2013 arrivano al giudice Esposito minacce di ogni tenore «infame miserabile specie di uomo scimmia, devi vivere nel terrore comunista spregevole». Arrivano biglietti e telefonate, addirittura, da un generale della guardia di finanza, che si lascia andare a frasi ingiuriose all'indirizzo di Esposito. «Sono profondamente pentito», scrive il generale in una lettera che invia al giudice porgendo scuse. Ma succede anche altro, con titoli di giornale di ogni genere. Spuntano testimoni di frasi indicibili pronunciate anni prima dal giudice, tutte contro Berlusconi e che fanno presupporre astio e odio antico.

A fine giugno del 2020 il quotidiano il Riformista pubblica un audio di Amedeo Franco, e Quarta Repubblica, trasmissione condotta da Nicola Porro, in onda sulla berlusconiana Rete4, riprende il caso. L'audio viene registrato da un testimone durante un incontro tra Franco e Berlusconi, poco tempo dopo la sentenza. «Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà…a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto», dice Franco in quell’incontro. Franco evoca piani dall'alto, ma aveva firmato ogni pagina della sentenza che confermava la condanna a Berlusconi.

Forza Italia chiede una commissione di inchiesta, il deputato di Italia viva Roberto Giachetti annuncia la sua firma. Il Fatto Quotidiano racconta che è stato Cosimo Ferri, deputato renziano, ex sottosegretario alla giustizia nel governo Letta in quota Forza Italia, a portare Franco da Berlusconi. Succede qualche mese dopo la sentenza. Dell’indagine nella quale è stato sentito come testimone non parla, ma Ferri spiega a proposito di quell’incontro: «A mio avviso non c’era alcuna notizia di reato nel racconto di Franco e se uno ascolta la registrazione del colloquio a ripetuta domanda se lui fosse stato costretto a firmare il collega Franco ha sempre ripetuto ‘no, no, no, non sono mai strato costretto’». Proprio Ferri aveva invitato Esposito, due settimane prima della sentenza, a un convegno ma il giudice aveva declinato l'invito per motivi di opportunità.

In tv direttori e politici tessono la tela e ricostruiscono il possibile scenario nel quale è arrivata la condanna per Berlusconi. Quarta Repubblica si occupa del tema in diverse puntate ricche di ospiti: Piero Sansonetti, direttore del Riformista, Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, Andrea Ruggieri, deputato di Forza Italia, ma anche Giorgio Mulè, ex direttore di Panorama e oggi deputato forzista, la senatrice forzista Anna Maria Bernini. «Questa è roba da banda della Magliana e non da magistratura», dice il deputato Ruggieri. «Sopra il presidente del consiglio al di là del presidente del consiglio, se non eterodiretto, contribuito a fare quello che è successo c'era un Presidente della Repubblica, si chiamava Napolitano», dice Giorgio Mulè. Piovono querele per diffamazione e la procura di Roma indaga. «Credo siano arrivate denunce, ma dal punto di vista giornalistico c’era un grande interesse per gli elementi emersi. Quella è una storia pasticciata per tanti fattori a partire dalla sezione feriale e da quel giudice Franco che poi si dissocia. C’era una grande voglia di condannarlo Berlusconi», dice Porro.

Di Franco le cronache hanno raccontato di una vecchia indagine per corruzione poi archiviata, ma il vero nodo da sciogliere è capire se siamo di fronte a un complotto o al linciaggio di un giudice senza precedenti.

Il fronte napoletano

C'è un altro capitolo della vicenda che porta a Napoli. In una puntata di Quarta Repubblica viene trasmessa una intervista a tre testimoni, dipendenti di un albergo, che anni prima della sentenza del 2013 avrebbero sentito il giudice pronunciare parole di fuoco contro Berlusconi. La testimonianza dei tre dipendenti è contenuta anche nel ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, presentato dai legali di Berlusconi dove è confluito anche l’audio di Franco. Attorno alle tre testimonianze si apre un altro procedimento penale in corso a Napoli avviato da un'altra denuncia del giudice Esposito.

Una storia che ci porta sull’isola d’Ischia. Esposito ha denunciato i tre testimoni, dipendenti di un albergo di proprietà della famiglia De Siano per falsa testimonianza. Domenico De Siano, coordinatore di Forza Italia in Campania, è senatore del partito azzurro e fedelissimo di Berlusconi. Cosa avrebbe detto il giudice Esposito? «Il tuo datore di lavoro sta con quella chiavica di Berlusconi», «ancora li devono arrestare», «a Berlusconi se mi capita l’occasione devo fargli un mazzo così». Frasi che Esposito avrebbe pronunciato tra il 2007 e il 2010 e che tornano alla mente molti anni dopo ai tre dipendenti che li consegnano il 3 aprile 2014 all'avvocato Bruno Larosa.

I tre avrebbero ascoltato le frasi, a partire da sette anni prima, quando Esposito raggiungeva, nel fine settimana, la moglie in albergo intrattenendosi con loro per ingiuriare Berlusconi, al bar, al patio, al ristorante. Un continuo e c'è da immaginarlo un giudice della Cassazione che gira l'albergo insultando Berlusconi e De Siano prima di entrare nel bagno turco. Esposito denuncia, ma il pubblico ministero presenta richiesta archiviazione contro la quale Esposito si è opposto, opposizione che sarà discussa, nelle prossime settimane, dinanzi al giudice delle indagini preliminari.

Frasi troppo uguali

Nella richiesta di archiviazione la pubblica accusa Maria Di Mauro scrive che, comunque, sarebbe tutto prescritto: «Mancano elementi per ritenere che i predetti (i tre dipendenti dell'albergo, ndr), abbiano dichiarato il falso in mancanza di interesse specifico nella vicenda». Nell’opposizione Esposito, difeso dall'avvocato Alessandro Biamonte, annuncia un possibile esposto nei confronti dell'ufficiale che ha seguito la delega e critica la richiesta d’archiviazione perché non ha considerato alcuni elementi in merito alle dichiarazioni dei tre testimoni che sembrano molto simili oltre che emerse a distanza di anni e, soprattutto, raccolte tra soggetti che lavorano per un esponente politico fedelissimo di Berlusconi. Tra le frasi ascoltate dai testimoni una torna sempre: «Gli devo fare un mazzo così». Già nel 2013, ad agosto, un altro testimone aveva riportato una frase analoga che sarebbe stata pronunciata dal giudice durante una cena a Scalea di qualche anno prima «Se becco Berlusconi gli faccio un mazzo». Anche in quel caso il testimone, Massimo Castiello, era berlusconiano di ferro. Castiello è sotto processo per false dichiarazioni al pubblico ministero mentre la moglie è stata già condannata, in primo grado, a Milano, per falsa testimonianza.

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