Chi va via e chi lotta ancora: tra gli espropriati del ponte sullo Stretto

La forchetta che affonda nei maccheroni corti, l’eruzione del fumo carico di aromi. Una fragranza di cannella e zucchero. Le sfilettature di prosciutto e poi il bianco dell’uovo che si scorgono a ogni boccone. A casa Ialacqua si pranza nel patio. La bella stagione che sta per finire lo permette. «Anche a Bologna parliamo di ponte. I nostri amici ci chiedono spesso cosa ne pensiamo», dice Giuseppe che, come suo fratello, è tornato per qualche giorno a Messina per far visita ai genitori, ma soprattutto per partecipare agli Stati generali organizzati dai numerosi attivisti che in Sicilia come in Calabria si battono contro la costruzione della grande infrastruttura voluta dal governo Meloni. «Un’opera surreale», continua il giovane mentre mangia il timballo del Gattopardo e rompe il silenzio che avvolge la villetta sul cui balcone sventola una bandiera “No ponte”. Di questa pace, presto, solo un lontano ricordo: uno dei cantieri che verrà realizzato come opera propedeutica al ponte confinerà col muro della casa della famiglia Ialacqua. «Non siamo nelle liste dei futuri espropriati, ma è come se lo fossimo», dice Daniele, papà di Giuseppe, tra i promotori del comitato. Ospedali, acqua, strade. La Sicilia cade a pezzi, ma il governo pensa solo al Ponte Casa Cariddi È lui, Daniele, che accompagna chi scrive da coloro che vivono col terrore di perdere la propria abitazione e i sacrifici di una vita in un lampo. Il punto di ritrovo è a Torrefaro, all’interno del locale che il comitato ha affittato a proprie spese per riunirsi e confrontarsi. All’immobile gli attivisti hanno anche dato un nome, Casa Cariddi, con riferimento al leggendario mostro marino della mitologia greca, descritto come un vortice distruttivo nello stretto di Messina. «Non è un caso che questo magazzino l’abbiamo voluto intitolare a Cariddi», spiega Daniele. «Di fatto, con la costruzione del ponte, verrà meno tutto quell’immaginario fantastico che ci è stato tramandato di generazione in generazione». Che fine farà Cariddi? E Scilla? E Fata Morgana? E Colapesce? «Lo Stretto è mia madre. Lo Stretto è mio padre», dice Marilina De Francesco, 75 anni, vedova ed ex docente universitaria di Biologia marina. «Il mio nome», prosegue, «è nell’elenco degli espropriati, ma, a differenza di chi si trova nella mia stessa situazione, sono più o meno tranquilla: io credo che alla fine il ponte non si farà. È solo, e per l’ennesima volta, propaganda». La casa di Marilina è a due passi dal Villino delle Rose, la casa di riposo dove vivono dodici anziani: pure lo storico edificio, risalente agli anni Venti del Novecento, dovrà essere espropriato. Così come, oltre alle abitazioni private e popolari, terreni e attività commerciali. A Messina, in totale, si parla di 448 unità immobiliari, di cui 291 case. A Villa San Giovanni, in Calabria, invece, nelle liste ci sono «circa 250 terreni e 90 case». La sindaca della cittadina in provincia di Reggio, sciorina i dati e rivela: «Sia in Sicilia che in Calabria una manciata di giorni fa abbiamo scoperto che ci saranno nuovi espropriati, a causa dei progetti riguardanti gli allacci ferroviari». Le preoccupazioni aumentano. Intanto, i comitati hanno le idee chiare sul da farsi. In attesa dell’ok della Corte dei Conti, e solo dopo la pubblicazione della delibera Cipess sulla Gazzetta Ufficiale, gli attivisti partiranno coi ricorsi contro l’infrastruttura. Anche se in realtà una battaglia legale l’hanno già intrapresa. «Abbiamo fatto una class action sul ponte», racconta Daniele, «ma il Tribunale di Roma ha respinto la nostra istanza e ha condannato 104 cittadini ricorrenti al pagamento di quasi 300mila euro di spese legali. Una beffa». Perché la sinistra sbaglia ad arroccarsi sul Ponte sullo stretto Cantieri e indennizzi A Casa Cariddi, dove questa estate anche i turisti stranieri si sono fermati per chiedere informazioni e chiarimenti sull’opera, c’è pure l’«esproprianda» Rosa Cattafi. Rosa ha 66 anni e racconta che la casa a Torrefaro l’ha acquistata «undici anni fa». «Ho finito di pagarla», dice, «l’anno scorso. Perché ora dovrei andarmene? E dove? Non ho alcun piano b e ho davvero paura». Una paura che dipende anche dalla cifra dell’indennizzo che verrà corrisposto a chi dovrà lasciare tutto e abbandonare la propria casa. «L’indennizzo», dice ancora Rosa, «verrà calcolato sui valori di mercato attuali, poi a chi accetta dovrebbe essere corrisposta anche una percentuale aggiuntiva e un’indennità di trasloco. Ma sono solo dichiarazioni e comunque non credo che con queste somme riusciremmo a comprare altrove». È il motivo per cui la sindaca Caminiti lancia l’idea di «una casa per una casa». E dice: «È una proposta che ho già avanzato e che potrebbe essere una soluzione vera rispetto all’emergenza abitativa che si verrà a creare, ma ci sarebbero ostacoli legislativi per la sua concretizzazione». «Il punto», dice Rossella Bulsei, nelle liste degli espropriati della Calabria, «è che molti di noi hanno acquistato queste case perché volevano vivere proprio lì, di fronte allo Stretto. Mio marito nella nostra casa ha anche la sua attività professionale. Il danno che ci verrà causato sarà pure di questo tipo: lui ha ormai una rete di contatti in zona, trasferendosi dovrà ricominciare daccapo?». Le storie di chi vive col timore del ponte che avanza sono diverse. Tra queste c’è quella di chi la casa sta ancora finendo di pagarla, chi si è indebitato per acquistarla, chi è titolare di una pizzeria che verrà distrutta perché un pilone del ponte la centrerà. Chi, come Francesca Bertè, medico in pensione, parla di «danno collaterale alla salute psicologica». Nel frattempo il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha chiuso la campagna elettorale del forzista Roberto Occhiuto, candidato (bis) a governatore della Calabria, distribuendo magliette con su scritto “Ponte, orgoglio italiano”. Sempre nella Punta dello Stivale, qualche giorno fa, il leader del Carroccio ha annunciato che il 2025 è l’anno di apertura dei cantieri. «Uno dei cantieri», spiega ancora Daniele, «cingerà finanche il cimitero di Messina, quello dei Granatari, che dunque diventerà irraggiungibile: per portare un fiore ai nostri morti forse dovremo calarci con l’elicottero. Ma resisteremo». «Resistere» è appunto la parola più pronunciata a Casa Cariddi e all’incontro degli Stati generali contro il ponte. Ed è la parola che viene in mente mentre si attraversano le strade di Messina e di Villa San Giovanni: si perde il conto degli striscioni appesi alle terrazze. Ci sono quelli pro Palestina e poi quelli contro il ponte. Ponte ad oggetto di una lettera che il 15 settembre scorso la Commissione europea ha inviato al ministero dell’Ambiente. Bruxelles, nelle tre pagine inoltrate al Mase, definisce «il calendario dei lavori fissato dalle autorità italiane» come «ambizioso». E chiede chiarimenti circa «gli impatti dell’opera sui siti Natura 2000». «La Commissione», si legge nella lettera, « ha individuato gli aspetti che necessitano di chiarimenti e le ulteriori misure che dovrebbero aiutare le autorità italiane a garantire che eventuali carenze siano risolte prima di concedere l'autorizzazione allo sviluppo o di avviare i lavori». Infine dall’Ue avvertono: «La Commissione ha recentemente ricevuto diverse denunce formali e interrogazioni parlamentari relative al progetto. È molto importante garantire che il ponte di Messina sia conforme alle disposizioni della legislazione ambientale pertinente, come è avvenuto per altri grandi progetti infrastrutturali in altri stati membri». Un avvertimento che potrebbe rappresentare un ostacolo alla realizzazione del ponte che dovrà unire la Sicilia alla Calabria, risvegliando, chissà, Scilla e Cariddi che oggi dormono indisturbate nelle acque dello Stretto. Salvini investe tutto sul Ponte, ma la Lega esplode