Diversamente latini ma uniti da Raffa. Nel calcio Italia e Spagna sono storicamente agli antipodi nonostante la comune radice culturale. E negli anni più recenti tale diversità è stata rivendicata da entrambe le parti. Più dagli spagnoli, invero, mentre da parte italiana lo si è fatto quasi per reazione.

Eppure stasera a Wembley (ore 21), per giocarsi l'accesso alla finale degli Europei in programma sempre a Londra domenica 11 luglio, si presentano due squadre che per identità calcistica sono in fase di avvicinamento. E che per di più si trovano accomunate dal mito di Raffaella Carrà, che ai due paesi ha legato fortemente la parabola artistica. Il suo addio a un giorno dalla celebrazione della gara assume una straordinaria portata simbolica e dà un significato unico al calcio d'inizio di stasera. Che idealmente verrà battuto da lei. Da quel momento in poi sarà una partita indecifrabile.

Qué dolor

E chissà se mai la Raffa ha vissuto con qualche disagio le fasi più acute della contrapposizione calcistica fra i due paesi da lei così amati, quelle in cui pareva venisse tirata in ballo un'irriducibile differenza antropologica espressa attraverso il pallone. Da una parte la cultura del juego, il calcio manovrato e anche un po' barocco che piace agli spagnoli in quanto elemento del dominio che bisogna esibire per dimostrare d'essere meritevoli della vittoria. Dall'altra parte il resultadismo, ossia l'orientamento utilitarista e vagamente machiavellico che antepone il conseguimento del risultato a qualsiasi considerazione estetica.

La contrapposizione comincia a farsi acuta a inizio anni Duemila, quando in Champions League si gioca un derby milanese come semifinale e i quotidiani sportivi spagnoli invitano i connazionali a andare al cinema piuttosto che assistere a uno spettacolo pronosticato come tristissimo. E in effetti quella partita finirà 0-0, mentre al ritorno sarà 1-1. E proprio il gol segnato in una gara che da calendario risultava giocata fuori casa consentirà al Milan di andare in finale, come voleva la regola del gol doppio in trasferta appena abolita dall'Uefa. Ma va precisato pure che l'altra semifinale vedeva contrapposte Real Madrid e Juventus, e che la squadra bianconera eliminò sul campo anziché al cinema le merengues.

Scorni che vanno e vengono. E che probabilmente trovano un primo culmine in quel quarto di finale dei mondiali Usa 1994 risolto da un gol di Roberto Baggio (2-1) ma segnato anche dalla gomitata tirata da Mauro Tassotti all'attuale commissario tecnico delle Furie Rosse, Luís Enrique. Il Var era ben di là da venire e il terzino azzurro la fece franca sul campo nonostante le immagini del labbro spaccato dell'avversario corressero in mondovisione. Poi Tassotti pagò con una squalifica da 8 giornate che fu come un ergastolo per un calciatore quasi a fine carriera, ma comunque ciò non indennizzò gli spagnoli.

Che le rivincite se le sono prese sul campo: due volte agli Europei (quarti di finale 2008 vinti ai rigori e finale 2012 stravinta 4-0) e nel girone eliminatorio verso Russia 2018 che mandò la nazionale di Gian Piero Ventura verso l'infausto spareggio contro gli svedesi. Nel mezzo c'è anche una parziale rivincita (2-0) degli azzurri guidati da Antonio Conte negli ottavi di finale degli Europei di Francia 2016. Dunque il conto rimane aperto e equilibrato. Ma nel frattempo molte differenze fra le due nazionali si sono attenuate.

Calcio di possesso

Lasciamo perdere il confronto fra la Serie A e la Liga, perché sarebbe impietoso sotto ogni punto di vista. Meglio guardare alle rappresentative nazionali, il terreno sul quale il calcio italiano può essere ancora competitivo rispetto a quello spagnolo. Alla gara di stasera gli azzurri arrivano coi favori del pronostico, ciò che soltanto due anni fa sarebbe stato impensabile.

Ma è soprattutto sul piano degli stili di gioco che la differenza fra le due squadre si è clamorosamente ridotta. Perché la squadra allenata da Roberto Mancini accumula risultati ma lo fa attraverso un gioco quasi sempre di grande possesso. Non esattamente il mitico Tiki Taka, marchio di fabbrica spagnolo portato al massimo livello di raffinatezza nelle officine del barcellonismo guardiolista, ma certamente una ricerca dell'estetica capace di toccare picchi di qualità cui è stato dato ampio riconoscimento dalla stampa internazionale. Compresa quella spagnola.

Tutto ciò, da parte azzurra, avviene proprio mentre da parte spagnola sta avvenendo una fase di ricambio non facile né limpida. Per una volta sono gli spagnoli a essere andati avanti coi risultati lasciando spesso perplessi sul piano del gioco. Ma rimangono una di quelle squadre che annusano le grandi sfide e sono capaci di dare il massimo quando arrivano. Certamente fin qui non ci hanno fatto vedere il Tiki Taka, ciò che per molti è anche un sollievo.

Chissà se lo ritroveranno nella semifinale del Tuca Tuca, il ballo ammiccante e fatto di tocchi invitanti brevettato dalla Raffa dei due mondi. Il ballo dell'invito a piacersi. Missione ancora impossibile per l'Italia e la Spagna calcistiche? Di sicuro, almeno per stasera vincerà chi sbaglierà di meno.

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