Le commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera il 6 luglio scorso hanno approvato un testo base per regolare la pratica del fine vita. L’approvazione del testo “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia” è un primo passo verso ciò che chiedeva la sentenza del 2019 della Corte costituzionale nel “caso Cappato-Dj Fabo”: che il parlamento intervenisse in materia.

Hanno votato a favore il Partito democratico, il Movimento 5 stelle, Liberi e uguali, Italia viva, +Europa e Azione, contrari invece i partiti di centrodestra. Il testo prevede la facoltà della persona «di richiedere assistenza medica per porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita, alle condizioni, nei limiti e con i presupposti previsti». Si consente dunque il suicidio assistito, cioè il decesso prodotto con atto autonomo con cui si pone fine alla propria vita «in modo volontario, dignitoso e consapevole».

Il documento approvato riprende la sentenza: può fare richiesta una «persona maggiore di età, capace di prendere decisioni libere e consapevoli e affetta da sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili». Si aggiungono poi altre condizioni: avere una patologia irreversibile o a prognosi infausta, essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale ed essere assistito dalla rete di cure palliative o avere espressamente rifiutato tale percorso assistenziale. Il testo poi traccia il procedimento per accedere al diritto e prevede la costituzione di Comitati per l’etica.

Il fine vita, in questa prima versione, viene dunque legittimato con l’esclusione di punibilità: tutte le persone che abbiano agevolato e/o portato a termine la procedura non sono punibili. Non vengono dunque applicati gli articoli 580 (istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) del codice penale.

Il relatore della legge sull’eutanasia, Alfredo Bazoli, ha commentato il voto specificando che «il testo rappresenta un punto di partenza, e non pregiudica in alcun modo ulteriori interventi di modifica, miglioramento e affinamento del testo». Il deputato sottolinea che «non è possibile rinviare ulteriormente il provvedimento, perché lasceremmo un inaccettabile ruolo di supplenza ai giudici, come sta accadendo, posto che i pazienti che ritengono di rientrare nelle condizioni individuate dalla Corte costituzionale si stanno rivolgendo ai tribunali per ottenere l’autorizzazione ad accedere al suicidio assistito».

Negli ultimi anni la giurisprudenza si è sostituita al legislatore. Nonostante le numerose sentenze e proposte di legge, non si è mai arrivati a un compromesso. Nel 2019 la Corte si è espressa sulla costituzionalità dell’art. 580 del codice penale nel caso di Fabiano Antoniani e ha stabilito che, se sussistono le condizioni riprese dal documento approvato il 6 luglio, non è punibile «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente».

Il referendum parallelo

«In astratto non ci sarebbe bisogno di questo progetto legislativo perché le sentenze hanno già valore di legge. Ma in concreto serve l’intervento del parlamento per individuare le procedure che rendano effettiva la decisione della Corte», ha commentato Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni e promotore della campagna Eutanasia Legale. Cappato ricorda la vicenda di Mario, affetto da tetraplegia, che ha chiesto di poter accedere al diritto nelle Marche ma, «pur sussistendo tutte e quattro le condizioni previste dalla Corte, in 10 mesi l’Asl non ha mai risposto. L’approvazione del testo impedirebbe di fatto il sabotaggio della sentenza della Corte costituzionale in corso. In un anno e mezzo nessuno è riuscito a esercitare questo diritto».

L’associazione Luca Coscioni, di fronte all’inerzia del legislatore, sta raccogliendo le firme con decine di associazioni e movimenti per depenalizzare l’eutanasia con un referendum abrogativo. L’iniziativa corre in parallelo al testo approvato dalle commissioni perché «ha l’obiettivo di abrogare una parte dell’articolo 579 del codice penale», spiega Cappato.

Il testo in commissione, infatti, esclude due situazioni: non prevede che il medico possa somministrare il farmaco, «producendo di fatto una discriminazione per le persone che non possono assumerlo autonomamente e non include le persone che hanno una malattia terminale ma che non sono tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale. Il referendum apre la strada alla vera e propria eutanasia attiva, sul modello di Spagna e Lussemburgo. È chiaro che con l’abrogazione di parte di quell’articolo cadrebbe anche il requisito dei “trattamenti di sostegno vitale”, garantendo così il diritto anche alle persone che hanno un cancro terminale. In Olanda due terzi dei pazienti che richiedono l’eutanasia sono malati terminali di cancro».

In Italia, è già possibile interrompere qualsiasi terapia, anche se provoca la morte. Dal 2017 è garantito il diritto di interrompere le cure anche qualora non si abbia più la capacità di intendere e di volere, potendo redigere il testamento biologico, ma mancano molti tasselli perché venga garantito a pieno il diritto.

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