Farsi pagare il maxi yacht dai contribuenti italiani è il sogno mostruosamente proibito messo in pratica da Paolo Fassa, professione imprenditore e nome noto nel mondo dell'edilizia grazie al marchio Fassa Bortolo, in passato anche sulle magliette dell'omonima squadra di ciclismo nella quale hanno militato campioni del calibro di Ivan Basso, Alessandro Petacchi e Francesco Casagrande.

Sogno che si è infranto oggi, però, sugli scogli di un sequestro della sua Blanca, un «pleasure yacht» dei cantieri Baglietto, come lo definiscono i pm della procura di Milano che lo hanno sequestrato oggi a Genova, costato circa 23 milioni di euro finanziati grazie a un ingegnoso e complicatissimo sistema di finte campagne pubblicitarie e nel quale si rintracciano anche altre astuzie per frodare l'Erario. Il sequestro è stato condotto dal Nucleo economico finanziario della Guardia di Finanza del capoluogo lombardo e passerà adesso sotto il vaglio del gip per la convalida.

Fassa, a capo di un gruppo industriale con base in Veneto e 1300 dipendenti, è indagato con la figlia Manuela per utilizzo di false fatturazioni e per l'autoriciclaggio di 5 milioni di euro, mentre altre tre persone della società Se.com sono iscritte nel registro per emissione di fatture.

Il meccanismo scelto dalla società per sottrarre i denaro e convogliarlo verso la barca attraverso lunghi giri di società di comodo estere passa per le campagne pubblicitarie attraverso la Se.com, una società che si occupa di intermediare spazi pubblicitari con la tecnica del bartending.

In altre parole acquista spazi pubblicitari da società che li offrono, in questo caso specifico le classiche affissioni nei quali tutti si imbattono girando per i centri urbani (la procura ne ha individuate tre, di cui una risulta quotata in Borsa a Milano), e le rivende ai clienti facendosi pagare con le merci che esse stesse producono e non con il denaro. Una sorta di baratto moderno, quindi. Chi riceve questi lotti guadagnerà poi rivendendoli sul mercato a un valore maggiore di quello concordato con l'investitore pubblicitario.

I pm Paolo Storari e Giordano Baggio ipotizzano, però, che gli spazi pubblicitari acquistati da Fassa siano stati assolutamente fittizi e le fatture pagate alla società (che vede l'amministratore indagato insieme ad altre due persone) servissero solo per far uscire dalla società, come costi detraibili, le somme utili a pagare sia la barca sia le sue spese vive di gestione, che ammontavano a un milione di euro l'anno.

Somme convogliate a una miriade di società estere basate in Paesi quali la Svizzera, Malta, Montecarlo, Panama, Croazia, che servivano per confondere il reale utilizzo. Alla fine di questo giro, orchestrato da un fiduciario svizzero indicato come la mente di questa truffa, c'era lo yacht, che batteva bandiera inglese e che era formalmente di proprietà di società di leasing. L'ultimo schermo dietro al quale c'era, però, l'utilizzatore finale dello scafo.

«Ho sempre posseduto barche perché è la mia passione: ho acquistato Blanca nel 2005 ma mi è stata consegnata nel 2008. Non mi sono mai occupato di questioni finanziarie ma solo dell'attività commerciale del gruppo. In pratica una volta che avevo scelto l'imbarcazione, e ovviamente sapevo quanto costava, sono andato dal nostro direttore amministrativo e gli ho detto quali erano le mie necessità. Lui mi ha risposto che in qualche modo avremmo fatto. Non siamo entrati nei dettaglio». ha cercato di giustificarsi l'imprenditore agli inquirenti che lo hanno interrogato lo scorso ottobre, quasi a voler scaricare le sue colpe di una frode fiscale «a sua insaputa». 

La figlia Manuela, interrogata su questo meccanismo, ha aggiunto: «Siamo stati consigliati in questo senso in quanto mio padre non aveva una dichiarazione dei redditi congrua per giustificare il possesso di una barca di questo valore». Dichiarazioni decisamente naif che lasciano esterrefatti di fronte all'evasione contestata: «almeno» 23 milioni di euro per l'acquisto di Blanca e 9 milioni per le spese vive, per un totale di 32 milioni, secondo i calcoli della Gdf.

Fassa ha tentato una conciliazione con l'Agenzia delle Entrate per la sua azienda, ma ha solo parzialmente estinto il debito in quanto non è stata pagata una somma di poco inferiore a 1,5 milioni di euro, che sono oggetto di ulteriore sequestro nonché il motivo per il quale l'imprenditore non ha avuto l'assenso per patteggiare una pena e chiudere la vicenda prima del sequestro. E dire addio, almeno per il momento, alla sua adorata Blanca.

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