La notizia in sé potrebbe non dire molto al lettore poco appassionato delle cronache giudiziarie. Ma l’arresto ai domiciliari del professor Enrico Laghi, 52 anni, ex commissario dell’Ilva e mille altre cose, è un fatto di straordinario rilievo nelle dinamiche del potere italiano. E merita di essere analizzato e compreso. Laghi è accusato di corruzione in atti giudiziari per aver asservito agli interessi dell’Ilva in amministrazione straordinaria il capo della procura di Taranto Carlo Maria Capristo. Subito salta agli occhi un primo elemento. Laghi è nominato dal governo e fa il lavoro di commissario dell'Ilva, sia pure molto ben retribuito, teoricamente nell'interesse dello Stato. Il capo della procura di Potenza Francesco Curcio, competente sui reati che coinvolgono magistrati di Taranto, ipotizza nei suoi confronti un reato gravissimo (punito con il carcere fino a 12 anni) non motivato da un interesse personale diretto, come l'arricchimento, che si potrebbe attribuire a un affarista: il movente è eseguire con successo l'incarico e con ciò consolidare la sua reputazione e il suo potere. La carriera di Laghi inciampa infatti nell’arresto proprio nel suo momento culminante.

Fanno tutti così?

Il secondo elemento, che discende dal primo, è inquietante. Le ipotesi di reato andranno al vaglio dei giudici. Ma, come spesso accade con le inchieste sui potenti del capitalismo italiano, la qualificazione giuridica dei fatti commessi è di interesse marginale per chi non sia un appassionato della materia. Ciò che interessa sono i fatti documentati. Diranno i giudici se sono o no reati, ma il cittadino può già valutare lo stile, i linguaggi, il modo di concepire i rapporti tra grandi aziende e tribunali. Dopo aver letto le 112 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare viene da chiedersi: ma fanno tutti così? Siamo davanti a un caso limite o il nerbo della classe dirigente italiana è ormai asservito all’etica del risultato, mentre l’etica senza aggettivi è ormai relegata a cimelio romantico delle anime belle, degli ingenui e dei cosiddetti perdenti?

Il caso Laghi è per questo centrale. Stiamo parlando del più potente e influente professionista delle crisi societarie, generalmente reputato nell’ambiente come “il più bravo”: Glielo riconosce anche il suo accusatore Nicola Nicoletti, manager del colosso della consulenza PriceWaterhouse Coopers arrestato lo scorso giugno insieme all'avvocato Piero Amara, celebre per la controversa narrazione sulla fantomatica loggia Ungheria. Amara e Nicoletti vengono arrestati con l’accusa di aver corrotto il procuratore di Taranto Capristo che a sua volta avrebbe venduto all’Ilva la sua funzione. Ma subito dicono ai magistrati che li interrogano la stessa cosa: non negano le proprie responsabilità ma spiegano che il mandante è Laghi, è lui che comanda e indica la strada della corruzione del magistrato. Di qui l’arresto, tre mesi dopo.

Dice Nicoletti, che in Ilva lavorava per lui: «Quando Laghi si sedeva e parlava, si eseguiva». Dice Amara: «All’Ilva non si muoveva un dito se non era Enrico Laghi a decidere». Significativamente, quando gli chiedono da quali rapporti politici Laghi trae il suo potere, Nicoletti non sa rispondere, dice «non so a livello politico, aveva rapporti...». Laghi non è un faccendiere al servizio di questa o quella cosca politica, è un potere in sé, brilla di luce propria nel firmamento di stelle spente dei politici e dei grandi imprenditori.

Basta guardare il suo curriculum: negli ultimi anni, spulciando a caso, è nel collegio sindacale di Tim, Alitalia, Unicredit, Coni, Acea, Leonardo-Finmeccanica, Pirelli, Espresso, Banca Finnat, Nomura Sim, RaiCinema, Raisat, Cofiri, Fendi. Siede nel consiglio d'amministrazione di Saipem, è presidente di Beni Stabili, è consulente di Bank of America, di Unipol, del gruppo Trevi, commissario non solo dell’Ilva ma anche dell’Alitalia e di Seat Pagine Gialle. Diventa il mister Wolf di una politica che non ha più riferimenti, ogni volta che c'è una grana chiamano Laghi. Come commissario Alitalia tratta con i Benetton per il loro ingresso nell’azionariato, poi va a fare il presidente di Edizione, la cassaforte in cui i Benetton custodiscono le azioni di Atlantia.

«Cinicamente mi nominò»

Un personaggio di questo rilievo, secondo le dichiarazioni di Amara stavolta abbondantemente riscontrate dagli inquirenti, viene invitato a cena da Amara stesso e ci trova il procuratore Capristo in grande confidenza con il padrone di casa, «e cinicamente decide di nominarmi». Da lì si dipana tra lo stesso Laghi e Capristo un rapporto di grande amicizia. I magistrati ricostruiscono in un solo mese venti telefonate tra i due. Capristo chiede a Laghi di far lavorare un suo amico, l’avvocato pugliese Giacomo Ragno, e Laghi ordina a Nicoletti di indurre i dipendenti Ilva sotto processo nelle varie inchieste sulle morti in fabbrica di lavoratori a nominare Ragno come loro difensore. Quando in un incidente muore l’operaio Giacomo Campo (settembre 2016) Capristo chiede a Laghi il nome di un perito di fiducia dell’Ilva, Laghi ordina a Nicoletti di provvedere, Capristo nel giro di poche ore fornisce il nome alla sostituta Giovanna Cannalire fingendo di averlo trovato lui, il professore Sorli del Politecnico di Torino prende l’aereo, arriva a Taranto e dopo 24 ore fa dissequestrare l’impianto.

Fa il consulente della procura ma sono gli uomini dell’Ilva a spiegargli (anche se non possiamo dire se questo abbia influenzato il suo lavoro) che il rapido dissequestro è strategico per il futuro dell’acciaieria che si sta cercando di vendere, con i risultati oggi noti.

Il punto è che l'Ilva è, come società, imputata per le sue responsabilità societarie nel processo Ambiente svenduto che proprio a giugno scorso ha portato a condanne per quasi 400 anni di carcere per l’inquinamento protratto per lunghi anni dalla gestione della famiglia Riva. Laghi è il dominus dell’azienda imputata. E ciò non gli impedisce di avere rapporti di grande cordialità con l’uomo che rappresenta la pubblica accusa in una vicenda giudiziaria di enorme rilievo per la storia dell’industria italiana. E siccome non è un avvocaticchio di provincia ma, per unanime riconoscimento, il numero uno, rimane la domanda a cui la politica, gli avvocati, i magistrati e il mondo delle imprese devono rispondere subito, senza la balla che bisogna aspettare la Cassazione: fanno tutti così?

 

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