Nelle motivazioni del verdetto dei giudici di primo grado per la morte di Alessandro Morricella, si legge che l’azienda ha predisposto una procedura rischiosa per produrre più ghisa. L’imputato principale, l’ex direttore dello stabilimento Ruggero Cola, condannato a sei anni, è tornato a lavorare nella fabbrica ora di Stato, al fianco del nuovo direttore generale
Si deve partire dalla spiegazione minima del processo produttivo che avviene all’interno di un altoforno, se si vuole comprendere fino in fondo il contesto in cui è maturata la morte di un operaio di 35 anni, Alessandro Morricella, di professione colatore, investito da una fiammata l’8 giugno 2015 e deceduto pochi giorni dopo per le ferite riportate nel 90 per cento del corpo.
L'unico modo per evitare il decesso dell’operaio Ilva, «sarebbe stato evitare che il colatore si trovasse nella direttrice del foro di colata al fine di effettuare il prelievo della temperatura», ha messo nero su bianco la giudice del tribunale di Taranto, Federica Furio, nelle motivazioni della sentenza di primo grado diffuse qualche giorno fa che Domani ha visionato.
Parole dure come pietre che danno la cifra di un modello di organizzazione aziendale palesemente obsoleto che tutto si gioca sul risparmio di tempo e denaro, «esponendo i lavoratori a gravi rischi per non attendere più tempo fra una colata e l'altra al fine di massimizzare i profitti producendo più ghisa allo stesso tempo»,scrivono i giudici di Taranto.
C’è una struttura verticale in acciaio alta 40 metri con un diametro di un’altra decina, interamente rivestita di materiale refrattario, ha la forma di due coni uniti da una base che costituisce un forno. È all’interno di un insieme di questo tipo che si realizza la fusione del minerale di ferro con il carbon coke e, quindi, la produzione della ghisa destinata poi attraverso un lungo processo di affinamento a diventare acciaio. È fatto così l’altoforno 2 dell’Ilva di Taranto, dove si produce la



