Campione europeo e medaglia d’argento ai Mondiali, ha sbagliato una sola gara: l’Olimpiade di Parigi. Ma sta rivoluzionando la sua disciplina con la meditazione, l’analisi e un’alimentazione che gli ha fatto perdere 26 chili. «La vittoria più bella: le lettere dei bambini». Aspettando la rivincita di Los Angeles nel 2028
AAA cercasi soprannome. «Fin da piccolo mi chiamano Gigante Buono ma non mi piace tantissimo, diciamo che me lo sto facendo andare bene».
Il dualismo di Leonardo Fabbri, ventisettenne fiorentino di Bagno a Ripoli, aviere capo del Centro Sportivo dell’Aeronautica, 125 chili distribuiti in 2 metri di altezza. C’è l’uomo sempre disponibile che ama sorridere e adora le amicizie. E c’è il Fabbri campione del getto del peso che in pedana si trasforma, diventa un leone.
Proprio come i leoni che vede in questi giorni a Stellenbosch, una cinquantina di chilometri da Città del Capo, la più importante zona vinicola del Sudafrica. Quattro settimane di allenamenti intensi insieme all’altro azzurro Zane Weir e al coach Paolo Dal Soglio.
«La sveglia suona alle 6 per essere operativi presto. È una preparazione invernale impegnativa con due sessioni al giorno. C’è caldo, in media 30-35 gradi, ma il clima è secco quindi perfetto per allenarsi, la nostra pedana è al fresco sotto una quercia».
Lo sguardo è rivolto ai Mondiali Indoor in Cina (21-23 marzo a Nanchino). Dopo l’estate ci sarà il vero obiettivo del 2025, i Mondiali di Tokyo (13-21 settembre). Ma facciamo un passo indietro. C’era una volta un campioncino che faceva fatica ad emergere a livello internazionale. Poi nel 2022 una rivoluzione totale ha fatto sbocciare il Fabbri campione che può mettere paura a tutti.
«Ci ho sempre creduto, questo devo ammetterlo. Ma ho passato anni difficili, non trovavo continuità nei risultati. Ai Giochi di Tokyo non ero entrato in finale per 10 centimetri, quella frustrazione mi ha motivato, incattivito a livello agonistico. Ho stravolto l’alimentazione, ho iniziato un percorso mentale con Stefano Tavoletti, lui come mental coach lavorava solo con i calciatori, era dubbioso. “Che sport è il getto del peso?”, mi chiede la prima volta. “Ma tu cosa vuoi?”. Gli rispondo: voglio vincere le Olimpiadi. E da lì abbiamo iniziato, alterno meditazioni a sedute di analisi, ho imparato a visualizzare i lanci per rendere il gesto atletico più stabile».
Grazie al cambio di alimentazione ha perso 26 Kg. Di fatto lei ha rivoluzionato la metodologia della sua disciplina.
Più che un rivoluzionario mi considero un ispiratore. Nel getto del peso c’era sempre stata la percezione di dover aumentare la massa muscolare, quindi ingrassare. Io ho contribuito a cambiare il concetto, dicendo: devo dimagrire per lanciare più lontano. I benefici sono tanti, dalle gare ai recuperi post allenamento, dalla prevenzione degli infortuni ad una migliore qualità del sonno. E poi conta anche l’autostima, davanti allo specchio mi piaccio. La pasta la mangio due volte a settimana ma solo a pranzo, poi tanta frutta e verdura per compensare i carboidrati. E le proteine con la carne. Da buon fiorentino la bistecca è un must. Pensi che pure Crouser adesso sta pensando di adottare la mia alimentazione.
L’americano Ryan Crouser è la leggenda del peso, tre ori in tre Olimpiadi, da Rio 2016 a Parigi 2024, detentore del record del mondo (23,56 metri). Nel 2024 lei lo ha battuto per la prima volta in carriera, il 20 luglio a Londra: mancavano due settimane ai Giochi di Parigi.
È stata una soddisfazione, anche Paolo Dal Soglio era emozionato. A lui come allenatore devo tutto. Arrivavamo dal favoloso successo degli Europei in casa a Roma. Ho pensato: davanti a questi 60.000 spettatori di Londra ho fatto vedere a Crouser chi è Leonardo Fabbri. Anni fa avevo soggezione di lui, adesso vedo che pure lui ha cambiato la percezione nei miei confronti. Era la mia undicesima vittoria consecutiva della stagione.
La stagione della consacrazione, oramai lancia stabilmente oltre i 22 metri. Oltre all’oro europeo anche il titolo storico in Diamond League. Dodici vittorie in totale. Aggiungiamoci i due record italiani, il primo a maggio con 22.95, togliendolo dopo 37 anni ad Alessandro Andrei (22.91). Poi a settembre il 22.98 metri, proprio nelle finali di Diamond League a Bruxelles. Di fatto lei ha sbagliato una unica gara, ma quella più importante, cioè i Giochi di Parigi. Una finale condizionata dalla pioggia, anche da una pessima organizzazione, ma lei non ha voluto accampare scuse per il quinto posto deludente.
Ero entrato in finale con la miglior misura delle qualificazioni, vedendo la giornata di pioggia mi ero pure gasato. Prima dell’ultimo lancio avevo segnalato al giudice che la pedana era troppo scivolosa, lui mi aveva ignorato, indicandomi il cronometro che scorreva. Poi, dopo il mio lancio, la pedana l’hanno sistemata, asciugandola. Ma per me era troppo tardi. Perché non mi sono lamentato? Perché non mi piace chi fa la vittima. In fondo, era colpa mia, i primi quattro lanci li avevo sbagliati io. Il pensiero di Parigi fa ancora un po’ male ma questo dolore mi serve per crescere ulteriormente. Mentre tornavo negli spogliatoi dello Stade De France il primo pensiero è stato: ci puoi riprovare Leo, nel 2028 avrai 31 anni, la stessa età che oggi ha Crouser, ricordati che proprio a Los Angeles nel 1984 ha vinto i Giochi il tuo idolo di bambino Andrei, dovrai salire sulla pedana come un leone che non mangia per una settimana.
C’è la soddisfazione di aver reso popolare il getto del peso. Gli italiani si fermano a seguire le sue gare, è diventato un beniamino dei bambini, la sua simpatia è diventata un marchio di fabbrica, anche quando canta Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri o altre hit.
Da piccolo soffrivo la mancanza di visibilità della mia disciplina. Certe gare potevo seguirle solo su internet. Mi chiedevo, ma perché del peso si parla così poco, perché c’è solo qualche trafiletto sui giornali? Ecco, la vittoria più bella è proprio questa per me. Tanti bimbi mi scrivono o mi mandano i loro video chiedendomi consigli: Leo, daresti un’occhiata a questo mio lancio? Poi, se mi chiedono di cantare non mi tiro indietro, non sono bravissimo ma la musica per me è fondamentale, la spengo solo per andare a dormire. Posso però dire una cosa?
Prego.
L’attenzione mediatica è un’arma a doppio taglio, ti può anche buttare giù. Dopo Parigi ho letto alcuni commenti orrendi. Un conto sono le critiche, un conto le offese. Sui social si giudica troppo superficialmente in base ad una singola prestazione. Io sono abbastanza forte di testa, ho un mio equilibrio, anzi ho spesso usato le critiche come motivazione, ma per altri azzurri non è così. Conosco atleti che hanno patito tantissimo per le offese degli haters.
Vale come messaggio: sui social siate più gentili?
Più che gentilezza preferisco chiamarla educazione. Perché poi magari si esagera nel senso opposto, soprattutto nella vita di tutti i giorni. Mi spiego, ultimamente c’è timore nel dire le cose, si soppesa ogni parola per paura di non essere politically correct. Ma troppo buonismo non fa bene, soprattutto quando si tratta di indirizzare i più giovani. Come diciamo noi a Firenze, una persona va brontolata quando se lo merita. Se uno sbaglia, glielo si deve dire. Sbattere le cose in faccia serve per imparare a vivere.
Il suo rapporto con Firenze. E con la Fiorentina. Lo striscione al Franchi “Leonardo Fabbri orgoglio fiorentino” le fa battere sempre il cuore?
Quando parlo di Firenze mi si illuminano gli occhi. È il mio posto del cuore. Da piccolo mio nonno e il babbo mi portavano in Curva Fiesole. Luca Toni è stato il mio idolo, nella stagione in cui segnò 31 gol avevo la sua maglia, esultavo come lui, un giorno vorrei anche incontrarlo. Poi mi piacciono altri sport come il volley, il basket. Anche la MotoGp. Recentemente con Gigi Dall’Igna, direttore generale della Ducati, abbiamo chiacchierato di atletica. Suo figlio fa salto in alto, abbiamo lo stesso fisioterapista a Schio dove vado spesso ad allenarmi perché ci vive Dal Soglio.
E poi c’è mamma Maria Chiara, con un passato da nuotatrice. L’ha voluta al suo fianco nella serata di gala degli Awards dell’atletica europea a Skopje.
Era il mio modo per dirle grazie. Mia madre è il mio eroe. Lei mi ha sostenuto soprattutto nei momenti difficili, non mi ha mai messo pressione. È l’unica che mi scrive sempre: come stai, cucciolo?
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